Giovanni Verga è uno dei più importanti esponenti della letteratura italiana dell'Ottocento, noto soprattutto per essere il maggior rappresentante del Verismo.
La produzione letteraria di Verga può essere divisa in due fasi principali. La prima fase, definita pre-verista, è caratterizzata da romanzi di stampo tardo-romantico come "Una peccatrice" e "Storia di una capinera". In questo periodo, i romanzi preveristi di Verga si concentrano su temi sentimentali e passionali, ambientati principalmente in contesti aristocratici e borghesi.
La svolta verista avviene con "Nedda" (1874), considerata la prima opera verista di Verga, dove l'autore abbandona i temi mondani per concentrarsi sulla vita dei contadini siciliani. Le opere principali del periodo verista includono "I Malavoglia" e "Mastro-don Gesualdo", dove emerge la logica dell'utile e dell'interesse come forza motrice delle azioni umane. Il pensiero di Verga si caratterizza per una visione pessimistica della vita, dove i personaggi sono vittime di un determinismo sociale ed economico. Le caratteristiche ricorrenti della sua produzione verista includono l'impersonalità narrativa, l'uso del discorso indiretto libero e la rappresentazione oggettiva della realtà.
Nelle sue opere in ordine cronologico, si nota un'evoluzione stilistica che va dal romanzo storico-sentimentale al verismo più maturo. I generi narrativi prediletti da Verga spaziano dal romanzo alla novella, con particolare attenzione alle raccolte come "Vita dei campi" e "Novelle rusticane". Il Verismo di Verga si distingue dal Naturalismo francese per la sua peculiare attenzione alla realtà siciliana e per l'assenza di fiducia nel progresso, caratteristica invece del movimento francese. La sua tecnica narrativa innovativa, basata sull'eclissi dell'autore e sull'adozione del punto di vista dei personaggi, ha influenzato profondamente la letteratura italiana successiva.