Le Origini del Fascismo e il Biennio Rosso in Italia
Il periodo tra il 1919 e il 1920, noto come Biennio Rosso, segnò un momento cruciale nella storia italiana del primo dopoguerra. In questo periodo, l'Italia attraversò una profonda crisi sociale e politica, caratterizzata da intense lotte operaie e contadine. I socialisti massimalisti, convinti della possibilità di una rivoluzione proletaria, guidarono numerose agitazioni sia nelle campagne che nelle città industriali del nord.
Nel sud, le leghe bianche di ispirazione cattolica organizzarono i contadini contro i proprietari terrieri, mentre al nord le leghe rosse socialiste coordinavano le lotte operaie. Gli scioperi nelle fabbriche venivano spesso seguiti dalle "serrate" degli imprenditori, che chiudevano gli stabilimenti per contrastare le rivendicazioni dei lavoratori. Un fenomeno significativo fu la formazione dei consigli di fabbrica, ispirati al modello dei soviet russi.
Evidenza: Il malcontento dei reduci di guerra rappresentò un elemento chiave per l'ascesa del fascismo. Questi non si riconoscevano nei partiti tradizionali e non vedevano soddisfatte le loro richieste di reinserimento lavorativo e distribuzione delle terre promesse.
La situazione divenne così instabile che Giovanni Giolitti fu richiamato al governo nel 1920. La sua strategia del non intervento nelle agitazioni sociali portò infine a un accordo tra Confindustria e sindacati, che ottennero aumenti salariali e maggiori tutele sul lavoro. Tuttavia, mentre il socialismo si orientava verso posizioni più riformiste, il ceto medio, sempre più distante dai liberali, iniziò a guardare con interesse al movimento dei Fasci di combattimento.