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Giovanni Verga- maturità

22/12/2022

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INDICE:
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VITA
● ROMANZI PREVERISTI
● LA SVOLTA VERISTA
● POETICA E TECNICA NARRATIVA DEL VERGA VERISTA
GIOVANNI VERGA
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INDICE: ● VITA ● ROMANZI PREVERISTI ● LA SVOLTA VERISTA ● POETICA E TECNICA NARRATIVA DEL VERGA VERISTA GIOVANNI VERGA L'IDEOLOGIA VERGHIANA IL VERISMO DI VERGA E IL NATURALISMO ZOLIANO ● LOTTA PER LA VITA E "DARWINISMO SOCIALE" OPERE: ● ➤IL CICLO DEI VINTI > VITA DEI CAMPI > IMALAVOGLIA ➤IL MASTRO DON-GESUALDO • MASTRO DON-GESUALDO E I MALAVOGLIA A CONFRONTO ESTRATTI: LA MORTE DI GESUALDO ➤ ROSSO MALPELO ➤ LIBERTÀ GIOVANNI VERGA VITA Giovanni Verga nacque a Catania nel 1840 da una famiglia di agiati proprietari terrieri. Compì i primi studi presso maestri privati, da cui assorbì il fervente patriottismo e il gusto letterario romantico. Iscrittosi alla facoltà di Legge a Catania, non terminò gli studi, preferendo dedicarsi al lavoro letterario e al giornalismo politico (con il denaro datogli dal padre per concludere gli studi pubblicò a sue spese un romanzo, I carbonari della montagna). Questa formazione irregolare segna la sua fisionomia di scrittore che si discosta dalla tradizione. I testi su cui forma il suo gusto sono quelli di scrittori francesi moderni. Nel 1865 si reca una prima volta a Firenze, allora capitale del Regno e vi ritorna nel 1869 per venire a contatto con la vera società letteraria italiana. Nel 1872 si trasferisce a Milano, centro culturale più vivo della penisola. Qui entra in contatto con gli ambienti della Scapigliatura. Frutto di questo periodo sono: Eva, Eros e Tigre...

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Didascalia alternativa:

reale, legati ad un clima romantico. Nel 1878 avviene la svolta verso il Verismo, con la pubblicazione del racconto Rosso Malpelo. Seguono le novelle di Vita dei Campi, I Malavoglia, Novelle rusticane, Cavalleria rusticana, Vagabondaggio e Mastro-don Gesualdo. Negli anni successivi lavora a La Duchessa de Leyra, ma non riesce a portarlo a termine e, nel progetto originario, erano inclusi anche Onorevole Scipione e Uomo di lusso. Dal 1893 torna a vivere a Catania. Dopo il 1903, anno di rappresentazione del dramma, Dal tuo al mio, si chiude in un silenzio totale. Le sue posizioni politiche sono sempre più conservatrici. Allo scoppio della Prima guerra mondiale è fervente interventista e nel dopoguerra si schiera sulle posizioni dei nazionalisti. Muore nel gennaio 1922. I ROMANZI PREVERISTI Ricordiamo il romanzo Una peccatrice, fortemente autobiografico, Storia di una capinera, sentimentale e lacrimevole, che narra di un amore impossibile e di una monacazione forzata, e che gli assicura un notevole successo, Eva, in cui la protesta per la nuova condizione dell'intellettuale, emarginato e declassato, ed è vicina all'accesa polemica anticapitalistica della Scapigliatura. A questo romanzo seguono Eros e Tigre reale, che sono considerati esempi di "realismo". In realtà si iscrivono in un clima tardoromantico e sono scritti in un linguaggio spesso enfatico ed emotivo. LA SVOLTA VERISTA Nel 1878 esce un racconto che si discosta dalla materia e dal linguaggio della sua narrativa: Rosso Malpelo, la storia di un garzone di miniera che vive in un ambiente disumano, narrata con un linguaggio nudo e scabro. È la prima opera della nuova maniera verista, ispirata ad una rigorosa impersonalità. Già nel 1874 Verga aveva pubblicato un bozzetto di ambiente siciliano, Nedda, che descriveva la vita di miseria di una bracciante. Il cambio di temi e di linguaggio è stato interpretato come una "conversione". Semplicemente, Verga possedeva strumenti inadatti. L’approdo al Verismo è il frutto di una chiarificazione progressiva: la concezione materialistica della realtà e l'impersonalità. Con la conquista del metodo verista Verga non vuole abbandonare gli ambienti dell'alta società. Le basse sfere sono il punto di partenza del suo studio dei meccanismi della società, poiché in esse sono meno complicati. POETICA E TECNICA NARRATIVA DEL VERGA VERISTA Secondo la sua visione, il romanzo deve essere raccontato in modo da porre il lettore faccia a faccia col fatto nudo e schietto. Per questo lo scrittore deve "eclissarsi" e mettersi nella pelle dei suoi personaggi, tanto che l'opera dovrà sembrare essersi fatta da sé. Il lettore avrà l'impressione di assistere a fatti che si svolgono sotto i suoi occhi. Verga ammette che tutto questo può creare una certa confusione iniziale, però, man mano che gli attori si fanno conoscere con le loro azioni e parole, il loro carattere si rivela al lettore: solo così si può creare l'illusione della realtà ed eleminare ogni artificiosità letteraria. La teoria dell'impersonalità è un procedimento tecnico, espressivo e un modo di dar forma all'opera. Nelle sue opere effettivamente l'autore si "eclissa". A raccontare non è il narratore onnisciente tradizionale. Il suo punto di vista non si avverte mai: si mimetizza nei personaggi stessi. Un esempio chiarissimo è fornito dall'inizio di Rosso Malpelo: fa dipendere da una qualità morale, un dato fisico, naturale. Questo anonimo narratore non informa esaurientemente sul carattere e sulla storia dei personaggi, né offre dettagliate descrizioni dei luoghi. Commenta e giudica i fatti in base alla visione elementare e rozza della collettività popolare. Anche il linguaggio non è quello che potrebbe essere dello scrittore, ma un linguaggio spoglio e povero. L'IDEOLOGIA VERGHIANA Verga ritiene che l'autore debba "eclissarsi" dall'opera perché non ha diritto di giudicare la materia che rappresenta. Alla base di questa visione stanno posizioni pessimistiche: la società umana è dominata dal meccanismo crudele della lotta per la vita, una legge di natura, universale, che governa qualsiasi società, che è immodificabile ed esclude ogni consolazione religiosa. Se per Verga la realtà è data senza possibilità di modificazioni, si può capire perché non ritiene legittimo proporre giudizi. Solo la fiducia nella possibilità di modificare il reale può giustificare il giudizio correttivo, l'indignazione e la condanna esplicita. Se è impossibile modificare l'esistenza, ogni intervento giudicante appare inutile. La letteratura non può modificare la realtà. È chiaro che un simile pessimismo ha una nota conservatrice. Vi si associa un rifiuto per le ideologie progressiste contemporanee, democratiche socialiste. Proprio grazie al pessimismo rappresenta con grande acutezza l'oggettività delle cose: è la condizione del valore conoscitivo e critico. Inoltre, assicura a Verga l'immunità dai miti che trionfano nella letteratura contemporanea: il mito del progresso e del popolo nella versione progressista, umanitaria e romantico-reazionaria. La scelta di "regredire" nell'ottica popolare" costituisce la dissacrazione più impietosa di ogni mito populistico "progressivo". Tuttavia, Verga non contrappone al progresso moderno il mito della campagna. Il pessimismo lo induce a vedere che anche il mondo primitivo della campagna è retto dalle stesse leggi del mondo moderno, l'interesse economico, l'egoismo, la ricerca dell'utile. IL VERISMO DI VERGA E IL NATURALISMO ZOLIANO Risultata evidente la differenza tra il verismo verghiano e il naturalismo di Zola. Nei romanzi di Zola la "voce" narrante riproduce il modo di vedere e di esprimersi dell'autore che interviene con giudizi sulla materia trattata dal suo punto di vista, secondo il suo codice morale borghese. Tra il narratore e i personaggi vi è un distacco netto. Una parziale eccezione è costituita dall'Assommoir, dove Zola si propone di riprodurre il gergo particolare dei proletari parigini: in alcuni punti, anche la voce narrante si adegua alla mentalità e al linguaggio dei personaggi. Però è solo una soluzione episodica e limitata. Le zone dove è il narratore a parlare presentano prevalentemente un linguaggio letterario e colto. Zola risulta estraneo alla tecnica verghiana della "regressione": per lui l'impersonalità significa assumere il distacco dello "scienziato", per Verga significa "eclissarsi" nell'oggetto. Queste tecniche narrative sono la conseguenza di due ideologie radicalmente diverse. Zola ha piena fiducia nella funzione progressiva della letteratura; dietro la "regressione" di Verga nella realtà rappresentata vi è il pessimismo di chi ritiene che la realtà data sia immodificabile. Restano però da individuare le radici sociali. Zola ha fiducia nella possibilità della letteratura di incidere sul reale perché è uno scrittore borghese democratico. Verga è il tipico proprietario terriero conservatore che poteva ricavare la convinzione che nulla mai può mutare in assoluto nella storia degli uomini e che quindi la letteratura può solo portare a conoscere la realtà, non a modificarla. Ciò non significa esaltare il "progressismo" di Zola contro il "conservatorismo" di Verga. APPROFONDIMENTO: LOTTA PER LA VITA E "DARWINISMO SOCIALE" La nozione di lotta per l'esistenza proviene da Charles Darwin, lo scienziato che con la teoria della selezione naturale, rivoluzionò la concezione tradizionale dell'origine delle specie viventi. Esiste tra i vari individui una continua lotta per poter sopravvivere. Questa sopravvivenza del più adatto è la selezione naturale. La dottrina darwiniana ebbe un'influenza enorme su tutto lo sviluppo scientifico e filosofico e nelle scienze sociali, dando origine a quel filone del "darwinismo sociale". Tale dottrina tende a vedere la società umana regolata dalle stesse leggi del mondo animale e naturale. Queste teorie sono la manifestazione della crisi attraversata dalla coscienze borghese nella seconda metà dell' '800. Per Verga la società a tutti i suoi livelli è dominata da antagonismo tra individui, gruppi e classi: le leggi che la regolano sono la sopraffazione del più forte sul più debole e l'interesse individuale. IL CICLO DEI VINTI Verga concepisce il disegno di un ciclo di romanzi, che riprende il modello dei Rougon-Macquart di Zola, a differenza del quale, pone al centro la volontà di traccia un quadro sociale. Criterio unificante è il principio di lotta per la sopravvivenza, che lo scrittore ricava dalle teorie evoluzionistiche di Darwin. Verga, però, non intende soffermarsi sui vincitori, bensì sui vinti. Al ciclo viene premessa una prefazione: nel primo romanzo, I Malavoglia, il movente dell'attività umana che produce la fiumana del progresso, è preso alle sue sorgenti: nelle basse sfere il meccanismo è meno complicato e lo si potrà osservare con maggior precisione. Nei romanzi successivi sarà analizzata la ricerca nel suo progressivo elevarsi attraverso le classi sociali, dall'avidità di ricchezza nella borghesia di provincia (Mastro-don Gesualdo) alla vanità aristocratica (La Duchessa di Leyra), all'ambizione politica (L'Onorevole Scipioni) e artistica (L'uomo di lusso). Anche lo stile e il linguaggio devono modificarsi gradatamente in questa scala ascendente. VITA DEI CAMPI La brusca svolta di Verga dal Romanticismo ad un vero e proprio Verismo induce a chiedersi quale percorso abbia lo abbia condotto a quel tipo di approdo. Produsse un certo effetto la lettura di Zola, soprattutto l'Assommoir, dove la voce narrante riproduce la mentalità e il modo di esprimersi dei personaggi; ciò ebbe un ruolo decisivo nel suggerire a Verga la tecnica della regressione, tipica della sua narrativa. Un'ulteriore conferma proviene da una lettera di Verga stesso: egli ricorda come nel 1877, l'anno di pubblicazione dell'Assommoir, al Caffè Biffi di Milano fra lui, Capuana e Sacchetti avvenissero lunghe discussioni su quel romanzo zoliano. L'Assommoir fornì a Verga uno spunto iniziale, che egli andò a sviluppare diversamente da Zola. Un'influenza decisa sui principi di Verga fu Luigi Capuana, che con le sue recensioni andava a diffondere la conoscenza di Zola. L'impostazione verista di Verga inizia nel 1878 con Rosso Malpelo ma è continuata nel 1880 con Vita dei Campi: Cavalleria Rusticana, La lupa, Jeli il pastore, Fantasticheria, L'amante di Gramigna, Guerra di Santi, Pentolaccia. In questi racconti l'autore si eclissa e viene applicata la tecnica narrativa dell'impersonalità (è un'eccezione la Fantasticheria, che ha la forma di una lettera rivolta dall'autore ad una dama del gran mondo, con cui rievoca un soggiorno in un paesino di pescatori). In queste novelle ancora vi è traccia di un atteggiamento romantico, un motivo romantico come il conflitto fra l'individuo "diverso" e il contesto sociale che lo rifiuta e lo espelle. Egli stesso si ritrova ancora in contraddizione sia con le tendenze romantiche che con quelle veriste, ma tale contraddizione troverà presto soluzione nei Malavoglia. I MALAVOGLIA Il primo romanzo del ciclo è I Malavoglia, la storia di una famiglia di pescatori siciliani, i Toscano, chiamati "Malavoglia". Vivono nel paesino di Aci Trezza e conducono una vita relativamente felice e tranquilla. Nel 1863 il giovane 'Ntoni, figlio di Bastianazzo e nipote di padron 'Ntoni, il vecchio patriarca, deve partire per il servizio militare. La famiglia si trova in difficoltà dovendo pagare un lavorante. A ciò si aggiunge una cattiva annata per la pesca, e il fatto che la figlia maggiore, Mena, abbia bisogno della dote per sposarsi. Padron 'Ntoni intraprende un piccolo commercio: compra a credito dall'usuraio zio Crocifisso un carico di lupini, per rivenderli in un porto vicino. Ma la barca naufraga nella tempesta, Bastianazzo muore e il carico va perduto. Comincia di qui una lunga serie di sventure. La casa viene pignorata; Luca muore in guerra; la madre, Maruzza, è uccisa dal colera; la "Provvidenza" naufraga ancora e i Malavoglia sono costretti ad andare a giornata. La sventura disgrega il nucleo familiare: 'Ntoni comincia a frequentare l'osteria e le cattive compagnie e finisce per dare una coltellata alla guardia doganale (spinto da motivi di rivalità e d'onore: don Michele corteggia la sorella minore, Lia). Al processo ottiene una condanna mite per le attenuanti d'onore, ma Lia, disonorata, fugge dal paese. A causa del disonore, Mena non può più sposare compare Alfio e il vecchio padron 'Ntoni va a morire all'ospedale. L'ultimo figlio, Alessi, riesce a riscattare la casa del nespolo, continuando il mestiere del nonno. 'Ntoni, uscito di prigione si rende conto di non poter più restare, e si allontana per sempre. I Malavoglia rappresentano un mondo rurale arcaico immobile. Il romanzo è la rappresentazione del processo per cui la storia penetra in quel sistema arcaico, disgregandone la compattezza. L'azione ha inizio dopo l'Unità, nel 1863, e mette in luce come il piccolo villaggio siciliano sia investito dalle tensioni di un momento di rapida trasformazione della società italiana. La storia e la modernità si presentano con la coscrizione obbligatoria: proprio dalla partenza di 'Ntoni ha inizio la serie di difficoltà economiche. A ciò si aggiungono tasse e crisi della pesca. Il sistema sociale del villaggio è articolato in diversi strati di classe. I Malavoglia subiscono un processo di declassazione. Ma vi sono anche processi di ascesa sociale (Don Silvestro). Questo mondo del villaggio può apparire immobile solo perché i fatti narrati, in obbedienza al principio dell'impersonalità e alla tecnica dell'eclisse dell'autore e della regressione, sono presentati dall'ottica dei personaggi stessi. Ma la loro visione deforma, tradisce la realtà effettuale, mentre il montaggio narrativo la mette chiaramente in evidenza. Il personaggio in cui si incarnano le forze disgregatrici della modernità è il giovane 'Ntoni, uscito dall'universo chiuso del paese, venuto a contatto con la realtà moderna; per questo non può più adattarsi ai ritmi di vita del paese. Emblematico è il suo conflitto col nonno, che, rappresenta lo spirito tradizionalista per eccellenza. Sotto l'azione di tutte queste forze, la famiglia si disgrega; l'attaccamento del patriarca ai valori antichi è una delle cause della sua rovina; è proprio il protagonista, con la coltellata alla guardia doganale, che tocca il fondo il processo di degradazione a cui l'ha portato la sua inquietudine. È vero che alla fine Alessi riuscirà a ricomporre un frammento dell'antico nucleo familiare, ma ciò non implica un ritorno circolare. È un finale emblematico: il personaggio inquieto, che già aveva messo in crisi quel sistema, se ne distacca per sempre, allontanandosi verso la realtà del progresso. Il suo percorso sarà continuato da Gesualdo, che non avrà nulla del tradizionalismo immobilista, ma sarà l'esponente più tipico del moderno, con il suo dinamismo e intraprendenza di self-made man. I Malavoglia sono stati interpretati come la celebrazione di un mondo primordiale e dei suoi valori. In realtà ne rappresenta la disgregazione: se nella prima fase veristica, persisteva una componente di nostalgia romantica per la realtà della campagna, I Malavoglia ne segnano il superamento. Lo scrittore sa bene che quello è un mondo mitico mai esistito, dominato al suo interno dalla stessa legge della lotta per la vita che regola il mondo del progresso e regola ogni tipo di società, in ogni tempo e ad ogni livello della scala sociale. La fisionomia del mondo popolare nei Malavoglia non è data solo dai protagonisti, ma anche dall'avarizia disumana, dall'attaccamento alla proprietà, dalla malignità pettegola, dall'avidità e dall'arrivismo cinico. Lo scrittore non sa rinunciare del tutto a certi valori e li proietta in alcuni personaggi privilegiati, ritagliando una zona franca, immune dalle sue feroci tensioni. Ne risulta una costruzione bipolare: Si tratta di un romanzo corale, fittamente popolato di personaggi. Ma questo "coro" si divide in due: da un lato i Malavoglia, dall'altro la comunità del paese, per cui si alternano costantemente, nella narrazione, due punti di vista opposti. Questo gioco di punti di vista ha una funzione importante. L'ottica del paese ha il compito di "straniare" i valori ideali. Se quindi non sa rinunciare al vagheggiamento dei valori autentici, è anche tanto lucido da negarle con l'analisi impietosa della realtà di fatto. Il romanzo ha una costruzione problematica: le due componenti della visione verghiana reagiscono l'una contro l'altra. APPROFONDIMENTO: LE TECNICHE NARRATIVE NEI MALA VOGLIA La vicenda ha inizio con la partenza di 'Ntoni per il servizio miliare e, simmetricamente, si chiude con il suo allontanamento dal paese. Nell'intreccio è ravvisabile un filone che fa capo a 'Ntoni, ma anche uno che fa capo alla famiglia. In questo caso si hanno tre momenti: la rottura dell'equilibrio preesistente: i Malavoglia fanno i negozianti col commercio dei lupini; le sventure che derivano dalla rottura iniziale: una violazione dell'ordine stesso di natura; ● la ricomposizione dell'equilibrio: Alessi ricostituisce il nido familiare. ● ● Se il filone narrativo di 'Ntoni ha una configurazione rettilinea, quello della famiglia è circolare e si svolge nello spazio chiuso del paese: la linea retta è propria del personaggio dinamico, quella circolare di quelli statici. Ma la struttura circolare non è perfetta: il movimento non torna al punto di partenza. La staticità originaria è stata compromessa per sempre dall'irruzione della storia. Viene qui ripreso l'ideale dell'ostrica, già anticipato nella novella Fantasticheria, secondo il quale per coloro che appartengono alla fascia dei deboli è necessario rimanere legati ai valori della famiglia, al lavoro, alle tradizioni ataviche, per evitare che il mondo, il "pesce vorace", li divori. Vi sono due cadenze temporali nei Malavoglia: uno segnato dal ritmo delle stagioni, che è circolare, e uno storico, che si colloca in progressione lineare. Ciò riflette il tema centrale del romanzo, il conflitto tra un mondo arcaico e la fiumana del progresso. Ad un tempo ciclico, corrisponde uno spazio chiuso interno, noto e rassicurante. Lo spazio esterno sfuma nell'indeterminato. Lo spazio chiuso, però, non è un rifugio. È dominato da conflitti e forze devastanti, effetto reso possibile dal fatto che l'ottica narrativa è “interna" al mondo rappresentato e coincide con quella dei personaggi. IL MASTRO-DON GESUALDO L'azione si svolge nell'Italia preunitaria e ha una collocazione geografica nella cittadina di Vizzini, in provincia di Catania. Gesualdo Motta da muratore, è arrivato ad accumulare una fortuna. Quando il resoconto ha inizio, la sua ascesa sociale è coronata dal matrimonio con Bianca Trao, nobile in rovina. Nei calcoli di Gesualdo il matrimonio può aprirgli le porte del mondo aristocratico: in realtà ne resta escluso. Il disprezzo è testimoniato da: “don", l'appellativo destinato ai signori, e “mastro”, a indicare la provenienza umile dell'arricchito. La moglie non lo ama; nasce una bambina, Isabella, frutto di una relazione di Bianca con un cugino. Isabella, crescendo, respinge il padre per le sue umili origini. Gesualdo ha altre amarezze da parte del padre e dei fratelli, che mirano a spogliarlo dei suoi averi. Durante il 1848, i nobili dirottano l'odio popolare contro Gesualdo. Isabella gli crea un altro dolore innamorandosi di un cugino povero: per riparare, la dà in moglie al duca de Leyra. Gesualdo si ammala di cancro al piloro. Viene accolto a Palermo nel palazzo del genero e della figlia, ma per le sue maniere rozze viene relegato in disparte. Gesualdo trascorre i suoi ultimi giorni in solitudine, angosciato nel vedere lo sperpero del palazzo nobiliare, che ingoia le ricchezze da lui accumulate. E muore solo, sotto lo sguardo infastidito e sprezzante di un servo. Nel Gesualdo Verga resta fedele al principio dell'impersonalità, per cui il narratore deve essere interno al mondo rappresentato. Però, il livello sociale si è elevato: si tratta di un ambiente borghese e aristocratico. Di conseguenza anche il livello del narratore si innalza e ciò fa sì che coincida con quello dell'autore reale. Ha uno sguardo lucidamente critico. Con questo non ripristina il narratore onnisciente dei romanzi del primo '800. Ciò conferma la fedeltà di Verga al suo principio dell'eclisse. Il Gesualdo ha al centro una figura di protagonista. Per questo gran parte della narrazione è focalizzata sul protagonista. Lo strumento per eccellenza è il discorso indiretto libero, mediante cui sono riportati i pensieri del protagonista. Scompare la bipolarità tra personaggi depositari dei valori e rappresentanti della legge della lotta per la vita, che caratterizzava i Malavoglia: il conflitto si interiorizza. Gesualdo conserva per sé un bisogno di relazioni umane autentiche, ma gli impulsi generosi e i bisogni affettivi sono sempre soverchiati dall'attenzione gelosa all'interesse economico. Il frutto della scelta di Gesualdo in favore della logica della roba è una totale sconfitta umana. Dalla sua lotta epica per la roba, Gesualdo non ha ricavato che odio e amarezza. E proprio perché conserva in sé un'esigenza di affetti autentici, può trarre alla fine un desolato bilancio. Nel Gesualdo vi è la religione della "roba", duramente critica e negativa. Anche qui Verga non ha un atteggiamento moralista, ma si colloca in modo problematico dinanzi alla materia. Rappresenta il rovescio negativo di tutto ciò: l'insensatezza di una fatica che attira solo odio e dolore: Gesualdo è un vincitore materialmente, ma un vinto sul piano umano. Rappresenta un self-made man che costruisce da sé il proprio destino. Nella sua onestà rigorosa, mette in evidenza il suo giudizio sul meccanismo del progresso, impietosamente negativo. MASTRO DON GESUALDO E MALAVOGLIA A CONFRONTO MASTRO-DON GESUALDO (1889) I MALAVOGLIA (1881) Primo romanzo del ciclo dei vinti Secondo romanzo del ciclo dei vinti tutto il paese, è un romanzo corale struttura binaria, nella quale si contrappongono due mondi: ROMANZO PROTAGONISTA STRUTTURA CETO SOCIALE DEI PERSONAGGI TIPO DI SOCIETÀ VALORI TIPO DI NARRAZIONE LINGUAGGIO USO DEI PROVERBI TEMPO VERBALE -il mondo dei sentimenti autentici, la laboriosità e l'onesta dei Malavoglia; -il mondo dell'inautenticità e dell'egoismo cinico dei paesani. PREVALENTE RITMO NARRATIVO SPAZIO ceti umili: pescatori e contadini VOCE NARRANTE l'anonimo coro di paesani società arcaica legata ad un mondo chiuso e limitata valori della famiglia compatta e lineare parlato popolaresco esprimono la saggezza popolare imperfetto che trasmette un ritmo circolare e ripetitivo ritmo lento unità di luogo: il paese Mastro-Don Gesualdo struttura binaria riferita alla contrapposizione interiore del protagonista tra: -la logica economica in cui domani solo la legge della roba; -la logica dei sentimenti (familiari e amorosi) che vengono sacrificati. vari ceti, un mondo stratificato: contadini, servitori, muratori, artigiani, ceto ecclesiastico, borghesi, nobiltà rurale e cittadina società moderna della borghesia in ascesa valore della roba, della proprietà dei beni e denari Gesualdo che incarna il borghese di provincia, in compresenza con punti di vista molteplici frantumata con preposizioni brevi divise da una punteggiatura frequente parlato della borghesia di campagna esprimono le norme spietate della lotta per la vita passato remoto che trasmette un ritmo veloce ed incalzante ritmo convulso spazio aperto LA MORTE DI GESUALDO - da Mastro Don Gesualdo I temi chiave sono la contrapposizione tra produttività borghese e sperpero aristocratico, l'incomunicabilità tra padre e figlia e il fallimento umano di Gesualdo. Colpito dalla malattia, Gesualdo viene accolto a Palermo nel palazzo nobiliare del genero e della figlia: qui trascorre i suoi ultimi giorni come un intruso, circondato da una servitù che lo disprezza per le sue umili origini. Egli muore solo, sotto lo sguardo sprezzante di un servo. Nella prima parte del passo domina il punto di vista interno di Gesualdo: è un forestiero e quello che lo circonda non è il mondo a cui è abituato. La sua ottica estranea gli consente di ergersi a giudice della realtà aristocratica, di coglierne i veri aspetti negativi. Gesualdo giudica secondo i valori borghesi, basati sulla laboriosità. Ciò che la sua prospettiva mette in luce nella vita aristocratica è l'improduttività, lo sperpero di beni senza alcun frutto. All'angoscia per lo spreco si unisce il disprezzo verso il ceto dei servitori che non è altro che una massa di parassiti. Gesualdo coglie anche la falsità all'interno di tale ceto, ne è un esempio quando i servitori corrono al loro posto per ossequiare il duca che esce di casa e che poi ricominciano la baraonda appena volta le spalle. Gesualdo amerebbe trovare nella figlia affetto ma trova invece un muro impenetrabile. Ciò per lui si riconduce al fallimento di chi, pur credendo nella famiglia e negli affetti, ha finalizzato tutta la sua vita alla conquista di beni materiali, trascurando la famiglia. Gesualdo, per preservare la "roba", ha condannato sua figlia all'infelicità, impedendole di sposare l'uomo amato e obbligandola a unirsi con il Duca de Leyra. Nell'ottica di Gesualdo questo rapporto è dato dall'incomunicabilità fra il sangue plebeo dei Motta e quello aristocratico dei Trao. Nell'ultima pagina il punto di vista cambia e il protagonista è visto dall'esterno: il narratore affida la morte di Gesualdo all'occhio indifferente di un servo. Verga, in tal modo, cerca di far sentire il suo fallimento umano e di esprimere una visione pessimistica sulla possibilità dei rapporti umani. Dalla conclusione del romanzo si può ricavare l'atteggiamento di Verga verso la realtà del moderno capitalismo. ROSSO MALPELO - da Vita dei campi Rosso Malpelo è la novella che segna il passaggio di Verga alla corrente verista. Rosso Malpelo è un ragazzo di cui quasi tutti ignorano il vero nome. Tutti lo chiamano Malpelo per via dei suoi capelli rossi che gli sono valsi una pessima nomina. Stando alle credenze popolari, infatti, i capelli rossi sono indice di cattiveria. Trascurato e maltrattato da tutti, Malpelo cresce "selvatico", rassicurato solo dal padre, che lo difende spesso, con cui lavora presso una cava di rena. Le cose precipitano quando l'uomo, Mastro Misciu, detto Bestia, accetta di abbattere un pilastro considerato ormai inutile. Si tratta di un incarico pericoloso, accettato solo per bisogno di denaro, che finisce con il costargli la vita, malgrado gli sforzi compiuti dal figlio per liberarlo dalle macerie. Il lutto segna Malpelo, che decide di meritarsi definitivamente la nomina dovuta al suo aspetto e inizia ad avere comportamenti violenti di vario tipo. La sua solitudine fatta solo di duro lavoro non è destinata a durare, perché alla cava arriva Ranocchio: un ragazzo con un femore lussato, gracile e inesperto. Tra i due nasce uno strano legame: Malpelo maltratta Ranocchio ma, d'altro canto, fa di tutto per proteggerlo dandogli il proprio cibo e svolgendo al suo posto le mansioni più pesanti. Il tempo trascorre in questo modo fino a che il cadavere di Mastro Misciu non viene ritrovato, consentendo a Malpelo di recuperare gli attrezzi da lavoro del padre, che decide di tenere come ricordo. Si tratta di una magra e temporanea consolazione: Ranocchio, malato di tisi dopo essere finito a terra per via di una spinta, peggiora e, nonostante gli sforzi dell'amico nel tentativo di farlo riprendere, muore. Ora Malpelo è definitivamente solo. La madre e la sorella sono andate a vivere altrove e a lui non resta che lavorare nella cava dove le giornate sono talmente dure da spingere addirittura un evaso, che lì aveva trovato un impiego e un rifugio, a cercare una soluzione migliore. Malpelo accetta di svolgere le mansioni più rischiose al punto che un giorno, portando con sé gli attrezzi del padre, scompare durante un'esplorazione alla ricerca di un pozzo. Inghiottito dalla terra, Malpelo scompare lasciando ai ragazzi una pesante eredità: la paura che il suo fantasma si aggiri per la cava. La novella racconta con oggettività la durezza del lavoro minorile nelle cave in Sicilia. Verga descrive il contesto storico e sociale dell'epoca attraverso le condizioni dei lavoratori. Per quanto riguarda il piano sociale, vediamo come sia la superstizione a rovinare la vita del protagonista costringendolo ad essere più cattivo di quanto la sua indole non preveda. Ciononostante, Malpelo è riuscito a mantenere una scintilla di umanità in sé, come dimostra il rapporto con Ranocchio. LIBERTÀ - da Novelle Rusticane La novella è ispirata ad un fatto storico ed ambientata nel periodo della Spedizione dei Mille in Sicilia. Garibaldi, per reclutare soldati in Sicilia, promise di distribuire le terre demaniali ai capifamiglia contadini, i quali, spinti dalla voglia di liberarsi dalle ingiustizie sociali, si sollevarono massacrando i possidenti e i borghesi. Nino Bixio, luogotenente di Garibaldi, fece subito fucilare alcuni rivoltosi. I rimanenti furono condannati. Il racconto si divide in tre sequenze: ● ● ● la prima si concentra sulla sommossa popolare, con la carneficina che ne consegue; la seconda sulle difficoltà che insorgono il giorno successivo; la terza sulla repressione da parte dei garibaldini e sul processo. La descrizione della sommossa è caratterizzata da un linguaggio che mette in evidenza la violenza, che scaturisce dalla furia popolare. Il ritmo è incalzante e vengono utilizzate parecchie metafore. Abbiamo due punti di vista: i gentiluomini, che vogliono evidenziare l'inutilità della rivolta, e la plebe contadina sfruttata, che invece mostra un tentativo di indagare tale ricerca di giustizia. Esauritasi la sommossa, la folla non esiste più, ma ci sono i singoli individui che l'hanno precedentemente composta. Viene messa in evidenza l'inutilità della rivolta perché i singoli hanno adesso bisogno dei padroni oppressori contro cui si sono ribellati. Il ritmo rallenta ed emerge la concezione pessimistica di Verga: per lo scrittore, anche se venissero eliminate le vecchie classi dominanti, la sopraffazione e l'ingiustizia si riprodurrebbero: è la legge di ogni meccanismo sociale. La terza parte racconta della repressione sui contadini ed è caratterizzata dalla pietà dello scrittore nei loro confronti che adesso non sono più una minaccia. Il processo è rappresentato attraverso un punto di vista dei contadini, con la loro estraneità, diffidenza e paura. I giudici e gli avvocati a cui è affidato il processo sono descritti come "sonnecchianti". La circolarità della novella è caratterizzata dalla battuta iniziale "Viva la libertà!" e dalla battuta conclusiva del carbonaio "Se avevano detto che c'era la libertà!", a ribadire l'inutilità del tentativo di rivolta. Da essa traspare come quella condizione subumana sia per Verga irriscattabile.