La Peste di Atene: Tucidide e Lucrezio a confronto
Nel secondo libro delle "Storie", Tucidide descrive con precisione clinica l'epidemia che colpì Atene nel 430 a.C., causando numerose vittime, tra cui lo stesso Pericle. Tucidide fu contagiato ma sopravvisse, potendo così documentare direttamente i sintomi e gli effetti sociali della malattia.
Secoli dopo, il poeta romano Lucrezio si ispirò a questa descrizione per concludere il suo "De Rerum Natura", ma con differenze significative nell'approccio: mentre Tucidide analizza la peste con distacco scientifico, Lucrezio la descrive con intensa empatia secondo la filosofia epicurea. Tucidide osserva come la pestilenza trasformi gli uomini in belve, Lucrezio invece sottolinea come l'epidemia riduca l'uomo a una condizione di disperazione senza rimedio.
La descrizione lucreziana è ricca di dettagli drammatici: i corpi consumati dalla febbre, gli occhi arrossati, la gola che trasuda sangue nero, l'odore insopportabile, l'angoscia continua. I malati, tormentati da una sete insaziabile e da un calore interno insopportabile, si gettavano disperatamente in acqua fredda cercando sollievo prima della morte.
💡 Il contrasto tra le due descrizioni rivela due diverse concezioni della storia e della condizione umana: Tucidide cerca di analizzare razionalmente l'evento per trarne insegnamenti, Lucrezio lo usa per illustrare la fragilità umana di fronte alle forze naturali.
Questo tema ha ispirato anche opere d'arte celebri, come "La Peste di Azoth" di Poussin e "La Peste" di Böcklin, che rappresentano visivamente il terrore e la disperazione causati dalle epidemie, usando simbolismi diversi ma ugualmente potenti.