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21/11/2022
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Socrate Rapporti con sofisti e con Platone Socrate è indubbiamente figlio e avversario della sofistica Socrate è legato alla sofistica fondamentalmente dai seguenti aspetti: . l'attenzione per l'uomo e il disinteresse per le indagini intorno al cosmo . la tendenza a cercare nell'uomo i criteri del pensiero e dell'azione . l'atteggiamento spregiudicato e la mentalità razionalistica, anticonformistica e anti tradizionalista . l'inclinazione verso la dialettica e il paradosso Gli elementi che allontanano Socrate dai sofisti sono invece: . il rifiuto di ridurre la filosofia a vuota retorica . in contrapposizione rispetto a Gorgia, in Socrate vi è infatti l'esigenza di far "partorire" agli uomini delle verità comuni, che, possano avvicinarli intellettualmente a loro. Ricerca intorno all'uomo Deluso dalle indagini sulla natura, Socrate si convinse che alla mente umana sfuggono inevitabilmente i "perché" ultimi delle cose. Socrate intese quindi la filosofia come un'indagine in cui l'uomo tenta con la ragione di chiarire sé a se stesso, rintracciando il significato profondo del proprio essere uomo. Secondo Socrate non si è uomini se non tra gli uomini. In quanto ciò che costituisce la nostra essenza profonda di esseri umani è il rapporto interpersonale in cui ognuno affronta e discute le questioni relative la propria umanità, facendo filosofia. Come detto nella platonica Apologia di Socrate, << una vita senza ricerca non è degna di essere vissuta>> Il...
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Stefano S, utente iOS
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"non sapere" Per Socrate la prima condizione della ricerca e del dialogo è la coscienza della propria ignoranza. Nell'Apologia, infatti, Platone narra che Socrate, quando seppe che l'oracolo di Delfi lo aveva proclamato il più sapiente tra gli uomini, interpretò il responso divino come se significasse che sapiente è chi sa di non sapere. Sostenere che vero sapiente è chi sa di non sapere è anche un modo per affermare che filosofo autentico è soltanto chi ha compreso che intorno alle cause e alle strutture del Tutto, nulla si può dire con certezza. Soltanto chi sa di non sapere cerca di sapere, mentre chi si crede già in possesso della verità non sente il bisogno interiore di cercarla. La tesi socratica del non sapere vuol essere un invito a indagare, entro i limiti dell'esperienza, i problemi fondamentali dell'uomo. La coscienza del non sapere non conduce a un soffocamento della ricerca, ma si presenta come una fruttuosa scintilla. Nel "non sapere" socratico va colta un'esplicita presa di distanza sai sofisti: essi si dichiaravano "sapienti", tanto da arrogarsi il diritto di insegnare la loro arte. Socrate è il primo a dichiararsi "filosofo" in quanto amante della sapienza" ovvero in "cerca di sapere". L'autentica sapienza viene a identificarsi con il "desiderio" o l'amore del sapere, ovvero qualcosa di cui si avverte la mancanza, come un vuoto da colmare. Il dialogo Il metodo dell'indagine filosofica usato da Socrate è il dialogo, ovvero lo scambio e il confronto con l'altro attraverso la parola. Il dialogo socratico presenta una struttura ben precisa, in cui si possono distinguere due momento: ironia e maieutica. L'ironia Nell'esame a cui Socrate sottopone gli altri, la sua prima preoccupazione è rendere i propri interlocutori consapevoli della loro ignoranza. A questo scopo egli si avvale dell'ironia. L'ironia socratica è il gioco di parole attraverso il quale il filosofo mette a nudo le coscienze di coloro che gli stanno di fronte - che inizialmente appaiono soddisfatti delle loro certezze - giungendo a mostrarne il sostanziale "non sapere". L'ironia è dunque il metodo per svelare all'uomo la sua ignoranza e per gettarlo nel dubbio e nell'inquietudine, impegnandolo così nella ricerca. Facendo ironicamente finta di non sapere, il filosofo chiede al proprio interlocutore (che il più delle volte è un illustre maestro), di renderlo edotto circa della sua competenza. Dopo una teatrale adulazione delle conoscenze del personaggio, comincia a sommergerlo di domande e ad avvolgerlo in una rete di quesiti. Utilizzando l'arma del dubbio e la tecnica della confutazione, Socrate giunge a mostrare al proprio interlocutore la consistenza delle sua persuasioni. provocando in lui vergogna e stizza e costringendolo ad ammettere di non avere opinioni solide sull'argomento in questione. Il momento ironico del dialogo è stato definito "dialettico zenoniano", in virtù delle analogie con il metodo "per assurdo" usato da Zenone. Il filosofo raggiunge così il proprio scopo principale: invogliare alla ricerca del vero. L'ironia è una specie di sofistica "nobile", che tende a purificare e liberare la mente dalle mal fondate convinzioni del vivere quotidiani. Maieutica Fatto il vuoto nella mente della discepolo Socrate non intende riempirla immediatamente con una propria verità, bensì stimola l'ascoltatore a ricercare una personale dentro se stesso. La maieutica consiste proprio in questo, ovvero l'arte di far partorire di cui parla Platone, dicendo che Socrate aveva ereditato dalla madre la professione di ostetrico. Come ella aiutava le donne a partorire, così Socrate, ostetrico di anime, aiutava gli intelletti a partorire il loro genuino punto di vista sulle cose. Per Socrate il concetto della verità è una conquista personale, nella quale il maestro aiuto il discepolo partendo dalle sue inclinazioni. Ricerca della definizione Ma cosa fa "partorire" Socrate ai propri interlocutori? Su questo punto è Platone a rispondere, presentando il filosofo come impegnato ad applicare il metodo delle definizioni. Il "motore" dell'intero dialogo è l'interrogativo "che cos'è", ovvero la richiesta di una definizione precisa di ciò di cui si sta parlando. Scrive infatti Senofonte << Egli discorreva sempre di cose umane, esaminando ad esempio cos'é santità oppure che cos'è bellezza o che cos'è giustizia>> A queste domande, ad esempio all'interrogativo " che cos'è la virtù", l'interlocutore risponde solitamente mediante un elenco di casi virtuosi: virtuoso è chi onora le leggi. Ma Socrate non si accontenta di questo sterile elenco, perché a lui non interessano "esempi" di virtù, bensì la definizione della virtù "in se stessa". Socrate predilige i discorsi brevi ( brachilogie), fatti di battute corte e veloci che obbligano l'avversario a dare risposte precise. Questo perché una tale dialettica demolisce l'antagonista, che mostra la superficialità delle proprie convinzioni. La domanda "che cos'è" vela dunque un duplice volto: uno negativo, indirizzato a mettere in crisi l'interlocutore; l'altro positivo, teso a condurlo verso una definizione soddisfacente dell'argomento trattato. Induzione Aristotele attribuisce a Socrate la scoperta dell'induzione e del concetto. Si dice induzione un tipo di ragionamento che dall'esame di un certo numero di casi risale a un'affermazione generale. Ad esempio, dopo aver constato che " giusto" è chi segue questa, quella e quell'altra legge, si può risalire al concetto di "giustizia", ovvero alla definizione di quest'ultima come rispetto delle leggi in generale. Socrate, a differenza di Platone e di Aristotele, non intende la definizione come una forma di sapere assoluto. Per lui le definizioni e il concetto rimangono allo stato esigenziale. Egli è convinto che attraverso il confronto dialogico sia possibile raggiungere un accordo su un certo terma (una definizione). Secondo Socrate, la ricerca filosofica conduce in qualche modo a una "verità", la quale non va intesa come una conoscenza trasferibile dal maestro al suo allievo, ma piuttosto come omologhia, cioè come il discorso comune. Un dialogo autentico implica un mettere alla prova le diverse ipotesi, chiedere e dare ragione di tutte le opinioni, per scartare via quelle fallaci e conservare quelle migliori, che non sono affatto le più utili né quelle che si siano dimostrate certe e infallibili, ma soltanto quelle che risultano maggiormente condivisibili. Socrate ammette l'esistenza di un punto fermo che chiunque debe riconoscere come tale.ll dialogo è un principio indubitabile: di tutto bisogno dubitare, tranne del dialogo; di tutto bisogno discutere, tranne che della necessità di discutere. L'etica la virtù come scienza Il punto-chiave della morale di Socrate è la sua nuova concezione della virtù. Con questo termine i Greci intendevano il modo di essere ottimale di qualcosa: la velocità era la virtù del ghepardo e la forza era quella del leone. Il concetto di virtù indicava dunque il modo migliore di comportarsi nella vita. Socrate, come i sofisti, sostenevano un valore o un fine che deve essere umanamente conquistato. Infatti non è un dono gratuito ma appunto una faticosa conquista. Per Socrate, non esiste il Bene e la Giustizia quali entità già costituite, poiché il bene e il giusto sono valori umani, che scaturscono di volta in volta dal nostro lucido ragionare. La concezione della virtù come scienza e della vita come avventura disciplinata rappresenta il senso dell'etica socratica, che è stata riconosciuta come una forma di razionalismo morale. Secondo Socrate non basta che ciascuno conosca il proprio mestiere e sia esperto in una delle tecniche o delle arti particolari, poiché bisogna che ciascuno impari bene anche il mestiere di vivere, ossia la scienza del bene e del male. Virtù, felicità e politica Dalla propria concezione della virtù, Socrate trae alcune conclusioni di fondo. La virtù è unica, in quanto quelle che gli uomini chiamano le virtù non sono altro che modi di essere al plurale quell'unica virtù al singolare. Socrate coincide le virtù con i valori dell'interiorità e della ragione. La morale di Socrate è una forma di eudemonismo poiché vede nel conseguimento della felicità lo scopo ultimo e il movente di ogni azione umana. Per Socrate la virtù é un calcolo intelligente finalizzato a rendere migliore e più felice la nostra vita. In terzo luogo, la virtù di cui parla Socrate tende a risolversi nella politicità, poiché l'arte del saper vivere si identifica e concretizza nell'arte di saper vivere con gli altri. La politica per Socrate non è una tecnica di dominio del prossimo, bensì quel "ragionare insieme" sulle cose della città per farne scaturire il bene comune. Paradossi dell'etica Dalla concezione socratica della virtù come scienza derivano "due paradossi". Il primo é l'ideale secondo cui nessuno pecca volontariamente, chi fa il male lo fa per ignoranza del bene. Socrate intende dire che nessuno compie il male consapevolmente, ossia sapendo il male è soltanto un individuo che ignora quale sia il vero bene. Quando si agisce, infatti, si fa sempre ciò che si ritiene essere per noi un bene, e se si scambia un vizio per un bene, poiché l'ignoranza non potrà cogliere la futura realtà di patimento alla quale essa porterà. Socrate è stato accusato, attraverso i secoli, di sopravvalutare indebitamente la funzione dell'intelletto nel comportamento umano, dimenticando il ruolo della nostra volontà. Un altro paradosso del socratismo, è la massima secondo cui è preferibile subire il male che commetterlo. Il demone, l'anima e la religione Socrate considera il filosofare come una missione e un compito affidatogli della divinità e, a questo proposito, parla di un demone che lo consiglia in tutti momenti decisivi della vita, invitandolo a non fare certe cose. Questo demone è stato spessi interpretato come la voce della coscienza. Ma esso è probabilmente più della semplice voce della coscienza. Ma esso è probabilmente più della semplice voce della coscienza: è la guida trascendente e divina della condotta umana. Il demone è dunque un concetto religioso, non semplicemente morale. Il fatto che Socrate parli di dei significa che egli non è estraneo al politeismo del suo tempo; tuttavia ammette gli dei solo perché ammette una divinità superiore, della quale gli dei sono manifestazioni. E' dunque a questa divinità che egli fa appello, riconoscendola sia come garante dell'ordine del mondo, sia come forma suprema di intelligenza e di bene. Oltre a tenere insieme l'universo, la divinità socratica è anche custode del destino degli uomini: tant'è vero che, dopo essere stato condannato, Socrate dichiara ai giudizi di essere certo che << per l'uomo onesto non vi è male né nella vita né nella morte>> e cgh la sua causa è <<nelle mani degli dei>>. Questa profonda fiducia in un ordine buono dell'universo fu senza dubbio l'essenza della religiosità socratica. Il processo e la morte di Socrate L'influenza di Socrate si era già esercitata in Atene quando tre demotracatici lo denunciano alla città. L'accusa fu presentata da Meleto: << Socrate è colpevole di non riconoscere come dèi quelli tradizionali della città, ma di introdurre divinità nuove; ed è anche colpevole di corrompere i giovani. Pena: la morte>> Socrate poteva scegliere di tentare di scagionarsi oppure di lasciare Atene. Egli Scelse di rimanere e di affrontare il processo. La sua autodifesa fu un'esaltazione del compito educativo al quale era stato chiamato da un ordine divino e che in nessun caso avrebbe tralasciato. Il discorso di Socrate non convinse i giudici ed egli fu riconosciuto colpevole, seppure da una piccola maggioranza. Secondo la legge ateniese, a questo punto il filosofo avrebbe ancora potuto scegliere di andarsene in esilio, o in alternativa proporre una pena che gli sembrasse più adeguata rispetto alla condanna di morte richiesta all'accusa. Il significato filosofico della morte di Socrate La morte di Socrate riveste anche un alto significato ideale ed esistenziale, poiché testimonia la piena fedeltà del filosofo a se stesso e ai propri principi teorici. La lealtà di Socrate verso la città e le sue leggi affonda le proprie radici nel pensiero del filosofo, ritiene che l'uomo sia tale solo in quanto rapportato alla società. Pertanto, chi rifiuta le leggi del proprio Stato o della propria civiltà cessa di essere uomo. Le leggi si possono cambiare e migliorare, ma non violare, perché altrimenti verrebbe meno la stessa vita in società. Ci permette di capire perché egli abbia scelto la condanna al posto della fuga, << preferendo morire rimanendo fedele alle leggi, anziché vivere violandole>>