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Johann Gottlieb Fichte

6/10/2022

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Johann Goutier Fichte
Critici immediati di Kant e dibattito sulla cosa in sè: Prima di Fichte, fondatore vero e
proprio dell'idealismo, ci s

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Johann Goutier Fichte Critici immediati di Kant e dibattito sulla cosa in sè: Prima di Fichte, fondatore vero e proprio dell'idealismo, ci sono alcuni filosofi successivi a Kant (Reinhold, Schulze, Maimon e Beck) che mettono le basi di questa nuova dottrina filosofica. In particolare questi criticano il dualismo assoluto, cioè la distinzione kantiana tra fenomeno e noumeno. La contraddizione di Kant sta nel fatto che afferma l'esistenza della cosa in sè, ma dice che non si può conoscere. Il ragionamento da cui partono questi filosofi è che ogni realtà che noi conosciamo è una rappresentazione della coscienza e questa è condizione indispensabile per il sapere. Se l'oggetto è concepibile solo in merito a una cosa che lo rappresenta (coscienza), come si può ammettere l'esistenza della cosa in sé se questa non può essere percepita da sola, ma solo come rappresentazione della coscienza? Seconda critica che viene mossa a Kant è la tesi secondo cui il filosofo si sarebbe contraddetto dicendo che la cosa in sé è causa delle nostre sensazioni: se così fosse al noumeno verrebbe applicato il concetto di causa/effetto che invece è tipico de fenomeno. In realtà tutte queste osservazioni critiche a Kant rimangono prevalentemente sul piano gnoseologico, cioè non ancora incentrato sulla tesi metafisica di un lo creatore e infinito: questo passaggio avverrà...

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Didascalia alternativa:

con Fichte. IDEALISMO ROMANO TEDESCO: In italiano per idealista si intende colui che è attratto da valori etici o religiosi per i quali è disposto a sacrificare la propria vita. In filosofia si parla di idealismo per identificare quelle visioni del mondo che privilegiano la dimensione ideale rispetto a quella reale. In particolare in filosofia è utilizzata per alludere o alle forme di idealismo gnoseologico o alle forme di idealismo romantico o assoluto. Nel primo caso ci si riferisce a quelle forme di idealismo dove l'oggetto della conoscenza è l'idea o la rappresentazione; nel secondo si mira a sottolineare che lo Spirito è il principio di tutto e che al di fuori di esso c'è il nulla. L'idealismo romantico sorge quando Fichte, partendo dalle critiche a Kant, abolisce il noumeno o cosa in sé a favore di un'entità creatrice e infinita. La massimo dell'idealismo tedesco è che "tutto è spirito". Con il termine spirito si intende la realtà umana come attività conoscitiva e pratica come libertà creatrice. Le domande che ci si pone con lo studio sono "Come mai lo spirito è fonte creatrice dell'universo?" e "Che cosa è per gli idealisti la natura?". La risposta la troviamo nella dialettica, ossia nel fatto che non esiste una sintesi o spirito che non sia la risoluzione tra tesi e antitesi, dove l'antitesi è la natura. Nel momento in cui l'uomo è la ragion d'essere dell'universo, possiamo dire che l'uomo coincide con l'Assoluto quindi con il Dio. Con l'idealismo abbiamo un panteismo spiritualistico, dove l'uomo è lo spirito operante del mondo, quindi è Dio. Nella stessa direzione possiamo dire che l'idealismo è anche un monismo dialettico, perché esiste un'unica sostanza positiva (lo spirito) che si realizza attraverso la negazione (natura/ antitesi). LA VITA Fichte nasce in una famiglia poverissima. Studia a Jena e a Lipsia e lavora inizialmente come precettore. Entra in contatto con Kant a Lipsia: la sua prima opera Saggio di una critica di ogni rivelazione è ispirato al kantismo, tanto che compare anonimo e fu scambiato per uno scritto di Kant. Durante il governo prussiano questo saggio e altri vennero censurati e Fichte indignato passò a difendere la libertà. Dal 1794 al 1799 Fichte è professore all'università di Jena e poi è costretto ad allontanarsi a causa di una sua dichiarazione dove identificava Dio con l'ordine morale del mondo e quindi veniva accusato di ateismo. Fichte si reca dunque a Berlino, dove al momento dell'invasione napoleonica pronunciò i famosi Discorsi alla nazione tedesca. GLI SCRITTI La caratteristica della personalità di Fichte è quella di sentire dentro di sé l'esigenza dell'azione morale. Nella seconda parte della sua vita questa azione morale sarà sostituita dalla fede religiosa. Nel complesso quindi la sua personalità ha un'orientamento etico- religioso. A differenza di Kant, al quale comunque si è ispirato nel primissimo periodo, egli vuole formare una filosofia dell'infinito, dove l'infinito è l'uomo stesso. Negli ultimi scritti, pubblicati postumi dal figlio, Fichte esponeva i capisaldi del suo sistema e della dottrina della scienza. Infinità dell'lo: Kant aveva riconosciuto nell'io penso il principio di tutta la conoscenza, ma limitato alla cosa in sè. Con Fichte l'lo diventa l'unico principio materiale e formale del conoscere: quindi non è solo finito, ma anche infinito. Il rendere infinito l'lo contribuisce anche a renderlo libero, in modo assoluto. La deduzione di Fichte pone o crea il soggetto e l'oggetto come attività creatrici. LA DOTTRINA DELLA SCIENZA Per Fichte la dottrina della scienza è la scienza universale che individua il principio su cui si fonda la validità di ogni altra scienza. Egli ripropone il problema del fondamento del sapere. Si deve porre come fondamento l'io, l'autocoscienza. Il fondamento dell'oggetto non è l'oggetto stesso ma il soggetto. La coscienza si fonda su una attività originaria del soggetto che ha per oggetto la coscienza stessa: è autocoscienza. I TRE PRINCIPI DELLA SCIENZA: Fichte ha riassunto la sua tesi del carattere pratico della costruzione del sapere in quanto scienza di tre principi fondamentali. Il primo principio viene espresso con la formula: l'io pone se stesso. L'io, cioè, si afferma come la condizione originaria della conoscenza. l'attività dell'io conoscente trova nei dati sensibili un fattore di passività e di resistenza ma, proprio per questo, afferma se stessa cm qualcosa di irriducibile a quei dati. È a priori, è presupposto di ogni singolo pensiero. Noi la cogliamo attraverso un'intuizione intellettuale. È, invece, l'io penso nella sua spontaneità pura, in quanto coscienza, l'atto con il quale conosce e pone se stesso. Con tale formula, se è vero che a=a è anche vero che io-io. L'io viene definito come attività. Il principio non è, ma tende ad essere. Ma se l'io pone se stesso, pone anche qualcosa che è altro da se. In altri termini, l'autocoscienza dell'io si manifesta cm sapere circa qualcosa. Ciò viene espresso con la formula: l'io pone il non-io. Il pensiero deve passare da un dato all'altro, da una realtà ad un'altra, per funzionare come pensiero. Deve negarsi come autocoscienza ed essere coscienza di altro, di ciò che non è io. Se il primo principio costituisce la tesi, questa è l'antitesi, che è altrettanto necessaria per spiegare il movimento del conoscere. Esso innova profondamente la tradizione in quanto implica la contraddizione. L'io per cercare di realizzarsi, deve contrapporre a se stesso, in se stesso, un altro da se. Se l'io è infinito, il non-io sarà finito. Il non-io non è la natura considerata con i caratteri che le aveva assegnato la concezione meccanicistica. Fichte riprende il concetto kantiano di immaginazione produttiva. Questa, in Kant forniva gli schemi emporali attraverso cui le categorie dell'intelletto potevano applicarsi al materiale della sensibilità. In Fichte ha la funzione della produzione inconscia dei dati della conoscenza. Questo passaggio dall'io al non-io è stato oggetto di critiche severe perché, se tutto è posto nell'io e l'io infinito è assolutamente, non si vede da dove possa essere attinto il non- io. Egli deduce i dati sensibili e il pensiero che li pensa da un unico principio, l'io puro. Questo io puro non è più un io finito, ma è un io infinito che pone egli stesso l'oggetto della conoscenza. Il terzo principio viene espresso con la formula: l'io oppone, nell'io, a un non-io divisibile un io divisibile. Avendo opposto a se stesso, in se stesso, un non-io, l'io si è posto un limite, non è più infinito. È il momento della sintesi, cioè della ricomposizione della tesi con l'antitesi. Proprio mentre viene negato dai dati sensibili l'io si pone cm condizione del non- io. Questi principi chiariscono la dottrina di Fichte che è basata sull'esistenza di un lo infinito; di un lo finito, limitato dal non-io; e dalla realtà di un non-io, cioè del mondo che si oppone all'io finito, ma che si ricompone nell'infinito. I tre principi non vanno interpretati in senso cronologico, ma logico: esiste un lo infinito e pertanto ne deve esistere anche uno finito. In realtà lo scopo di Fichte è quello di mettere in luce che la natura esiste solo come momento dialettico della vita dell'lo. L'io, in base a quanto detto, è finito e infinito al tempo stesso. L'io infinito è la meta di tutti gli lo finiti: quindi l'infinito per gli uomini deve essere una missione. In conclusione l'uomo è in una lotta inesauribile contro il limite; il compito dell'uomo è l'umanizzazione del mondo, il tentativo di spiritualizzare le cose e noi stessi. Lo sforzo dell'uomo è un concetto dinamico che mira all'autoperfezionamento. I tre principi esposti corrispondo alle categorie kantiane di qualità, quantità e relazione. LA STRUTTURA DIALETTICA DELL'IO Presupponendo che la storia del mondo si articoli nei tre momenti di Fichte allora si può concludere che l'lo fichtiano ha una struttura dialettica triadica incentrata sul concetto di sintesi degli opposti (tesi e antitesi). Lo storico De Ruggiero spiega così questo punto: bisogna pensare ad un'attività ritmica che si svolge per la presenza dell'antitesi. Qualsiasi atto mentale senza critica è destinato a disperdersi. Lo schema triadico dunque non fa altro che simboleggiare questo processo. Una volta giunti alla sintesi si ha un periodo di pausa e riposo, ma poi si prevede un nuovo slancio: se non si ha questo nuovo slancio, cioè questa insoddisfazione è la morte. La morte non si intende come morte dell'individuo, ma come una sintesi che rimane limitata e non si protende verso l'infinito. La visione dialettica del reale è una visione dinamica. LA SCELTA TRA IDEALISMO E DOGMATISMO Nella Prima Introduzione alla dottrina della scienza Fichte afferma che esistono due solo sistemi filosofici possibili: il dogmatismo e l'idealismo. La filosofia non è astratta, ma piuttosto una riflessione sull'esperienza che ha scopo quello di scoprire il fondamento dell'esperienza stessa. Siccome nell'esperienza sono in gioco OGGETTO (la cosa) e il SOGGETTO (l'intelligenza) la filosofia può assumere la forma dell'idealismo, che consiste nel puntare sull'intelligenza; oppure del dogmatismo, che consiste nel puntare sulla cosa. L'idealismo consiste nel partire dal soggetto per poi spiegare l'oggetto; il dogmatismo parte dall'oggetto per poi spiegare il soggetto. Secondo Fichte nessuno dei due sistemi riesce a negare direttamente il suo opposto, poiché entrambi presumono l'esistenza del soggetto o dell'oggetto. La scelta fra i due sistemi deriva da una differenza di interesse nell'uomo, cioè da una presa di posizione in campo etico: il dogmatismo finisce sempre per rendere nulla la libertà, fa dell'lo un prodotto delle cose e quindi nega la sua autonomia; l'idealismo si struttura, al contrario, come dottrina della libertà. Il corrispettivo di queste due filosofie sono due tipi di umanità: quelli con temperamento passivo non si sono ancora elevati alla libertà e quindi preferiscono una spiegazione dogmatica che da origine a una filosofia della necessità, quelli di temperamento attivo preferiscono una filosofia della libertà. Fatta questa spiegazione è però necessario precisare che tutta la Dottrina delle scienze di Fichte è volta a spiegare la superiorità dell'lo come realtà originaria e assoluta che può spiegare se stessa e le cose, e il rapporto che c'è tra se stessa e le cose. LA DOTTRINA DELLA CONOSCENZA Dall'azione di tesi e antitesi nasce sia la conoscenza che l'azione morale. Il dogmatismo ritiene che la rappresentazione sia data dall'azione della cosa sull'io e quindi sostiene che la cosa sia indipendente dall'lo e precedente a questo. Fichte accetta questa spiegazione, ma aggiunge che il Non-lo, quindi l'antitesi, è formato dall'lo e pertanto l'azione si riflette sul non-lo, ma ha l'origine nell'lo. Fichte dunque è dogmatico e idealista al tempo stesso: dogmatico perché ammette esista un'azione del Non-lo; idealista perché ritiene che alla base ci sia l'lo. A questo punto il problema è capire come mai il Non-lo, quindi l'autocoscienza, si presenta come autonoma quando è invece generata dall'lo? Fichte risponde con la teoria dell'immaginazione produttiva, che corrisponde all'atto di creazione del Non-lo da parte dell'lo. La base è che la coscienza presuppone sempre una situazione in cui un soggetto ha davanti a sè un oggetto; pertanto l'azione di creazione sarà inconscia. La ri-approprazione del Non-lo avviene attraverso un processo di conoscenza che avviene in cinque gradi: SENSAZIONE: I'lo avverte l'oggetto fuori di sè. L'oggetto è un dato che si oppone all'lo. INTUIZIONE: Distinzione fra soggetto e oggetto nelle coordinate spazio-tempo. INTELLETTO: Molteplicità rapporti tra soggetto e oggetto. GIUDIZIO: Fissa la sintesi intellettiva. RAGIONE: Massimo livello conoscitivo. LA DOTTRINA MORALE Il motivo per cui la coscienza ha davanti a sè un lo finito e non Non-lo finito è di natura pratica: l'azione dell'uomo è data dalla conoscenza, ma è anche vero che la conoscenza esiste perché noi agiamo. Quindi, secondo Fichte l'lo pratico (agire) è la ragione stessa dell'lo teoretico (conoscenza). In questo modo Fichte ribadisce quanto già detto da Kant con il primato della ragion pratica sulla ragion teoretica. Il pensiero di Fichte viene dunque denominato idealismo etico. La tesi dell'idealismo è che noi esistiamo per agire e il mondo esiste perché teatro delle nostre azioni. Agire significa imporre al Non-lo la legge dell'lo. L'agire è quindi un imperativo, un dovere, che fa trionfare lo Spirito sulla materia, con la sottomissione dei nostri impulsi alla ragione e con la plasmazione della realtà esterna secondo il nostro volere. Il Non-lo è pero indispensabile all'azione dell'lo: per realizzare se stesso, l'lo (libertà) deve agire moralmente. Già Kant diceva che l'attività morale è ottenuta con un sforzo; in Fichte questo sforzo è l'ostacolo quindi il Non-lo. Per realizzarsi l'lo deve superare l'ostacolo (Non-lo) con un processo di autoliberazione, attraverso cui l'lo mira a diventare infinito. Nell'ultima parte del Sistema della dottrina morale Fichte deduce che il dovere morale può essere realizzato da un io finito insieme ad altri io finiti. Ammettendo l'esistenza di altri essere intelligenti, devo riconoscere che lo scopo della mia esistenza (libertà) è anche il loro. Quindi ogni io finito è costretto a porre dei limiti alla sua libertà, per non intaccare quella degli altri. Il fine ultimo dell'uomo e della società è dunque quello di farsi liberi e rendere liberi gli altri. Per realizzare questo scopo occorre la mobilitazione dei dotti. Nelle Lezioni sulla missione del dotto Fichte sostiene che gli intellettuali non devono rimanere isolati, ma devono essere persone pubbliche con determinate responsabilità sociali. I dotti devono essere d'esempio per gli altri uomini.