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Hegel

24/12/2022

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GEORG FRIEDRich Hegel
Georg Wilhelm Friedrich Hegel nasce a Stoccarda nel 1770 dal matrimonio tra Georg
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GEORG FRIEDRich Hegel Georg Wilhelm Friedrich Hegel nasce a Stoccarda nel 1770 dal matrimonio tra Georg Ludwig e Maria Magdalena Fromm. In casa riceve un'educazione rigidamente protestante, e al ginnasio di Stoccarda si forma in modo approfondito in campo umanistico, soprattutto per quanto riguarda la conoscenza dei classici latini e greci. Concluso il percorso scolastico, Hegel decide di studiare Teologia allo Stift di Tubinga, un seminario che formava il ceto clericale protestante e il cui percorso di studi si articolava in due anni di filosofia seguiti da tre di teologia. Durante gli anni di seminariato, che permettono di avvicinarsi al pensiero di Kant, Rousseau e alle opere di Goethe, Hegel stringe amicizia con il poeta Hölderlin e il filosofo Schelling, che avranno entrambi un loro peso nello sviluppo del successivo sistema hegeliano. Se gli anni di studio lo avvicinano alle posizioni del nascente idealismo tedesco, dal punto di vista politico il giovane Hegel non è insensibile al fascino e alle suggestioni della Rivoluzione francese. Portato a termine il seminariato Hegel lavora come precettore presso una famiglia di Berna: è di questi anni lo studio della figura di Cristo (anche sotto l'aspetto storico-sociale della religione), che si concretizza ne La vita di Gesù e in La positività della religione cristiana. Nel 1797 Hegel si sposta a Francoforte...

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Didascalia alternativa:

grazie ad un impiego, sempre da precettore, procuratogli da Hölderlin; la vicinanza con l'amico si riflette nella produzione dell'epoca, da Lo spirito del Cristianesimo e il suo destino fino al Frammento del sistema, opere con cui si allontana ulteriormente dal pensiero kantiano in materia di religione. Nel 1799 muore il padre, e l'eredità ricevuta gli permette di abbandonare la carriera di precettore e di dedicarsi alla carriera accademica. Approda così nel 1801 a Jena, l'università tedesca più attiva e stimolante di quel momento, e ottiene poco dopo il suo arrivo l'abilitazione all'insegnamento. Qui Hegel rincontra l'amico Schelling, anch'egli professore a Jena, e i due iniziano a lavorare insieme. Dalla loro collaborazione nasce la rivista "Il giornale critico di filosofia", in cui Hegel si schiera a favore di Schelling nella polemica di quest'ultimo contro Kant, Fichte e Jacobi. HEGEN Nel 1803 Schelling abbandona Jena per Würzburg, e da quel momento oltre alla distanza fisica inizia a interporsi tra i due amici anche una distanza teorica, che si esplicita definitivamente nella Fenomenologia dello spirito, redatta da Hegel a Jena e pubblicata nel 1807 a Bamberg. L'esperienza di Bamberg si conclude col trasferimento a Norimberga, dove Hegel viene chiamato per dirigere il ginnasio locale. Qui Hegel sposa una nobildonna, Maria von Tucher, e mette al mondo due figli, Karl e Immanuel (successivamente i due coniugi accoglieranno in famiglia anche Ludwig, figlio avuto con una affittacamere di Bamberg, Christiane Fischer) Hegel, accanto alla gestione del ginnasio, non tralascia la riflessione e la produzione filosofica, e pubblica la Scienza della logica (1812-16). Nei due anni che vanno dal 1816 al 1818 Hegel fa di nuovo esperienza dell'insegnamento universitario, questa volta a Heidelberg, mentre nel 1817 pubblica l'Enciclopedia delle scienze filosofiche in compendio, che verrà poi rieditato nel 1827 e nel 1830. L'ultima fase della vita di Hegel lo vede professore all'Università di Berlino, città che nel frattempo si è affermata come il più prestigioso polo culturale tedesco. Oltre alle Lezioni universitarie - raccolte postume dagli allievi, e centrali per il lascito hegeliano all'idealismo tedesco - Hegel pubblica nel 1821 i Lineamenti di filosofia del diritto, per poi morire il 14 novembre 1831. LE TESI DI FONDO DEL SISTEMA Per poter comprendere il pensiero di Hegel risulta indispensabile aver chiare, sin dall'inizio, le tesi di fondo del suo idealismo: a) la risoluzione del finito nell'infinito; b) l'identità fra ragione e realtà; c) la funzione giustificatrice della filosofia. FINITO E INFINITO: Con questa espressione, Hegel intende dire che la realtà non è un insieme di sostanze autonome, ma un organismo unitario, detto Assoluto, di cui tutto ciò che esiste è parte o manifestazione. Tale organismo, non avendo nulla al di fuori di sé e rappresentando la ragion d'essere di ogni realtà, coincide con l'Infinito. Lungi dall'essere una totalità armoniosa, l'Assoluto hegeliano si presenta come una totalità articolata che unisce parti, i vari enti del mondo, detti finiti, che sono diverse e anche opposte tra loro, senza annullarne le differenze. L'Assoluto risulta essere quindi l'UNIONE DELL'UNIONE E DELLA NON UNIONE, "sintesi di identità e differenza". Nell'Assoluto, la conflittualità non lacera l'unità ma la rende più ricca, divenendo la condizione che ne favorisce la realizzazione. I finiti, essendo manifestazioni di esso, coincidono con l'infinito. Pertanto, il finito, come tale, non esiste: ciò che noi chiamiamo "finito" è nient'altro che un'espressione parziale dell'Infinito. Infatti, come la parte non può esistere se non in connessione con il Tutto, in rapporto al quale soltanto ha vita e senso, così il finito esiste unicamente nell'infinito e in virtù dell'infinito. Detto altrimenti: il finito, in quanto è reale, non è tale, ma è lo stesso infinito. Se la concezione cristiana si basa sulla fede in un Dio creatore trascendente e ontologicamente distinto dal creato, l'hegelismo si configura come una forma di monismo panteistico: esiste un'unica realtà divina (monismo) di cui il mondo visibile costituisce la realizzazione o la manifestazione. Tuttavia il panteismo di Hegel si differenzia da quello moderno di Giordano Bruno e di Spinoza: per entrambi l'Assoluto è una Sostanza statica che coincide con la Natura ma incapace di spiegare cosa la spinga a differenziarsi in molti concetti e a presentarsi in infinite forme particolari; per Hegel invece l'Assoluto si identifica con un Soggetto spirituale in divenire, come una realtà spirituale che ha il carattere della trasformazione, del continuo "farsi altro", di cui tutto ciò che esiste è un "momento" o una "tappa" di realizzazione. La totalità è movimento, processo, divenire, trasformazione: è - dice Hegel - vita. Le differenze e le opposizioni, come già detto, no si annullano, bensì interagiscono in un processo continuo, in un farsi infinito. Infatti, dire che la realtà non è "Sostanza", ma "Soggetto", significa dire, secondo Hegel, che essa non è qualcosa di immutabile e di già dato, ma un processo di auto-produzione che soltanto alla fine, cioè con l'uomo (= lo Spirito, che è piena "consapevolezza della totalità"), giunge a rivelarsi per quello che è veramente: "Il vero - scrive Hegel nella Prefazione alla Fenomenologia dello Spirito - è l'intero. Ma l'intero è soltanto l'essenza che si completa mediante il suo sviluppo. Dell'Assoluto devesi dire che esso è essenzialmente Risultato, che solo alla fine è ciò che è in verità...". In altre parole, poiché la totalità è processo, la verità è il culmine del processo. Il divenire dello Spirito comprende inevitabilmente momenti drammatici di conflitto, di lacerazione, di sconfitta, in altre parole, di negazioni e differenze, ricondotte ad un'unità superiore, come vedremo, dalla ragione. La filosofia, scrive Hegel, deve attraversare il suo "venerdì santo speculativo" prima di arrivare alla domenica di Pasqua. Ma proprio qui sta la novità di Hegel: il negativo non è l'ultima parola. Il negativo è un momento essenziale del positivo e dell'Assoluto concreto verso cui si tende. Il movimento stesso è reso possibile dalle differenze, o "opposizioni", e dal superamento in un'unità superiore, che genera altre opposizioni e altre unificazioni, e così via. Il pensiero, dunque, è un processo in cui i concetti trapassano l'uno nell'altro, attraverso opposizioni e sintesi continue. RAGIONE E REALTA': Il Soggetto spirituale infinito che sta alla base della realtà viene denominato da Hegel con il termine di Idea o di Ragione. E' proprio l'idea, cioè il pensiero, a permetterci di scoprire nei fenomeni che ci circondano costanti, regolarità, leggi. Tali leggi non esistono soltanto nella nostra mente ma anche nella realtà. Hegel riabilita l'idea greca del logos: il logos è sia l'ordine razionale della realtà, sia il ragionamento, sia il discorso umano sulla realtà. In questo modo Hegel sostiene l'identità di pensiero ed essere, o meglio, di ragione e realtà, vale a dire dell'unità originaria. Per Hegel è quindi inammissibile il dualismo di pensiero e realtà come sostanze separate ed eterogenee. Il pensiero è realtà e la realtà è pensiero, spirito. Ciò implica anche che tra logica ed ontologia (o metafisica) non sussiste alcuna differenza. Da ciò il noto aforisma, contenuto nella Prefazione ai Lineamenti di filosofia del diritto, che è stato oggetto delle più svariate interpretazioni, in cui si riassume il senso stesso dell'hegelismo: Ciò che è razionale è reale; e ciò che è reale è razionale. Con la prima parte della formula, Hegel intende dire che la razionalità non è pura idealità, costruzione astratta, schema, dover-essere, ma la forma stessa di ciò che esiste, poiché la ragione "governa" il mondo e lo costituisce. In altre parole, se l'Assoluto non si incarna nel mondo è vuoto, astratto, formale. Con la seconda parte della formula, Hegel intende affermare che la realtà è una connessione unitaria che ha i caratteri della necessità, cioè non è un confuso insieme di avvenimenti casuali, non è una materia caotica, ma il dispiegarsi di una struttura razionale (l'Idea o la Ragione) che si manifesta in modo inconsapevole nella natura e in modo consapevole nell'uomo: se il reale non si riconosce nel razionale è privo di significato, è senza senso. Per cui, con il suo aforisma, Hegel non esprime la semplice possibilità che la realtà sia penetrata o intesa dalla ragione, ma la necessaria, totale e sostanziale identità di realtà e ragione. Tuttavia tale identità non va intesa semplicemente e staticamente: essa implica anche l'identità fra essere e dover-essere, in quanto ciò che è risulta anche ciò che razionalmente deve essere. Tant'è vero che le opere di Hegel sono costellate di osservazioni piene di ironia e erno a proposito dell'"a atto" e moralistico dover essere che non è, dell'ideale che non è reale. Il mondo, in quanto è e così com'è, è razionalità dispiegata, ovvero ragione reale e realtà razionale che si manifesta attraverso una serie di momenti necessari che non possono essere diversi da come sono. Infatti, da qualsiasi punto di vista guardiamo il mondo, troviamo ovunque, secondo Hegel, una rete di connessioni necessarie e di "passaggi obbligati" che costituiscono l'articolazione vivente dell'unica Idea o Ragione. In altri termini, Hegel, secondo uno schema tipico della filosofia romantica, ritiene che la realtà costituisca una totalità processuale necessaria, formata da una serie ascendente di "gradi" o "momenti", che rappresentano, ognuno, il risultato di quelli precedenti ed il presupposto di quelli seguenti. LA FUNZIONE GIUSTIFICATRICE DELLA FILOSOFIA: Coerentemente con il taleorizzonte teorico, fondato sulle categorie di totalità e di necessità, Hegel ritiene che il compito della filosofia consista nel prendere atto della realtà e nel comprendere le strutture razionali che la costituiscono: "Comprendere ciò che è è il compito della filosofia, poiché ciò che è è la ragione". Compito della filosofia non è quella di dare delle lezioni di razionalità al reale perché il reale è già razionale: a dire come dev'essere il mondo, la filosofia arriva sempre troppo tardi giacché sopraggiunge quando la realtà ha compiuto il suo processo di formazione. Essa, afferma Hegel con un paragone famoso, è come la nottola di Minerva, la civetta che accompagna la dea della sapienza, che inizia il suo volo sul far del crepuscolo, cioè quando la realtà è già bell'e fatta. La civetta, infatti, ha grandi occhi ed è capace di vedere nella notte. Così la filosofia, in una buia epoca di crisi e di passaggio tra il vecchio e il nuovo, ha la capacità di vedere i fenomeni. La filosofia deve dunque "mantenersi in pace con la realtà" e rinunciare alla pretesa assurda di determinarla e guidarla. Deve soltanto portare nella forma del pensiero, cioè elaborare in concetti, il contenuto reale che l'esperienza le offre, dimostrandone, con la riflessione, l'intrinseca razionalità e necessità. Si è sempre visto in essa il simbolo stesso della vocazione contemplativa e della rinuncia alla trasformazione del mondo da parte di Hegel: sembra, infatti, che egli affidi al pensiero il compito di registrare passivamente una situazione storica già svoltasi e di rifugiarsi nella notte della propria interiorità. La filosofia, infatti, non può fornire programmi d'azione politica perchè esprimono consapevolezze che possono maturare solo dopo che un'epoca si è conclusa. In Hegel troviamo un altro animale simbolo in contrappeso alla civetta: la talpa. La talpa, presente nelle berlinesi Lezioni sulla filosofia della storia, costruisce percorsi complessi e ordinati attraverso un lavora sottoterra, uno scavo incessante nel buio più totale, guidata soltanto dall'istinto di un senso dello spazio particolarmente sviluppato. In Hegel, simbolizza il cammino della storia come un progressivo affermarsi della razionalità inconscia contenuta implicitamente nell'attività degli uomini, nella costruzione di un mondo storico. Al contrario, la civetta è capace di vedere nel buio ma non di agire. Il contributo della filosofia consiste (al pari dell'intervento dello Stato nella sfera economica della società civile) nel chiarire e mitigare i conflitti. È un'immagine che proviene dall'Amleto di Shakespeare, un autore che ha avuto un peso enorme in Hegel, molto più di tanti filosofi, grazie alla sua visione tragica, e anche "dialettica", della storia. Quindi mentre la filosofia contempla, la storia lavora. In Hegel queste due immagini hanno un equivalente nei popoli: i tedeschi sono la civetta, sono un popolo contemplativo; i francesi, per converso, agiscono molto, ma magari pensano poco. Per cui Hegel, come il giovane Marx, che fonderà una rivista chiamata Annali franco-tedeschi, è in favore di questa unione virtuosa tra l'intellighenzia tedesca e la capacità politica e trasformatrice dei francesi. In realtà, Hegel esalta il campo d'azione della filosofia, come si legge in una lettere del 1808: "II lavoro teoretico, me ne vado convincendo ogni giorno di più, produce nel mondo più che non il pratico; una volta rivoluzionato il regno della rappresentazione, la realtà effettuale non tiene più". Questi chiarimenti delineano il tratto essenziale della filosofia e della personalità di Hegel. L'autentico compito che Hegel ha inteso attribuire alla filosofia (e ha cercato di realizzare con la sua filosofia) è la giustificazione razionale della realtà, della presenzialità, del fatto. Hegel in un passo dell'Enciclopedia ha precisato che la sua filosofia non può essere scambiata per una banale accettazione della realtà in tutti i suoi aspetti, perché non vanno inclusi nel concetto di "realtà" gli aspetti superficiali e accidentali dell'esistenza. Per Hegel è "razionale" e dunque "reale" ciò che nella storia avanza, producendo effetti, non ciò che nella storia viene colto istantaneamente. Tuttava come possa esistere l'accidentale in una realtà razionale e necessaria resta oscuro. Gli "accidenti" rappresentano ciò che non si lascia ridurre alla ragione, cioè alla sua filosofia. Nella vita ordinaria si chiama a casaccio realtà ogni capriccio, l'errore, il male e ciò che è su questa linea, come pure ogni qualsiasi difettiva e passeggera esistenza. Ma già anche per l'ordinario modo di pensare un'esistenza accidentale non meriterà l'enfatico nome di reale: l'accidentale è un'esistenza che non ha altro maggior valore di un possibile, che può non essere allo stesso modo che é. Ma, quando io ho parlato di realtà, si sarebbe pur dovuto pensare al senso nel quale adopero quest'espressione, giacché in una mia estesa Logica ho trattato anche della realtà, e l'ho accuratamente distinta non solo dall'accidentale, che pure ha esistenza, ma altresì dall'essere determinato, dall'esistenza e da altri concetti. Questo compito egli l'ha affrontato con maggiore energia proprio là dove esso sembra più rischioso: cioè nei confronti della realtà politica, dello Stato: infatti può sembrare ovvio che il mondo naturale sia razionale, in quanto regolato da leggi necessarie, mentre è più difficile riconoscere che qualsiasi costruzione storica dell'uomo sia l'espressione di una necessità razionale, e che quindi debba essere accettata così com'è. A partire da questa precisazione taluni critici hanno negato il carattere giustificazionista della filosofia hegeliana: un filone interpretativo che va da Engels a Marcuse (pensatori della "sinistra rivoluzionaria"), pur ammettendo gli aspetti conservatori del pensiero hegeliano, ha tuttavia cercato di mostrare come esso possa venir letto in modo dinamico e rivoluzionario. Infatti, secondo tali autori l'aforisma di Hegel significherebbe in sostanza che il reale è destinato a coincidere con il razionale, mentre l'irrazionale è destinato a perire. In altre parole, non tutto ciò che è semplicemente esistente è reale, ma ciò che ha la potenzialità di trasformarsi. Ora, questa lettura di Hegel rappresenta, più che un'interpretazione, una correzione di Hegel alla luce degli ideali rivoluzionari dei suoi autori. In conclusione ci sembra che i testi di Hegel documentino in modo chiaro e inequivocabile il suo atteggiamento fondamentalmente giustificazionista nei confronti della realtà. LA DIALETTICA Per Hegel l'assoluto è divenire, e la legge che lo regola è la dialettica. Hegel ne distingue tre momenti: l'astratto o intellettuale, il negativo-razionale, il positivo- razionale. L'astratto (tesi) si ferma alle determinazioni isolate della realtà. Il negativo-razionale (antitesi) nega le determinazioni astratte dell'intelletto, rapportandole con le determinazioni opposte. Il positivo-razionale (sintesi) coglie l'unità delle determinazioni opposte, ricomponendole in modo sintetico. Se l'intelletto è l'organo del finito, la ragione è quello dell'Infinito, lo strumento con cui il finito viene risolto nell'Infinito. Globalmente considerata, la Dialettica consiste quindi nell'affermazione di un concetto astratto e limitato, che funge da tesi; nella negazione di questo concetto e nel passaggio ad un concetto opposto, che funge da antitesi; nell'unificazione della precedente affermazione e negazione in una sintesi positiva comprensiva di entrambi. Riaffermazioni che Hegel focalizza con Aufhebung, che esprime l'idea di un superamento che è, al tempo stesso, un togliere e un conservare. La dialettica illustra la risoluzione del finito nell'infinito. Essa mostra come ogni finito non possa esistere in se stesso, ma è obbligato ad opporsi ad altro ed entrare in una trama di relazioni. La dialettica ha un significato ottimistico, perché essa ha il compito di unificare il molteplice, conciliare le opposizioni. Hegel opta per una dialettica a sintesi finale chiusa, con un preciso punto d'arrivo. Hegel rifiuta la maniera illuministica di rapportarsi il mondo. Gli illuministi, facendo dell'intelletto il giudice della storia, sono costretti a ritenere che il reale non è razionale, dimenticando che la vera ragione (lo Spirito) è proprio quella che prende corpo nella storia e abita in tutti i momenti di essa. L'avversione ai Lumi si accompagna all'opposizione a Kant, fautore di una filosofia del finito. Hegel è anche un critico severo delle posizioni del circolo romantico, cui contesta il ripiegamento sul proprio io e il primato del sentimento, dell'arte o della fede, sostenendo che la filosofia è una forma di sapere mediato e razionale. Hegel non costituisce comunque un superamento del romanticismo, ma il diverso esito di una direzione di sviluppo della cultura romantica. A Fichte, Hegel rimprovera di ridurre l'oggetto a semplice ostacolo esterno dell'lo, e l'Infinito a semplice metà ideale dell'io finito. Questo progresso infinito è per Hegel il cattivo infinito; non supera veramente il finito perché lo fa continuamente risorgere. Hegel critica anche Schelling perché quest'ultimo concepisce l'Assoluto in modo a-dialettico. LA FENOMENOLOGIA DELLO SPIRITO Nel 1807 Hegel pubblica la Fenomenologia dello spirito, opera in cui studia come lo spirito si manifesta nella realtà attraverso la coscienza umana. Fenomenologia significa infatti "scienza di ciò che appare". La Fenomenologia è divisa in due parti: -nella prima viene studiato come lo spirito si manifesta nei singoli individui -nella seconda parte viene studiato come lo spirito si manifesta nelle collettività Attraverso questi due passaggi viene quindi spiegato come lo spirito trovi una sua prima espressione innanzitutto nell'individualità, trovando però un suo pieno compimento solo nelle manifestazioni collettive, universali. Ognuna delle due parti è suddivisa in tre gradi di manifestazione dello spirito, secondo un andamento di tipo dialettico. Per quanto riguarda la prima parte questi sono: -la coscienza (tesi) -l'autocoscienza (antitesi) -la ragione (sintesi) Per quanto riguarda la seconda parte questi sono: -lo spirito (tesi) -la religione (antitesi) -il sapere assoluto (sintesi) In ognuno di questi gradi il percorso dello spirito è presentato da Hegel attraverso delle cosiddette "figure idealtipiche", ovvero figure simboliche che rappresentano un momento dello spirito, ovvero un certo momento storico, culturale o filosofico. Qui andiamo ad analizzare solo la prima parte, che è quella su cui lo stesso Hegel si è soffermato maggiormente, in quanto i contenuti della seconda sono stati affrontati dal filosofo con più precisione in altre opere. la conoscenza- La coscienza è descritta da Hegel come il momento in cui il soggetto pensa di incontrare la verità fuori di sé, nell'oggetto, ovvero nella natura. La coscienza è rappresentata da tre figure: -certezza sensibile -percezione -intelletto LA CERTEZZA SENSIBILE: La certezza sensibile è il momento in cui la coscienza avverte come reale quello che può conoscere attraverso i sensi. Per fare un esempio: se ci troviamo di fronte a una mela riteniamo quella mela sicuramente reale perché attraverso il tatto, la vista, l'olfatto e via dicendo possiamo verificare la sua esistenza. Questo tipo di conoscenza, che appare la più solida, ci pone però dei problemi: 1. i sensi ci possono ingannare 2. attraverso i sensi possiamo conoscere solo quello che è davanti a noi, ciò che è ora e qui. Ma questo vuol dire che la conoscenza è molto limitata, perché, per rimanere nell'esempio, posso essere certo della mela che ho ora di fronte a me, ma di questa mela domani, che non sarà più davanti a me, non potrò dire nulla di certo 3. questa conoscenza è molto limitata, non diventa mai generale. Rimaniamo sempre nell'esempio: nel momento in cui conosciamo questa mela, conosciamo solo questo singolo oggetto, non abbiamo una conoscenza delle mele in generale LA PERCEZIONE: Emersi i limiti della certezza sensibile, subentra il secondo momento che è la percezione. Cerchiamo quindi di capire cosa si intende con questo termine. La conoscenza che abbiamo espresso della mela si fonda su concetti come "qui", "ora", "questo". Ma questi concetti a chi appartengono? Alla mela? A ciò che è fuori di noi? Ovviamente no, ma al soggetto che percepisce la mela e dice: "questa mela è qui e ora". E aggiungiamo un altro elemento: attraverso i sensi noi percepiamo dati molteplici della realtà. I colori, gli odori e via dicendo. Ma è l'io che unifica questi dati nel momento in cui percepisce la realtà e arriva a definire un'unica sostanza affermando: "questa è una mela”. Praticamente comincia a realizzarsi uno slittamento della conoscenza: il soggetto comincia a comprendere che la conoscenza appartiene a chi la esprime. L'INTELLETTO: si giunge così alla terza figura, quella dell'intelletto che rappresenta la chiusura del cerchio della coscienza. L'intelletto è il momento in cui l'io comprende che la realtà, per dirla con termini kantiani, è un fenomeno: gli oggetti non esistono in quanto tali, ma come realtà che l'io si rappresenta nella sua coscienza. La coscienza, dunque, non è coscienza di quello che è fuori di noi, ma è dentro di noi. La coscienza si fa così autocoscienza, ovvero coscienza della propria coscienza. Entriamo così nel secondo grado di sviluppo dello spirito. l'autocoscienza- L'autocoscienza è descritta da Hegel come il momento in cui il soggetto non cerca più la verità nella natura, ma all'interno di sé stesso. I passaggi dell'autocoscienza sono tre: 1. La dialettica servo-padrone 2. Stoicismo e scetticismo 3. La coscienza infelice LA DIALETTICA SERVO PADRONE: Nel momento in cui la coscienza si fa autocoscienza sorge un problema: l'autocoscienza avverte l'esistenza dell'autocoscienza degli altri e quindi cerca un riconoscimento di sé negli altri. Questa volontà di vedersi riconosciuti finisce per generare un conflitto, in quanto ogni autocoscienza vuole affermare se stessa, la propria indipendenza e la propria visione del mondo. In questo scontro fra autocoscienze vi è chi è disposto a lottare fino all'ultimo e chi invece pur di avere salva la vita è disposto a rinunciare alla propria indipendenza. Da un lato si crea così la figura del signore, dall'altro quella del servo: si produce così la prima figura dell'autocoscienza, ovvero la dialettica servo-padrone. Il signore è colui che si è imposto sul servo, il quale a sua volta si è sottomesso al signore e vive al suo servizio. Ma il rapporto fra i due ruoli presto si ribalta: il signore infatti finisce per avere necessariamente bisogno del servo per vivere, perché senza di esso non è in grado di procurarsi i beni di cui ha bisogno. In altre parole: il signore diventa servo del servo. Il servo, viceversa, diventa libero, in quanto mettendosi a servizio del signore impara a disciplinare i propri impulsi naturali e attraverso il lavoro produce cose di cui non si serve, e quindi impara a essere indipendente dagli oggetti. Attraverso la dialettica servo-padrone, lo spirito inizia così un percorso sempre più interno al soggetto, con cui il soggetto cerca una liberazione dall'oggetto, ovvero dalla natura e dai suoi mezzi. LO STOICISMO E LO SCETTICISMO: Dopo la dialettica servo-padrone giunge la seconda figura, quella del confronto fra il filosofo stoico e il filosofo scettico. Questa figura rappresenta l'evoluzione filosofica della volontà dello spirito di liberarsi dalla dipendenza dalla natura. Il filosofo stoico è colui che cerca di liberarsi dalle passioni, rendendosi indipendente dai condizionamenti della realtà esterna. Lo stoico però, così facendo, nel suo tentativo di trovare la libertà interiore continua a sentire l'esistenza della realtà esterna. Lo stoico diventa così lo scettico, rappresentante di una filosofia che pretende di sospendere ogni possibile giudizio sulla realtà delle cose, di affermare dunque che nulla è vero. Il filosofo scettico va però incontro a un fallimento perché cade in contraddizione: nel momento in cui sostiene che nulla sia vero finisce per affermare una verità e quindi toglie fondamento alla possibilità di negare ogni verità. La sua ricerca dunque fallisce. LA COSCIENZA INFELICE: Dal fallimento dello stoicismo nasce la terza figura dell'autocoscienza: la coscienza infelice. La coscienza infelice è lo spirito che, negata ogni verità nella natura, cerca la verità in un oltre la natura, in Dio. Questa coscienza è però per l'appunto infelice in quanto la verità, essendo al di là della natura, non è raggiungibile. Questa separazione fra soggetto e Dio, fra soggetto e verità, inizia secondo Hegel con l'ebraismo che colloca l'assoluta verità in un Dio totalmente trascendente, ovvero totalmente separato dal mondo. A tentare di superare questa separazione è il cristianesimo, che con la figura di Cristo rende Dio incarnato e dunque accessibile. Ma di una accessibilità soltanto sempre apparente. Il discorso di Hegel si riferisce in particolare al cristianesimo medievale, che rappresenta il momento in cui la religione incide maggiormente sulla vita sociale e politica, basti pensare ad esempio al fiorire dello stile di vita monacale o all'epopea della crociate. Nelle sue estreme conseguenze è durante il cristianesimo medievale che la coscienza raggiunge il suo massimo grado di infelicità, attraverso le figure degli asceti, coloro che mortificano il proprio corpo arrivando così a negare il proprio io nell'estremo tentativo di trovare Dio. La coscienza infelice, attraverso l'ascetismo, rappresenta dunque la massima caduta dello spirito. Ma giunto nel punto più basso, lo spirito ribalta i ruoli: attraverso la coscienza infelice si manifesta infatti l'estremo tentativo di raggiungere Dio, ma nel momento in cui questo tentativo fallisce, lo spirito comprende che Dio non va cercato all'esterno, ma all'interno, nel soggetto stesso. ·la ragione. - Passiamo così dal secondo grado dello spirito, quello dell'autocoscienza, al terzo grado, quello della ragione. La ragione rappresenta, filosoficamente, il momento in cui l'uomo ha posto il fondamento di ogni conoscenza sulla ragione stessa. Storicamente questo è il passaggio dal mondo medievale, in cui la religione rappresenta il fondamento della società, all'età moderna, dove nasce la nuova scienza. Hegel descrive la ragione come il momento di sintesi fra coscienza e autocoscienza, in cui lo spirito avverte l'unità fra soggetto e oggetto, fra individuo e natura. I passaggi della ragione sono: 1. Ragione osservativa 2. Ragione attiva 3. Individualità in sé e per sé LA RAGIONE OSSERVATIVA: Da un punto di vista culturale la ragione osservativa è quel percorso di conoscenza filosofica rappresentato dal Rinascimento e dai suoi sviluppi, in cui l'uomo, attraverso l'osservazione della natura, finisce per pensare di essere in grado di dominare la natura stessa. La ragione osservativa si risolve però in uno scacco: ridurre ogni conoscenza a pura conoscenza materiale della natura, toglie uno spazio spirituale alla realtà. Lo spirito così rischia di eliminare se stesso. LA RAGIONE ATTIVA: Questa crisi tenta di essere superata dalla seconda figura, ovvero la ragione attiva. In questa seconda figura, la ragione comprende che non può trovare se stessa esclusivamente nella natura esterna, ma deve realizzare una unità fra se stessa e il mondo esterno. Inizia così un percorso però anch'esso fallimentare: la ragione individuale osserva il mondo sociale intorno a sé e lo trova ingiusto, immorale e cerca così di imporre la propria visione, di imporre alla società ciò che essa stessa ritiene virtuoso. Qui si apre però una contraddizione: per imporre la propria visione virtuosa del mondo, la ragione deve imporsi sulla realtà concreta e piegarla alle proprie prospettive. Ma qui nascono e il fanatismo e le storture storiche come il Terrore giacobino nel corso della rivoluzione francese, che nasce come tentativo di realizzare una società migliore, ma che per produrre questa società finisce per dare vita a una drammatica repressione delle opposizioni. La ragione attiva fallisce così nel suo tentativo di modellare il mondo a propria immagine e si giunge al terzo momento, quello dell'individualità in sé e per sé. L'INDIVIDUALITA' IN SE E PER SE: L'individualità in sé e per sé è innanzitutto il chiudersi in se stessi, il dedicarsi ai propri interessi, ai propri doveri. A partire da questo punto nascono poi le figure della "ragione legislatrice" e "la ragione esaminatrice delle leggi": ovvero, l'individuo cerca in sé la legge morale e finisce per elevare questa legge a legge universale. Ma così facendo l'io si pone al di sopra delle leggi. Anche in questo caso quindi la ricerca dello spirito cade in contraddizione, perché rimane l'impossibilità di coniugare lo spirito individuale con la pretesa dell'universalità. Si entra così nella seconda fase della ricerca della Fenomenologia. Lo spirito supera le contraddizioni di questa prima parte del percorso comprendendo che la ragione nella storia non è impressa dai singoli individui, ma dalle collettività e dalle loro istituzioni storiche e culturali. Ma questa è un'altra storia che, come detto, non affronteremo. ·la filosofia dello spirito - Nella filosofia dello spirito Georg Wilhelm Friedrich Hegel espone come l'individuo umano, mediante l'attività conoscitiva e pratica, si eleva all'universale. Se la natura è il dominio della necessità, lo spirito è il regno della libertà e, perciò, l'idea - che si era persa nelle molteplici determinazioni della natura - ora ritorna infine nel suo elemento spirituale, diviene così autoproduzione di sé. Partizione: Vi sono tre tappe nello sviluppo dello spirito umano: in primo luogo l'uomo nella sua immediatezza; in secondo luogo il mondo della storia, in cui si sviluppano i suoi rapporti sociali e, infine, le forme superiori della cultura umana. 1. Nello spirito soggettivo, uno spirito ancora individuale, Hegel analizza l'uomo nel suo emergere dalla naturalità delle passioni. 2. Nello spirito oggettivo, sovra-individuale o sociale, Hegel analizza l'uomo che crea un mondo di relazioni non governato dalla necessità naturale, ma da convenzioni e da leggi da lui stesso formulate, che esprimono e rendono manifesta la sua libertà interiore. 3. Nel terzo e ultimo momento dello spirito assoluto, si supera la finitezza dei due momenti precedenti. Lo spirito, infine, conosce se stesso come l'assoluto in modo graduale, mediante il progressivo sviluppo delle forme superiori della cultura umana: l'arte, la religione e la filosofia. I gradi di detto sviluppo non sussistono più uno accanto all'altro, come avveniva nella natura con, ad esempio, il mondo vegetale e il mondo animale, ma sono ricompresi e risolti nel grado superiore, come l'individuo che non esiste al di fuori della società, ma si afferma e si pone per sé al suo interno. Siamo così finalmente entrati nella sfera dello spirito assoluto, così detto in quanto riconosce se stesso come anima e contenuto della realtà che è, perciò, razionale. · spirito soggettivo- Nella filosofia dello spirito soggettivo Hegel delinea il percorso compiuto dall'individuo dall'emergere della sua coscienza dal mondo naturale, attraverso un percorso che va dalle forme più elementari della vita psichica, alle più elevate attività conoscitive e pratiche. Partizione: Lo spirito soggettivo si suddivide e articola nel suo sviluppo in tre grandi momenti: l'antropologia, la fenomenologia e la psicologia. 1. L'ANTROPOLOGIA: Nell'antropologia Hegel analizza l'elevarsi dell'anima dalla natura, a partire dalla fase aurorale della vita cosciente che rappresenta ancora una sorta di dormiveglia dello spirito. Protagonista di tale percorso è l'anima quale complesso di legami fra il mondo della natura e lo spirito. 1.1 L'ANIMA NATURALE: infanzia, giovinezza, maturità e vecchiaia - Si muove dall'anima naturale, in cui Hegel analizza le funzioni vitali, le caratteristiche somatiche, le differenze di sesso e di età. Queste ultime sono: l'infanzia, in cui si produce un'armonia fra l'individuo e il mondo circostante; la giovinezza, in cui l'individuo con i suoi ideali e speranze entra in contrasto con il proprio ambiente; la maturità quale riconciliazione con l'ambiente mediante il riconoscimento della necessità oggettiva, sino all'abitudine che ottunde: caratteristica della vecchiaia. 1.2. L'ANIMA SENZIENTE: II secondo momento è rappresentato dall'anima senziente, in cui Hegel analizza il mondo dei sogni, i fenomeni della chiaroveggenza, i sensitivi e la follia. 1.3. L'ANIMA REALE: Il terzo momento è costituito dall'anima reale, quale dominio della corporeità che rispecchia l'anima reale nel portamento, nei gesti, negli atteggiamenti, nel carattere e nel temperamento che un individuo viene sviluppano. 2. LA FENOMENOLOGIA: Si passa poi alla fenomenologia, in cui Hegel analizza lo spirito nel suo rapporto con la realtà esterna. In questa sezione del sistema Hegel sintetizza per sommi capi le prime tre sezioni della Fenomenologica dello spirito, ossia la coscienza, l'autocoscienza e la ragione. 3. LA PSICOLOGIA: Infine, nella psicologia Hegel analizza lo spirito nella sue manifestazioni universali quali: il conoscere teoretico e l'attività pratica, mostrando che non c'è scissione fra intelligenza e volere. 3.1 IL CONOSCERE: Questo primo momento è inteso da Hegel quale totalità di determinazioni - dall'intuizione, alla rappresentazione e al pensiero, mediante cui la ragione ritrova se stessa nel proprio contenuto, nel linguaggio. 3.2 L'ATTIVITA' PRATICA: Tale secondo momento è costituito da una unità di manifestazioni - che vanno dal il sentimento pratico, agli impulsi e alla felicità - mediante cui lo spirito soggettivo giunge infine in possesso di sé divenendo libero, determinandosi indipendentemente dalle condizioni accidentali che lo limitano dall'esterno. Vi è una tensione al dover essere, il cui appagamento nella felicità apre la strada alla volontà libera, che per realizzarsi quale spirito libero deve superare la dimensione individuale. spirito oggettivo- L'analisi dello spirito oggettivo è suddivisa in tre parti: -diritto -moralità -eticità IL DIRITTO è la prima forma che riguarda il vivere in società, perché la legge è ciò che rappresenta il "contratto" che regola i rapporti fra individui, attraverso una serie di sanzioni e pene. Il diritto di per sé non eleva però spiritualmente l'uomo: il rispetto delle leggi dello stato riguarda infatti una sfera esteriore del comportamento dell'uomo nella società. Detto in altri termini: rispettare la legge non vuol dire di per sé riconoscere la moralità della legge. Questo ci porta all'antitesi del diritto che è la moralità. Mentre il diritto riguarda la volontà esteriore e si concretizza nelle azioni concrete, LA MORALITA' riguarda totalmente la sfera soggettiva. Qui non conta l'azione in sé, ma come spiegava già Kant, il proponimento interiore. La morale di un individuo non si misura sul rispetto o meno della legge, ma dall'intenzione interiore che muove il soggetto a rispettare la legge. Questo aspetto ci porta però ad un altro limite: il proponimento rimane un fatto individuale, che si concretizza nell'interiorità del singolo individuo, dunque non può farsi collettivo, universale. La legge morale in sé e per sé conduce dunque, secondo Hegel, all'individualismo e al soggettivismo, a quelle che Hegel definisce, in maniera sprezzante, le "anime belle", ovvero quegli individui che si compiacciono della propria coscienza, del proprio livello morale e 1) rifiutano un confronto concreto con la realtà. Posti il diritto da un lato e la morale dall'altro, il superamento dei limiti reciproci si ha con la sintesi, ovvero l'eticità. L'ETICITA' è descritta da Hegel come morale sociale. Qui abbiamo quindi la sintesi fra l'aspetto sociale del diritto e l'aspetto morale del seguire il diritto, che però non è più vissuto come un fatto individuale, ma collettivo. L'eticità si concretizza a sua volta tramite tre forme istituzionali. -la prima è la famiglia, intesa come formazione collettiva in cui lo stare insieme è un fatto naturale e condiviso, si produce il bene naturalmente, per affetto stesso degli altri componenti di questa piccola comunità -la seconda è quella che Hegel chiama società civile, in cui i rapporti fra i membri della comunità non sono determinati dall'affetto ma dalla convenienza In questa contrapposizione fra famiglia e società civile, Hegel compie di fatto un'analisi della storia politica. La famiglia rappresenta il mondo antico della pòlis, la città-stato che rappresenta una sorta di macro-famiglia, in cui l'individuo non è mai inteso come singolo, ma come parte della città. Da un punto di vista filosofico questo discorso richiama il pensiero politico di Aristotele, che definisce l'uomo un animale sociale, ovvero naturalmente inserito in una comunità a cui è inesorabilmente legato. Dall'altra parte, con il concetto di società civile, abbiamo la società liberale che si è affermata nell'età moderna, una società in cui si è affermato il concetto dei diritti naturali, in cui dunque l'individuo rivendica uno spazio di piena indipendenza dallo Stato. Da un punto di vista filosofico, qui la rottura emerge con il pensiero dei giusnaturalisti contrattualisti, come ad esempio Locke, i quali affermano che i diritti dell'individuo precedono lo Stato e sostengono dunque che lo Stato non è un fatto naturale ma una costruzione artificiale che gli uomini si danno per libera volontà per garantire la difesa dei diritti individuali. L'opposizione fra il modello di unità famigliare, che ha il limite di rivolgersi a una comunità troppo ristretta, e quello di società civile, che nega il legame di condivisione naturale che esiste fra i cittadini, è quello che Hegel definisce Stato etico. Per Stato etico si intende un tipo di stato organico, ovvero in cui gli interessi particolari dei cittadini devono coesistere con il bene comune. Nello stato etico si realizza la perfetta sintesi fra diritto e morale, perché qui non vi è più separazione fra legge e morale: il cittadino riconosce il valore necessario e morale della legge. In questa concezione organicistica dello Stato, si potrebbe dire che lo Stato fonda gli individui, nel senso che lo Stato è sempre superiore al singolo individuo, che esiste nella misura in cui fa parte di una collettività. Lo stato etico rappresenta la massima espressione dello spirito oggettivo, l'orizzonte a cui le collettività devono mirare. A questo punto lo spirito è pronto a farsi assoluto, ovvero liberarsi da ogni possibile limite e prendere così piena coscienza di sé. spirito assoluto - Lo spirito assoluto si manifesta attraverso tre vie, che rappresentano dunque tre modi diversi di espressione dello stesso contenuto. Queste tre forme sono: -arte -religione -filosofia Per ARTE si intende intuizione sensibile dell'Assoluto. Intuizione vuol dire che la coscienza dell'Assoluto avviene in maniera immediata, non ragionata. Sensibile perché l'arte si manifesta attraverso forme sensibili. Hegel individua tre momenti della storia dell'arte che si differenziano fra di loro nel rapporto fra contenuto (ovvero intuizione dell'Assoluto) e forma (ovvero la tipologia della materia artistica). • ARTE SIMBOLICA: con questo termine Hegel si riferisce all'arte delle civiltà dell'Antico Oriente. È definita simbolica perché lo scopo è utilizzare la materia artistica per riferirsi a significati astratti. Quest'arte è caratterizzata da un eccesso della forma (pensiamo ad esempio alle piramidi) rispetto al contenuto. Detto in altri termini: l'intuizione dell'assoluto è ancora debole e per esprimerla si utilizza una quantità eccessiva di materia, spesso in maniera sfarzosa • ARTE CLASSICA: termine con cui ovviamente Hegel pensa all'arte dell'antichità greca. Qui abbiamo un equilibrio fra contenuto e forma. Ovvero vi è un rapporto perfetto fra il contenuto che si vuole esprimere e la materia utilizzata. È un'arte dunque pienamente armonica, in cui non vi è nessun eccesso: basti pensare alle opere della statuaria greca, che rimandano sempre all'idea di equilibrio e serenità. • ARTE ROMANTICA: termine con cui Hegel parla in generale dell'arte che si sviluppa nell'Europa prima medievale e poi moderna. Qui di nuovo vi è uno squilibrio fra contenuto e forma, ma stavolta a vantaggio del contenuto. Nell'arte romantica si è infatti raggiunto un livello così denso di comprensione dell'Assoluto, che la forma sparisce di fronte ad esso. Le forme più avanzate di questa arte sono infatti la musica e la poesia, ovvero forme artistiche in cui la materia sensibile è sostanzialmente sparita. Oltre l'arte romantica non vi è più possibilità di esprimere l'Assoluto attraverso l'arte. Hegel introduce il concetto di "morte dell'arte". Nell'arte romantica si è infatti raggiunto il limite estremo della forma artistica, una volta che questa si è dissolta ne parole e nella musica. Per arrivare a esprimere l'Assoluto l'arte romantica ha perso la possibilità dell'equilibrio estetico che apparteneva all'arte classica (pensiamo ad esempio a quadri come "L'urlo" di Munch). Questo vuol dire che raggiunto questo estremo, l'Assoluto non può più esprimersi attraverso l'arte ma appunto necessita di altre vie, che sono quelle già citate della religione e della filosofia. Si passa così alla RELIGIONE, che è descritta da Hegel come rappresentazione dell'Assoluto. Per rappresentazione si intende il fatto che l'Assoluto è descritto in maniera metaforica, una metafora che assume la forma della divinità e il modo di rappresentare questa divinità. La religione è qualcosa a metà strada fra l'espressione dell'Assoluto attraverso forme sensibili e una rappresentazione puramente concettuale che è la filosofia. Lo sviluppo della religione avviene attraverso quattro stadi: -religione naturale: le prime forme religiose, in cui i fenomeni naturali assumono sembianze divine -religioni della libertà: definizione con cui Hegel si riferisce alle religioni dell'antico Oriente, ad esempio quella egizia, in cui la divinità è espressa ancora dentro alla natura, ma in cui comunque vi è l'intuizione della libertà del divino, inteso ora come spirito libero -religioni dell'individualità spirituali: dal giudaismo alla religioni greca e romana, in cui la divinità è espressa attraverso le sembianze umane -religione assoluta: che per Hegel è la religione cristiana, ovvero la religione che intende Dio come spirito infinito. La religione cristiana è la forma più piena di comprensione dell'Assoluto perché da un lato attraverso la figura di Cristo è in grado di pensare il rapporto fra finito e infinito, dall'altro attraverso la triade Padre-Figlio-Spirito Santo è in grado di comprendere la natura dialettica dello spirito. In altri termini la religione cristiana si fonda su quei pilastri, il rapporto finito-infinito e la dialettica, che sono propri della struttura dello spirito, secondo i canoni dell'idealismo di Hegel. Il limite della religione cristiana, e in generale della religione, è che però è limitata da due punti di vista: 1. pensa alla divinità come un qualcosa di separato dal mondo, mentre per l'idealismo di Hegel questa separazione non ha senso 2. non è in grado di dare una piena comprensione dell'Assoluto, nel momento in cui ricorre al dogma quando non è in grado di spiegare Dio, mentre per l'idealismo ogni aspetto dell'Assoluto è comprensibile, secondo lo schema per cui il reale è razionale La religione quindi trova anch'essa un limite nella rappresentazione dell'Assoluto, che a questo punto deve percorrere una terza strada, quella della filosofia. La FILOSOFIA è descritta come espressione dell'Assoluto attraverso concetti, ovvero attraverso il pensiero razionale. Qui la comprensione dell'Assoluto giunge alla sua più piena espressione in quanto non deve ricorrere né alla mediazione di forme sensibili, come l'arte, né alla metafora rappresentativa, come nella religione. La filosofia invece è puro pensiero che coglie l'intima natura razionale dello spirito. Per filosofia, Hegel si riferisce all'intera storia della filosofia. I singoli passaggi filosofi rappresentano i vari tasselli della comprensione dell'assoluto. Attraverso l'idea che la filosofia rappresenti la più adeguata comprensione dello spirito, Hegel non fa che ribadire i pilastri del suo pensiero. Come abbiamo visto nell'introduzione al pensiero di Hegel, la filosofia ha infatti il compito di giustificare la realtà, ovvero di ricostruire i passaggi razionali del compiersi dell'Assoluto, rintracciando così il costante legame tra razionale e reale.