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26/9/2022
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IL MANIERISMO Il periodo artistico compreso tra il terzo decennio del Cinquecento e la fine del secolo viene definito "età della Maniera" o "Manierismo". Il termine fu coniato dalla critica del tardo Ottocento per designare un'epoca connotata da eccessive preoccupazioni estetiche e formali: pittori e scultori furono biasimati per la scarsa ispirazione, quasi annullata dal desiderio di imitare le espressioni figurative delle più grandi personalità attive all'inizio del XVI secolo, come Leonardo, Michelangelo e Raffaello, allontanandosi dal rispetto dell'armonia e delle proporzioni dei canoni classici. Allo stesso tempo gli artisti furono però avvicinati verso azzardati sperimentalismi, forzature formali e stati d'animo inquieti, espressi attraverso: antinaturalismo, utilizzo di colori esasperati, esasperazione delle forme, utilizzo di linee serpentine, ordine gigante e colonne tortili. La parola "Manierismo" nasce da una particolare accezione lessicale del termine "maniera", utilizzato fin dal XV secolo per indicare lo "stile" di un determinato pittore o sculture. Lo stesso Vasari aveva parlato di "maniera moderna" per definire cronologicamente un'importante fase artistica inaugurata da Leonardo e seguita poi da Michelangelo e Raffaello. L'applicazione al termine del suffisso "ismo" ne indica l'originaria connotazione negativa. I luoghi e gli autori del Manierismo Scuola fiorentina Firenze fu tra le città a sperimentare le prime manifestazioni dello "stile manierista" soprattutto alla corte di Cosimo I de Medici, a partire dal 1569, poiché...
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vi fu un'intenzione da parte del granduca di ripristinare il primato artistico e culturale della città di Firenze, promuovendo una serie di grandi opere, quale il rinnovamento radicale di Palazzo Vecchio, sede delle magistrature comunali e residenza medicea dal 1540. Ulteriori modifiche furono apportate nella vasta Piazza della Signoria con la collocazione di numerose statue e la costruzione del Palazzo degli Uffizi, area che divenne un vero e proprio museo all'aperto. Tra gli artisti più importanti nella città di Firenze, vi furono: Giorgio Vasari, Andrea del Sarto, Pontormo, Bronzino e Rosso Fiorentino. Giorgio Vasari (1511-1574) fu pittore, architetto di buon livello e critico, in quanto autore del più celebre e importante volume di storia dell'arte "Vite de' più eccellenti pittori, scultori et architettori da Cimabue in qua". Dopo un soggiorno a Roma, Vasari fu per vent'anni un abile sovrintendente all'urbanistica e alle arti al servizio di Cosimo I. L'artista che meglio illustrò i segni di uno stile di serpeggiante inquietudine, con un forte impulso anticlassico, caratteristico del Manierismo maturo, fu Andrea del Sarto (1486-1530), capace di riunire spunti provenienti da Leonardo, Michelangelo e Raffaello. Il suo stile armonioso e misurato gli valse la celebre definizione vasariana di "pittore senza errori". lacopo Carucci (1494-1556), detto Pontormo, fu allievo dello stesso Andrea del Sarto, dopo aver realizzato un apprendistato iniziale presso Leonardo. Pontormo fu un artista di indole inquieta e fu un uomo introverso (descritto tale da Vasari). Di convinzioni politiche avverse alla fazione dei Medici, nella fase tarda della sua vita fu costretto a partecipare controvoglia alle numerose commissioni del duca Cosimo de Medici, impegnato a ripristinare il primato artistico e culturale di Firenze. Agnolo Tori (1503-1572), soprannominato Bronzino, allievo e amico di Pontormo, fu tra i pittori più amati da Cosimo I per le sue doti di straordinario ritrattista e per il suo stile elegante, aristocratico e rarefatto, spesso realizzato attraverso una materia smaltata e preziosa con aggiunta di forme perfette e una nitida purezza. Giovanni Battista di lacopo, detto Rosso Fiorentino (1495-1540), fu allievo di Andrea del Sarto e seguì un percorso figurativo differente da quello di Pontormo. Rosso Fiorentino si mostrò infatti più audace e irrequieto in quanto si trovava costantemente in viaggio e aperto a nuove esperienze. Analisi della Deposizione Capponi di Pontormo Pontormo si occupò dell'aspetto decorativo della cappella della Chiesa di Santa Felicita a Firenze, realizzata per il banchiere Ludovico Capponi, membro attivo della repubblica fiorentina. La pala, nota come Deposizione (1526-28), raffigura il trasporto del corpo di Cristo al sepolcro. Molte sono le fonti del dipinto: dalla Pala Baglioni di Raffaello, Pontormo ha ripreso la disposizione dei personaggi e il taglio diagonale, mentre al Tondo Doni e alla Cappella Sistina di Michelangelo sono ispirate le cromie acide e cangianti, schiarite da una luce fredda e abbagliante e le posture di alcuni personaggi, come la Madonna, Cristo e San Giovanni Battista. La pala si mostra tuttavia innovativa e anticlassica per composizione, colori, costruzione dei volumi e atteggiamenti delle figure. La scena risulta collocata al di fuori del tempo e dello spazio: la piccola nuvola in alto a sinistra non basta a dare realtà a un cielo che sembra una lastra di metallo. L'artista si è poi focalizzato sui personaggi, incastrati l'uno nell'altro senza alcun interesse per la tradizione prospettica fiorentina. Le figure paiono galleggiare nel vuoto, mentre il corpo di Cristo ricade verso il basso in modo rigido e disarticolato. I colori insoliti e chiarissimi creano irrealistiche simmetrie fra i rosa, i verdi, gli azzurri e i rossi e le loro sfumature non conferiscono volume alle figure, tanto che gli abiti aderiscono ai corpi. Un'angosciosa e implorante espressione di stupito dolore si manifesta attraverso le pose dei personaggi che creano un generale movimento rotatorio. In alto a destra infine il pittore si è ritratto nel volto barbuto coperto da un copricapo verde scuro. Stile Clementino Con Giulio de' Medici, divenuto papa nel 1523 con il nome di Clemente VII, fu segnato un nuovo clima culturale, che ebbe termine con il Sacco di Roma nel 1527. Il papa chiamò a Roma i migliori fra i giovani talenti italiani, che diedero vita allo stile clementino, cioè un insieme di tendenze artistiche raffinate e sperimentali, connotate spesso da una disinvolta libertà rispetto ai canoni classici. Tra i più importanti artisti dello stile Clementino vi furono Parmigianino e Giulio Romano. L'artista più raffinato alla corte di Clemente VII fu Francesco Mazzola (1503-1540), detto Parmigianino, formatosi a Parma e influenzato dalla lezione di Correggio. Tratto caratteristico di Parmigianino è la sua abilità nel raffigurare preziose opere in metallo e oreficeria. A fare le veci della bottega organizzata da Raffaello, dopo la sua morte avvenuta nel 1520, fu il discepolo prediletto e talentuoso Giulio Pippi (1499-1546 ca), soprannominato Giulio Romano. Gli fu affidata l'affrescatura di quanto restava del cantiere interrotto delle stanze papali in Vaticano. Analisi di Palazzo Te di Giulio Romano Palazzo Te (1525-1535), chiamato così dalla denominazione del territorio in cui fu edificato il Teieto, divenne la sede di rappresentanza della corte, teatro di feste, spettacoli teatrali e degli incontri politici più importanti a Mantova. L'edificio è di ispirazione classica con solo un piano: si sviluppa attorno a un cortile d'onore quadrato, ispirato ai modelli della domus romana. A esso si annette un grande giardino con le scuderie e i locali di servizio, separato da un loggiato che si affaccia su due pescherie e chiuso in fondo da un'esedra di archi. Le facciate esterne sono nobilitate dall'impiego dell'ordine gigante, strutturato in paraste tuscaniche lisce poste su un alto zoccolo e reggenti una trabeazione con fregio dorico a triglifi e metope. La partitura muraria è rivestita con un finto bugnato liscio, realizzato in realtà a mattoni e intonaco. Il piano terreno presenta invece grandi finestre architravate con cornici a conci rustici. Al centro della facciata principale, si apre un portale alto quanto i due piani, affiancato da paraste binate tra cui sono collocate nicchie. La simulazione di materiali pregiati con mezzi poveri locali, il contrasto tra "regola" e "licenza" sono caratteristiche del nuovo linguaggio architettonico manierista. Inoltre Giulio Romano si sentì libero di apportare personali varianti: il disegno del fronte principale non è per esempio replicato nelle altre facciate, diverse fra loro, evidenziando così lo squilibrio anticlassico. Il cortile si presenta invece ritmato da semicolonne doriche; su due lati dell'ampio spazio è presente il motivo dei triglifi "scivolati" dal fregio, come se la struttura del muro fosse in rovina e mostrasse cedimenti. Il loggiato sul giardino, sul fronte posteriore del palazzo, è scandito da una sequenza di serliane, con una loggia centrale composta da tre arcate che poggiano su colonne binate, unite da una comune trabeazione. Tuttavia Giulio Romano non si occupò solo dell'aspetto architettonico, ma anche di quello decorativo, attraverso affreschi e stucchi di un progetto eterogeneo per morfologia, soggetti e registri espressivi di decorazioni. Importanti decorazioni si hanno nella Sala delle imprese, decorata con stemmi araldici ed emblemi gonzagheschi, nella Sala dei cavalli con le immagini dei purosangue di Federico II intervallate dalle Fatiche di Ercole, nella Sala degli stucchi con episodi tratti dalla biografia di Giulio Cesare e infine nella Sala di Amore e Psiche, ornata da stucchi dorati e dalla rappresentazione della favola di Apuleio. I colori preziosi e vivaci fanno risaltare i numerosi personaggi, ritratti in pose complesse e multiformi che esaltano la loro nuda fisicità. Analisi della Sala dei Giganti di Giulio Romano Realizzata tra il 1531 e il 1534, la Sala dei Giganti è una tra le sale più importanti all'interno di Palazzo Te, in cui è raffigurata la vittoria di Giove sui Giganti ribelli che tentarono la scalata al monte Olimpo. Il soggetto era un omaggio al trionfo di Carlo V sui principi protestanti e sugli eretici. Nella parte bassa delle pareti i mostruosi protagonisti goffi, grossolani e caricaturali, vengono schiacciati da una frana provocata dall'ira di Giove e di Giunone, raffigurati nella parte alta insieme ad altre divinità in subbuglio tra le nubi bianche, avvolte a spirale. L'artista ha eliminato la distinzione tra pareti e soffitto: gli stessi angoli della sala furono arrotondati con lo stucco per suggerire uno spazio avvolgente. La stesura pittorica prosegue ininterrotta con un dirompente potere illusionistico: i Giganti sembrano franare addosso allo spettatore, quasi gettandosi verso il centro della stanza, in una sorta di vortice. La raffigurazione dei personaggi invece sembra voler irridere le leggi più elementari della fisica e della statica: il finto loggiato circolare dovrebbe poggiarsi sui muri e sulle colonne dipinte che però sono sul punto di crollare. Ad accentuare la sensazione di straniamento concorreva la pavimentazione, rivestita in pietra e ciottoli di fiume per mantenere un'illusoria continuità con le pareti, da aggiungersi all'effetto di frana dei massi che sembra far sprofondare il visitatore. Il soggetto nella Sala è ispirato alle Metamorfosi di Ovidio. Manierismo veneto Pur attraversando una fase di lento declino economico e politico, Venezia visse ancora una stagione splendida per la cultura e per l'arte. L'incontro della pittura veneta con il Manierismo diede origine a un linguaggio vivace, più sensibile all'intensità dei colori. Tra gli esponenti più importanti del Manierismo veneto vi furono Tintoretto, Veronese e Palladio. Tra gli artisti che meglio colsero le novità dell'arte ci fu lacopo Robusti (1519-1594), detto Tintoretto dal mestiere del padre, tintore di panni. Allievo del Vercellio, a circa vent'anni Tintoretto era già un artista autonomo: nel 1539 gli viene attestata una sua bottega in grado di ricevere rilevanti incarichi per chiese e scuole veneziane, grazie anche all'amicizia e all'appoggio di Pietro Aretino. Lo stile di Tintoretto presenta forti contrasti chiar scurali e inquieta espressività, dati da un'eccessiva violenza emotiva per la peculiare stesura del colore, con veloci colpi di pennello. Paolo Caliari (1528-88), detto Veronese, figlio di uno scalpellino, si formò nella Verona dei primi anni quaranta del Cinquecento, lasciandosi influenzare dal Manierismo mantovano ed emiliano. La pittura di Veronese è luminosa e cromaticamente vivace, espressione del mondo fastoso e profano dell'oligarchia veneziana. In comune con Tintoretto, veronese condivide l'abilità nell'orchestrare grandi composizioni scenografiche, dote mostrata nel 1550, quando a Venezia iniziò a collaborare con pittori lagunari alla decorazione di alcune ville. Nel 1553 l'artista fu chiamato a partecipare alle decorazioni di Palazzo Ducale e dipinse tele con soggetti volti a esaltare i fasti e il governo della Repubblica veneta. Andrea di Pietro della Gondola (1508-80), detto Palladio, fu uno degli architetti più noti e influenti. All'età di sedici anni Andrea si trasferì a Vicenza, dove si formò come scappellino. Negli anni trenta il nobile umanista vicentino Gian Giorgio Trissino lo impiegò nella ristrutturazione di una villa e ne divenne il mecenate, che gli attribuì il nome di Palladio, richiamando alla sapienza della dea Pallade Atena. Lo introdusse poi allo studio del "De re aerificatoria" di Alberti e del "De architectura" di Vitruvio, conducendolo con sé più volte a Roma permettendogli di osservare le opere di Bramante e di Raffaello. Tra le opere architettoniche più importanti dell'artista si possono trovare: la Basilica di Vicenza, La Rotonda, la Chiesa del Redentore, il Teatro Olimpico e l'assetto architettonico di Villa Barbaro. Analisi del Ritrovamento del corpo di san Marco di Tintoretto Tra il 1562 e il 1563 Tintoretto dipinse 3 teleri (tele monumentali) per la Scuola veneziana: II Salvataggio di un saraceno, Il Trafugamento del corpo di San Marco e Il Ritrovamento del corpo di San Marco. Nel ritrovamento del corpo di San Marco la composizione è ambientata in un lungo, oscuro corridoio coperto a volta, illuminato da fiaccole; sul fianco destro si sussegue un'interminabile sequenza di sepolcri pensili. L'evento è suddiviso in 3 momenti, scalati in profondità: sullo sfondo il cadavere del Santo viene riportato in una tomba nel pavimento, da cui si diffonde una luce soprannaturale; in secondo piano sulla destra, i veneziani ispezionano i sarcofagi in cerca del corpo, ma l'apparizione di San Marco, li ferma con un gesto imperioso del braccio; al centro è ritratto il committente Tommaso Rangone, esponente della Scuola di San Marco. Il gruppo di figure in primo piano mostrano la guarigione miracolosa di un indemoniato. Spettacolare appare la profondissima prospettiva a imbuto dell'edificio sbilanciata verso sinistra e sottolineata dal susseguirsi di arcate; il punto di vista dello spettatore appare decisamente rialzato. I colori sono cupi e smorzati, su tonalità brune, e la scena è movimentata da luci fredde. Infine vi sono presenze sottili come la nebbia che aleggia sotto le volte. Analisi di Villa Barbaro - Gli affreschi di Veronese 2.85 Tra il 1560 e il 1561 Veronese si occupò della realizzazione degli affreschi di Villa Barbaro a Master (Treviso), appartenente a Daniele Barbaro e a suo fratello Marcantonio. Veronese affrescò nove stanze del piano nobile dando origine a un programma iconografico volto a testimoniare la bellezza del creato e l'armonia tra la dimensione mitica e quella umana. La decorazione ricopre interamente le pareti, fingendo architetture classiche aperte su luminosi paesaggi, popolate da figure umane che sembrano vive tra uno spazio reale e uno spazio dipinto, tra esterno e interno. Nella centrale Sala dell'Olimpo sono dipinti gli dèi greci e alla sommità delle pareti si affaccia la figura sorridente di Giustiniana Giustinian, moglie di Marcantonio Barbaro e nutrice. La giovane donna porta indosso un abito azzurro e bianco e guarda verso un osservatore idealmente posto al centro della stanza, quasi a volerlo coinvolgere; la scena mostra un effetto illusionistico in relazione con gli spazi ideali. Lo stile è gioioso e armonioso, immediato ma al tempo stesso raffinato, evidenziando l'espressione della cultura e del gusto dei committenti. Analisi di Villa Barbaro - L'architettura di Palladio Le ville nel Cinquecento nell'Italia settentrionale presentano in genere maggiore sobrietà rispetto a quelle romane, perché spesso deputate anche a funzioni produttive. L'esempio più celebre è Villa Barbaro che si sviluppa in larghezza alle pendici di un paesaggio collinare presso Maser. La facciata è sormontata da un frontone a tempio, che conferisce dignità classica all'edificio. L'interno invece è sempre organizzato intorno a un salone centrale, circondato da una sequenza simmetrica di stanze private e locali di servizio. Anche tutti gli elementi esterni alla villa sono organizzati in base a disposizioni armoniche e simmetriche. La gerarchia degli spazi è suggerita dalla decorazione: più ricca nell'aulico avancorpo cubico centrale, più dismessa risulta invece nelle ali laterali, la cui funzione di deposito di attrezzi è segnalata da una decorazione a bugnato liscio. Nella parte posteriore si trova un ninfeo semicircolare.