Il fascismo in Italia rappresenta uno dei periodi più significativi della storia italiana del XX secolo, caratterizzato da profondi cambiamenti politici e sociali.
La nascita del fascismo si colloca nel contesto del primo dopoguerra, quando l'Italia attraversava una grave crisi economica e sociale. Dopo la Prima Guerra Mondiale, il paese si trovava in una situazione di forte instabilità: l'inflazione era alle stelle, la disoccupazione dilagava e le tensioni sociali erano altissime. In questo clima di incertezza, Benito Mussolini fondò nel 1919 i Fasci di Combattimento, che si trasformarono nel 1921 nel Partito Nazionale Fascista. L'ascesa del fascismo in Italia fu rapida e culminò con la Marcia su Roma del 28 ottobre 1922, quando il Re Vittorio Emanuele III affidò a Mussolini l'incarico di formare il nuovo governo.
Il regime si consolidò attraverso le leggi fascistissime, emanate tra il 1925 e il 1926, che trasformarono definitivamente l'Italia in una dittatura. Queste leggi prevedevano l'abolizione dei partiti politici (eccetto quello fascista), la soppressione della libertà di stampa, l'istituzione del Tribunale speciale per la difesa dello Stato e la creazione dell'OVRA, la polizia politica. Il fascismo impose un controllo totale sulla società italiana attraverso l'educazione, la propaganda e le organizzazioni giovanili. L'economia venne regolata secondo il principio dell'autarchia e del corporativismo, mentre la politica estera si caratterizzò per l'imperialismo e l'alleanza con la Germania nazista. Questo sistema di governo durò fino al 25 luglio 1943, quando il Gran Consiglio del Fascismo votò la sfiducia a Mussolini, aprendo la strada alla caduta del regime e al successivo periodo del secondo dopoguerra in Italia.