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Giuseppe Ungaretti: vita, pensiero e opere

11/2/2023

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GIUSEPPE UNGARETTI
Ungaretti ha portato nella letteratura italiana una vera e propria rivoluzione, dovuta soprattutto alle prime
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GIUSEPPE UNGARETTI Ungaretti ha portato nella letteratura italiana una vera e propria rivoluzione, dovuta soprattutto alle prime raccolte. È stato un innovatore utilizzando alcune caratteristiche che già i futuristi a loro tempo avevano utilizzato, come l'abolizione della punteggiatura, il dare molto più valore allo spazio bianco della pagina, ecc (le poesie di Ungaretti infatti sono brevissime, senza punteggiatura, con uno stile essenziale). Dal punto di vista stilistico è un grande innovatore. C'è però un contesto di vita che giustifica questa scelta. I modelli di Ungaretti sono stati tutti quei poeti che hanno vissuto nella negatività ma che non si sono mai arresi e tutti quelli che si sono confrontati con la modernità ma non l'hanno mai accettata. Si sente molto legato quindi a Leopardi. Vivere nella negatività per Leopardi lo abbiamo giustificato con la sua vita, e tutto sommato vale la stessa cosa per alcune vicende personali di Ungaretti. Nasce nel 1888 ad Alessandria d'Egitto perché i genitori lucchesi si erano trasferiti lì perché il padre lavorava alla costruzione del canale di Suez, era sterratore. Alessandria d'Egitto, proprio per questo, era una città abitata da italiani, inglesi, francesi, tedeschi, proprio perché era una costruzione gestita da varie compagnie europee. Era quindi una città caratterizzata da un certo cosmopolitismo. Trascorre ad Alessandria la prima infanzia....

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Didascalia alternativa:

Conserverà per sempre un ricordo indelebile di quella città. Dopo la morte del padre dovuta ad un incidente sul lavoro, intorno al 1912 si trasferisce in Francia, a Parigi. Ungaretti è un "girovago" (titolo di una sua poesia), ha viaggiato molto nella sua vita. A Parigi ha modo di fare le sue prime esperienze di intellettuale, conosce Picasso e altre personalità. Scoppia intanto la prima guerra mondiale. Lui è figlio di emigrati italiani, ma quando l'Italia entra in guerra, Ungaretti decide di arruolarsi nell'esercito, perché aveva sentito il bisogno di sentirsi italiano, combattendo per una patria che non aveva conosciuto. La negatività vissuta da Ungaretti significa stare al fronte al freddo, con i compagni massacrati, con la sporcizia, con gli animali e i parassiti, con l'impossibilità di riconoscersi uomini in quelle condizioni. In quelle circostanze Ungaretti inizia a scrivere, su qualunque cosa fosse possibile scrivere (brandelli di stoffa, ritagli di carta). La brevità dei versi di Ungaretti è anche questo, non solo i testi sono brevi perché di fronte alla disumanità della guerra ogni parola è superflua, ma c'è la necessità di una poesia molto breve anche dal punto di vista materiale. La sua prima raccolta è Il porto sepolto (1916). Le poesie che scrive al fronte portano tutte le date e il posto nel quale Ungaretti si trovava, sono quindi quasi dei diari di guerra. Allegria di naufragi (1919) e Il porto sepolto sono confluite in una sola, intitolata L'allegria; l'allegria per Ungaretti è quella percezione che si ha di sopravvivere in mezzo alla morte, è l'attaccamento alla vita nonostante si sia sempre a contatto con la morte, vivere a contatto con la morte ci fa più attaccare alla vita. Dopo la prima guerra mondiale Ungaretti vive il dopoguerra italiano, l'avvento del fascismo, ecc. Si avvicina alla religione. Nel 1928 vive una profonda crisi spirituale che lo avvicinerà al cattolicesimo. Il suo rapporto con il fascismo è ambivalente: inizialmente aderisce, poi se ne allontana. Pubblica altre raccolte: Sentimento del tempo (1933) profondamente influenzato dalla conversione religiosa. Durante lo scoppio della seconda guerra mondiale Ungaretti non è né in Italia né in Europa. Nel 1937, poiché era già un intellettuale famoso, gli viene affidata la cattedra di letteratura italiana all'università di San Paolo del Brasile. Si trasferisce quindi con la moglie e il figlio in un altro paesaggio. Lì rimane negli anni che vedono lo scoppio della seconda guerra mondiale. Sono anni nei quali, oltre alla fama, vive anche dei dolorosi lutti familiari. Nel 1939 muore a soli 9 anni il figlio Antonietto per una appendicite non diagnosticata subito. Qualche tempo prima era morto anche il fratello, al quale era molto legato, e da questa esperienza personale di dolore, legata anche alle condizioni nel mondo, che era piombato nel secondo conflitto mondiale, nascerà nel 1947 la raccolta poetica Il dolore, inteso come il dolore personale e universale. Dopo la conclusione della seconda guerra mondiale tornerà in Italia. Pubblicherà altri testi, altre raccolte, verrà nominato professore di letteratura italiana alla Sapienza di Roma. Quando la televisione inizia a muovere i suoi primi passi nella metà degli anni 50, è stato molto spesso ospite di alcune trasmissioni. Nel 1969 decide di raccogliere tutti i suoi testi più significativi in un'opera intitolata Vita di un uomo, curata da Ungaretti stesso, che sceglie tutti i testi che possano darci un'idea di quella che è stata la sua vita. Muore nel 1970 a Milano, dove è sepolto. IL PORTO SEPOLTO "Il porto sepolto", oltre ad essere il titolo di una poesia e di una raccolta, è anche la concezione che Ungaretti ha della poesia. La raccolta è legata alla sua città di origine, Alessandria d'Egitto, e nella poesia è presente il modo in cui Ungaretti intende la poesia. La città di Alessandria d'Egitto, secondo la storia, pare che sia stata fondata da Alessandro Magno. Una leggenda diceva che la città era sprofondata nell'abisso del Mar mediterraneo. Il porto sepolto rappresenta la prima città fondata da Alessandro Magno, sprofondata nel mare e della quale non si hanno più notizie. Il porto sepolto rappresenta il concetto di poesia che Ungaretti ha: il poeta ha bisogno per fare la poesia di scendere nelle profondità della sua anima (rappresentata metaforicamente dal porto); abbiamo quindi il concetto di poesia come qualcosa che deve scavare in noi, qualcosa che è legato alla nostra più profonda interiorità. In particolar modo nell'interiorità di Ungaretti affondano tutte le sue radici: la radice dei suoi genitori italiani, l'infanzia in Egitto, lo strazio vissuto nella prima guerra mondiale, la cultura che lo ha accolto a Parigi, ecc. Fare poesia quindi significa scendere e risalire, donando agli altri quella che è la nostra più intima essenza. La guerra, vista come odio, morte e disumanità, è la tematica essenziale. Proprio in quel contesto di strazio c'è bisogno di riconoscersi fratelli solidali, perché si è accomunati da questo grande dolore. Siccome lo strazio è tanto, Ungaretti riduce al minimo la parola, perché la parola breve rappresenta l'essenza che si vive durante la guerra, non c'è spazio per niente. C'è l'esigenza di dare voce al dolore. Il porto sepolto Il titolo fa riferimento alla leggenda che da piccolo Ungaretti raccontare, in profondità nel mare ci sono i resti di un antico porto della città più antica di Alessandria. Troviamo anche la concezione che Ungaretti ha della poesia. Molto spesso nelle poesie di Ungaretti, titolo e poesia sono strettamente legati, cioè la poesia è la spiegazione e una sorta di continuazione, di sviluppo del titolo. Nella prima strofa, il soggetto è il poeta (generico) e i primi tre versi ci fanno capire la sua concezione della poesia (che è intuizione di qualcosa che c'è dentro di noi). Il poeta fa tre movimenti: ● ● Dall'alto verso il basso, dall'esteriorità all'interiorità: arriva al porto della sua anima. Nel mondo classico i poeti scendevano, a volte anche nell'oltretomba, per conoscere il mistero nascosto agli uomini: il basso da sempre è anche simbolo di qualcosa di misterioso; Dal basso verso l'alto: il poeta, una volta che si guarda dentro, torna alla luce; Centrifugo, dall'interno verso l'esterno: il poeta non conserva per sé ciò che ha scoperto, ma lo disperde. Tutti i verbi sono al presente atemporale (quel presente che è valido sempre). Nella seconda strofa al poeta, una volta donato agli altri il suo segreto, le sue poesie, rimane soltanto il nulla, che è pur sempre la percezione di quel segreto. Negli ultimi tre versi inoltre, passa dall'universale all'individuale, da un poeta generico a egli stesso. Veglia È ambientata in trincea, parla della guerra e di quello che è il classico binomio nelle poesie di Ungaretti: vita e morte. Molto spesso prevale la morte, in questa poesia però affiora in modo paradossale l'attaccamento alla vita proprio perché si vive con la morte. "Veglia" indica il rimanere svegli un'intera nottata. Nella prima strofa è rappresentato il momento che Ungaretti ci vuole scrivere, quello che lo vede sveglio, buttato vicino a un compagno massacrato, con la bocca digrignata rivolta alla luna piena che lo illumina. Le mani del compagno è come se entrassero dentro di lui, dentro il suo silenzio (davanti all'orrore della guerra non ci sono parole). In quel momento, paradossalmente Ungaretti sente il bisogno di scrivere lettere piene d'amore. Nella poesia ci sono tutta una serie di aggettivi o partecipi sostantivati, che indicano la brutalità della condizione dei soldati in guerra. Nella seconda strofa c'è una visione alternativa della guerra: in quel momento Ungaretti, proprio perché è in estremo pericolo, si sente attaccato alla vita. Prevale il polo della vita. Sono una creatura È una delle poesie più dure e sconsolate. Il titolo ci rimanda a qualcosa di umano, per quanto invece nella poesia di umano non c'è nulla. Le figure retoriche che prevalgono sono l'anafora, la similitudine e il climax. Prima e seconda strofa contengono una similitudine; nella prima strofa però viene anticipato il secondo termine di paragone ("come questa pietra") rispetto al primo ("il mio pianto"). La seconda strofa significa che l'orrore che vive Ungaretti nelle trincee durante la prima guerra mondiale, è talmente grande che non è più capace nemmeno di piangere, si pietrifica. Nell'ultima strofe prevale la morte, vista come l'unica condizione felice che ci aspetta, come cessazione del dolore; ma il premio della morte, che ci fa finire i dolori, le sofferenze, si deve scontare nella vita. con la vita e le sue sofferenze stiamo pagando quello che poi la morte ci risarcirà. San Martino del Carso È una località che si trova vicino a Gorizia che è stata rasa al suolo durante il primo conflitto mondiale. Rappresenta gli effetti che la guerra ha da sempre non solo sugli uomini, ma anche sui paesi. È una poesia che da un lato possiamo mettere a confronto con Sono una creatura, nella quale gli orrori della guerra avevano causato la pietrificazione dell'animo dell'uomo, in questa invece ci sono gli effetti di un paese che viene quasi umanizzato, che viene rappresentato nella sua desolazione come un quadro che ci fa pensare dalle case agli uomini, che abitavano quelle stesse case. La prima strofa è di carattere descrittivo e oggettivo. La caratteristica peculiare è la parola "brandello" in riferimento alle case: gli permette di passare dalla prima alla seconda strofa, perché il termine ci ricorda i brandelli di carne. La seconda, terza e quarta strofa sono più soggettive e dalla descrizione si passa alla riflessione. Le mura che rimangono come testimonianza di case che non ci sono più, fanno venire in mente al poeta che delle case è rimasto qualche brandello di muro, ma degli uomini che invece hanno combattuto con lui non è rimasto nulla. Dalle case, per analogia (= immaginazione senza fili), il poeta si sposta alla parola "cuore". L'ultima strofa si lega alla prima strofa, perché il cuore finisce di essere soltanto una parte interiore del nostro corpo e del nostro essere, e diventa un cimitero dove ci sono tutte le croci, dove cioè sono conservati tutti i ricordi delle persone che non ci sono più. Ma proprio perché quel cuore conserva tutte le croci, diventa il paese più straziato, come San Martino del Carso. Mattina La prima scelta del titolo in realtà fu Cielo e mare. È un'altra poesia di guerra, nonostante non vengano messi in evidenza gli effetti della guerra. L'unica cosa che la lega all'esperienza della guerra è la data. È stata scritta durante il periodo della guerra, però al buio, alla devastazione e all'orrore della guerra descritta in tutte le altre poesie, vuole essere una proposta positiva, un attimo di vitalità. La località di Santa Maria la Longa è una località nelle retrovie, che erano località nelle quali i soldati a volte si riposavano e non erano più in prima linea nelle trincee al fronte. Mattina invece vuol dire che è l'alba, sta sorgendo il sole, il cielo all'improvviso si sta illuminando, e la sensazione di benessere di per un attimo assaporare la luce del sole che cancella tutto l'orrore della guerra, è come se avesse un impatto totale nel cuore del poeta. La parola chiave è "d'immenso", che è usato come sostantivo. La parola immensità ci fa pensare all'assenza di confini. Non sappiamo con certezza di quale immensità stia parlando, ma questa poesia è stata considerata quasi un'immedesimazione con la natura, con l'immensità, con la gioia di esserci nonostante tutto. Il "mi" apostrofato iniziale ci dice che riguarda lui, non c'è niente di oggettivo in questa poesia, è tutta soggettiva. La poesia è anche una sinestesia, considerano che c'è una percezione visiva (l'illuminarsi alla luce del sole) e c'è anche una concezione di vastità spaziale. Il panismo ungarettiano è quando Ungaretti si ritaglia dei brevissimi spazi nell'orrore della guerra per allontanarsene e per fondersi con la natura, il panismo d'annunziano invece appartiene solo al superuomo. Soldati Il titolo è legato ai versi, senza il titolo non potremmo spiegare la poesia. Ungaretti recupera una similitudine che affonda le sue radici nell'Antico Testamento, in Omero, in Virgilio, in Dante, e via via molti poeti hanno sempre rappresentato la precarietà della vita degli uomini paragonandola alle foglie. La poesia è una similitudine in cui il primo termine di paragone è il titolo, sono i soldati che sono come lo foglie in autunno. La poesia si apre con la terza persona singolare preceduta dal riflessivo "si", quindi "si sta" è un'accezione impersonale. Nel primo verso, dal punto di vista sintattico, c'è il verbo "stare" che rappresenta la stabilità, poi c'è il "come", ma quello che "sta" (le foglie) lo troviamo solo nell'ultimo verso. Dal punto di vista grammaticale un periodo in questo modo non sta i piedi. Ma siccome la poesia deve rappresentare la precarietà degli uomini, è importante anche la precarietà grammaticale. La poesia quindi rappresenta la precarietà della vita dei soldati al fronte, per cui si era come le foglie in autunno, per le quali basta poco per cadere. Non gridate più Fa parte della raccolta Il dolore (1947). Questa raccolta è quella che Ungaretti ha amato di più. il titolo fa riferimento a diverse tragedie individuali (la morte del fratello e del figlio) e collettive (la seconda guerra mondiale). Nel 1943 in Italia iniziava la guerra civile, e questa poesia fa riferimento a uno dei tanti bombardamenti nella città di Roma. Uno di questi bombardamenti aveva danneggiato la basilica di San Lorenzo a Roma, e accanto a questa basilica c'era anche un cimitero, danneggiato anch'esso. La poesia si riferisce a queste devastazioni che le bombe portano, perfino in luoghi come i cimiteri. I morti non solo possono ancora morire, ma possiamo ancora anche ascoltarli. La prima strofa contiene un invito al silenzio e un monito ("cessate di uccidere i morti"): se gli uomini continuano ad essere intenti a sopraffarsi l'uno con l'altro, la lezione che deriva da chi è morto non serve a nulla, invece dovremmo ascoltarli, altrimenti la loro vita e la loro morte non serve a niente. Bisogna far silenzio e ascoltare la lezione che deriva dalla storia. Nella seconda strofa Ungaretti si sofferma sulla voce dei morti, che è un sussurro impercettibile, ancora di più dell'erba che cresce. La conclusione dell'ultimo verso però è molto amara e ci indica una sorta di pessimismo che Ungaretti conserva nei confronti dell'umanità: la natura è lieta dove gli uomini non passano. Se l'uomo c'è arriva la distruzione.