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Giovanni Pascoli

14/9/2022

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GIOVANNI PASCOLI
Nacque nel 1855 a San Mauro di Romagna ed era quarto di 10 figli. Fin da piccolo ebbe buoni
insegnanti che gli trasmisero l

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GIOVANNI PASCOLI Nacque nel 1855 a San Mauro di Romagna ed era quarto di 10 figli. Fin da piccolo ebbe buoni insegnanti che gli trasmisero la passione per i classici. Purtroppo nel 1867 il padre fu assassinato tornando da un viaggio a Cesena, e questo gli segnò la fine dell'infanzia e l'ingresso al mondo degli adulti. Nel giro di pochi anni morirono altri parenti e per Pascoli si era rotto ciò che lui definiva "nido" familiare. Intanto le condizioni economiche stavano peggiorando però grazie ad una borsa di studio riuscì a continuare gli studi a Bologna nella facoltà di lettere. Però durante questi anni visse in un periodo di crisi, preoccupato per le difficoltà economiche e per la lontananza dalla famiglia. Pascoli fu arrestato per aver partecipato a una manifestazione a favore degli anarchici, ma fu presto liberato grazie all'aiuto di Giosuè Carducci. Pascoli finì gli studi, si laureò e iniziò ad insegnare latino e greco. A 38 anni pubblicò il Myricae, una raccolta poetica. In seguito comprò una casetta a Castelvecchio dove visse con sua sorella Maria (Mariù) e cercò di ricostruire il nido famigliare. A 50 anni fu nominato insegnante di lettere all'università di Bologna come successore di Carducci. Nell'ultimo periodo della sua vita scrisse altre opere come i Canti di Castelvecchio e...

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Didascalia alternativa:

morì di malattia a 57 anni. LA VISIONE DEL MONDO La formazione di Pascoli fu essenzialmente positivistica, ma impregnati di cultura positivistica restano anche gli ambienti accademici in cui lo scrittore operò in seguito, a cavallo tra i due secoli. Tale matrice è ravvisabile nella ossessiva precisione con cui, nei suoi versi, egli usa la nomenclatura ornitologica e botanica, così come da letture di testi di astronomia ispirati alle cognizioni scientifiche del tempo scaturiscono i temi astrali che occupano un posto rilevante nella sua poesia. Ma in Pascoli si riflette quella crisi della scienza che caratterizza la cultura di fine secolo, segnata dall'esaurirsi del Positivismo e dall'affermarsi di tendenze spiritualistiche e idealistiche. Anche in lui insorge una sfiducia nella scienza come strumento di conoscenza e di ordinamento del mondo: come per tanti della sua epoca che vivono la stessa crisi, anche per lui, al di là dei confini limitati raggiunti dall'indagine scientifica, si apre l'ignoto, il mistero, l'inconoscibile, non traducibili in nessun sistema logicamente codificato. Questa tensione verso ciò che trascende il dato sensibile in Pascoli non si concreta, in una fede religiosa positiva. Di Dio vi è in lui nostalgia, mai possesso. Il fascino su di lui esercitato dal cristianesimo non attinge mai la sfera teologica, ma resta nei limiti del messaggio morale di fraternità. Il mondo, nella visione pascoliana appare frantumato, disgregato. Le sue componenti si allineano sulla pagina come si offrono ad una percezione casuale e non si compongono mai in un disegno unitario e coerente. IDEOLOGIA E POLITICA Pascoli è sostanzialmente un conservatore, seguace del socialismo ma senza un impianto rivoluzionario. Esprime due valori fondamentali della cultura di fine ottocento, il patriottismo e il culto della famiglia. Aspetti sviluppati anche dallo stesso Manzoni. La poesia è quindi lo strumento che riesce a sedare le tensioni sociali e frenare il materialismo capitalista. Pascoli fu patriota ma non nazionalista come d'Annunzio. Se D'Annunzio sosterrà la guerra, Pascoli non vorrà mai l'espansione dell'Italia, essa deve farlo solo se necessario a combattere la povertà. I SIMBOLI Gli oggetti materiali hanno un rilievo fortissimo nella poesia pascoliana, ma ciò non significa affatto che vi sia in essa un'adesione di tipo veristico all'oggettività del dato: particolari fisici, sensibili sono filtrati attraverso la peculiare visione soggettiva del poeta e in tal modo si caricano di valenze allusive e simboliche, rimandano sempre a qualcosa che è al di là di essi, all'ignoto di cui sono come messaggi misteriosi e affascinanti. Può accostarsi così una percezione visionaria, onirica: il mondo è allora visto attraverso il velo del sogno e perde ogni consistenza oggettiva e le cose sfumano le une nelle altre. Si instaurano così legami segreti tra le cose, che solo abbandonando le convenzioni della visione corrente, logica e positiva, possono essere colti. La conoscenza del mondo avviene attraverso strumenti interpretativi non razionali, che trasportano di colpo, senza seguire tutti i passaggi del ragionamento logico, nel cuore profondo della realtà. Tra io e mondo esterno, tra soggetto e oggetto non sussiste quindi per Pascoli vera distinzione. La sfera dell'io si confonde con quella della realtà oggettiva. IL NIDO Per Pascoli il "nido” è il simbolo più frequente nelle sue poesia, e lo compara al nido di “casa", luogo di protezione, o "culla" segno della regressione all'infanzia, fino al nido "vuoto", il cimitero, dove i morti tornano a confortare chi è rimasto in vita. Nella poesia del 1899, "Nebbia", la nebbia da elemento atmosferico del paesaggio diventa simbolo di una protezione impalpabile, che mentre impedisce di vedere il mondo esterno, isola il poeta nel proprio nido domestico. Il cimitero per Pascoli è come un nido vuoto, e la morte non è attesa con angoscia, ma piuttosto è un ricongiungimento con i propri familiari, un approdo nel "nido" finalmente ritrovato. Nella poesia "Il gelsomino notturno", Pascoli fa un paragone tra il grembo materno e il gelsomino notturno, che apre i suoi petali rossi al cadere della sera per richiuderli ai primi raggi del sole, come la giovane donna è pronta ad accogliere la maternità, sbocciando come fragole nel crepuscolo. IL FANCIULLINO Da questa visione del mondo scaturisce con perfetta coerenza la poetica pascoliana che trova la sua formulazione più compiuta e sistematica nell'ampio saggio Il fanciullino, pubblicato sul "Marzocco" nel 1897. L'idea centrale è che il poeta coincide col fanciullo che sopravvive al fondo di ogni uomo: un fanciullo che vede tutte le cose <«come per la prima volta», con ingenuo stupore e meraviglia, come dovette vederle il primo uomo all'alba della creazione. La poesia si riveste di una nuova rivelazione: in ogni uomo per Pascoli c'è un fanciullino, colui che riesce a guardare con stupore tutto ciò che lo circonda come se fosse la prima volta. Da adulti si guarda con ripetizione, senza la novità. L'occhio del bambino invece ha lo stupore, non ha pregiudizi, analizza le situazioni come se fossero nuove. Riesce così a guardare oltre, dove il diverso è colui che riesce a comprendere. Il poeta <<fanciullino» dà il nome alle cose e deve usare un linguaggio che si sottragga ai meccanismi mortificanti della comunicazione abituale e sappia andare all'intimo delle cose, scoprirle nella loro freschezza originaria. Dietro questa metafora del fanciullino è facile scorgere una concezione della poesia come conoscenza prerazionale e immaginosa. Grazie al suo modo alogico di vedere le cose, il poeta fanciullo ci fa sprofondare immediatamente nell'abisso della verità. L'atteggiamento irrazionale e intuitivo consente quindi una conoscenza profonda della realtà, permette di cogliere direttamente l'essenza segreta delle cose, senza mediazioni. Il poeta, in una parola, appare come un "veggente", dotato di una vista più acuta di quella degli uomini comuni, colui che per un arcano privilegio può spingere lo sguardo oltre le apparenze sensibili, attingere all'ignoto, esplorare il mistero. LA POESIA PURA In questo quadro culturale si colloca altresì la concezione della poesia "pura": per Pascoli la poesia non deve avere fini pratici; il poeta non vuole assumere il ruolo di «consigliatore» e di ammonitore, non si propone morale obiettivi morali, pedagogici, propagandistici. Tuttavia, precisa Pascoli, la poesia proprio in quanto poesia "pura", assolutamente spontanea e disinteressata, può ottenere «effetti di suprema utilità morale e sociale»>. La novità di Pascoli è quella di unire al classicismo una rivelazione dell'ignoto. La poesia di Pascoli riuscì ad esprimere così una nuova concezione, la rivelazione dell'ignoto attraverso gli occhi del fanciullo. Il sentimento poetico infatti, dando voce al «fanciullino» che è in noi, sopisce gli odi e gli impulsi violenti che sono propri degli uomini, induce alla bontà, all'amore, alla fratellanza. Nella poesia "pura" del <<fanciullino»> per Pascoli è quindi implicito un messaggio sociale, l'utopia umanitaria che invita all'affratellamento di tutti gli uomini, al di là delle barriere di classe e di nazione che li separano e li contrappongono gli uni agli altri. LA SINTASSI L'aspetto che forse colpisce più immediatamente di Pascoli è quello sintattico. La sintassi di Pascoli è ben diversa da quella della tradizione poetica italiana, che era modellata sui classici e fondata su elaborate e complesse gerarchie di proposizioni principali, coordinate e subordinate: nei suoi testi poetici invece la coordinazione prevale sulla subordinazione, di modo che la struttura sintattica si frantuma in serie paratattiche di brevi frasi allineate senza rapporti gerarchici tra di loro, spesso collegate non da congiunzioni, ma per asindeto. Di frequente, inoltre, le frasi sono ellittiche, mancano del soggetto, o del verbo, o assumono la forma dello stile nominale (successione di semplici sostantivi e aggettivi). La frantumazione pascoliana, al contrario, rivela il rifiuto di una sistemazione logica dell'esperienza, il prevalere della sensazione immediata, dell'intuizione, che indicano una trama di segrete corrispondenze tra le cose, al di là del visibile. È una sintassi che traduce perfettamente la visione del mondo pascoliana, una visione "fanciullesca", alogica, che mira a rendere il mistero e quindi svaluta e scompone i rapporti gerarchici abituali. LA METRICA La metrica pascoliana è apparentemente tradizionale, nel senso che impiega i versi più consueti della poesia italiana, endecasillabi, decasillabi, novenari, settenari ecc., e gli schemi di rime e le strofe più usuali, rime baciate, alternate, incatenate. Ma in realtà questi materiali sono piegati dal poeta in direzioni personalissime. Il verso così come la struttura sintattica, è di regola frantumato al suo interno, interrotto da numerose pause, segnate dall'interpunzione, da incisi, parentesi, puntini di sospensione. La frantumazione del discorso è accentuata dal frequentissimo uso degli enjambements, che spezzano sintagmi strettamente uniti. LE FIGURE RETORICHE Al livello delle figure retoriche, Pascoli usa largamente il linguaggio analogico. Il logico meccanismo è quello della metafora, la sostituzione del termine proprio con uno figurato. Ma l'analogia pascoliana, come quella dei simbolisti, non si accontenta di una somiglianza facilmente riconoscibile: accosta invece in modo impensato e sorprendente due realtà tra loro remote, eliminando per di più tutti i passaggi logici intermedi e identificando immediatamente gli estremi. Un procedimento affine all'analogia, ed egualmente caro al gusto simbolista-decadente, è la sinestesia, che possiede del pari un'intensa carica allusiva e suggestiva, fondendo insieme, in un tutto indistinto, diversi ordini di sensazioni. MYRICAE Pascoli cominciò a pubblicare le sue poesie nel corso degli anni Ottanta, su riviste o in edizioni per nozze. La prima raccolta vera e propria fu Myricae, uscita nel 1891 in edizione fuori commercio e contenente 22 poesie dedicate alle nozze di amici. Il volume si ampliò già dalla seconda edizione del 1892, che conteneva 72 componimenti, ma cominciò ad assumere la sua fisionomia definitiva solo a partire dalla quarta, del 1897, in cui i testi salivano a 116. Il titolo Il titolo è una citazione virgiliana, tratta dall'inizio della IV Bucolica, in cui il poeta latino proclama l'intenzione di innalzare un poco il tono del suo canto, poiché «non a tutti piacciono gli arbusti e le umili tamerici»>. Pascoli assume invece le umili piante proprio come simbolo delle piccole cose che egli vuole porre al centro della poesia, secondo i principi di quella poetica che di lì a qualche anno esporrà nel Fanciullino. Si tratta in prevalenza di componimenti molto brevi, che all'apparenza si presentano come quadretti di vita campestre. Ma in realtà i particolari su cui il poeta fissa la sua attenzione non sono dati oggettivi, resi naturalisticamente, ma si caricano di sensi misteriosi e suggestivi, sembrano alludere ad una realtà ignota e inafferrabile che si colloca al di là di essi, sono i segnali di un enigma affascinante. Spesso le atmosfere che avvolgono queste realtà evocano l'idea della morte; ed uno dei temi più presenti nella raccolta è il ritorno dei morti familiari, che vengono a riannodare i legami spezzati dall'uccisione del padre e dai tanti lutti successivi. Già a partire da Myricae, quindi, Pascoli delinea quel romanzo familiare che è il nucleo doloroso della sua visione del reale. Compaiono poi, sin dai testi più antichi, quelle soluzioni formali che costituiscono la profonda originalità della poesia pascoliana: l'insistenza sulle onomatopee, il valore simbolico dei suoni, l'uso di un ardito linguaggio analogico, la sintassi frantumata. Le tematiche sono: descrizione dei fenomeni naturali e del lavoro dei campi la poesia diventa poesia di fuga del passato, per rievocare l'infanzia, la ricerca della voce del fanciullino. Richiamandosi a Leopardi. simbolismo perché la poesia deve superare la conoscenza scientifica e la cultura positivista di cui era figlia, andando a ricercare il significato profondo delle cose. Il simbolo per eccellenza è il nido degli uccelli che diventa metafora della famiglia e unico luogo del rifugio dalla violenza della vita. CANTI DI CASTELVECCHIO Pubblicata nel 1903 e nella versione definitiva nel 1912, rappresenta per certi versi la continuazione di Myricae, infatti il poeta stesso li definì "seconde myricae" o "myricae autunnali". Dedicati alla madre rappresentano il nuovo nido familiare di Pascoli. La struttura è costituita da poesie che seguono il ciclo delle stagioni. Ritorna nei temi le immagini serene della vita di campagna, il mondo delle cose utili mentre la rimessione impressionistico simbolistica è ancora più intensa. La nuova tematica è l'immaginario erotico. I temi di questi canti sono lo smarrimento dell'uomo, il ricordo degli anni lontani, esperienze amorose ma anche la morte, vista come rifugio o come regressione nel grembo materno. Le liriche sono più ampie e la musicalità più complessa. X AGOSTO È una delle più famose e commoventi poesie di Pascoli. Fu pubblicata il 9 AGOSTO DEL 1896 sulla rivista MARZOCCO ed inserita poi nella QUARTA EDIZIONE DI MYRICAE. Pascoli rievoca la propria tragedia personale, l'UCCISIONE DEL PADRE, avvenuta il 10 Agosto del 1867, il giorno di San Lorenzo. La poesia è composta da SEI STROFE DI QUATTRO VERSI DECASILLABI E NOVENARI. Lo schema ritmico è ABAB. Appare molto diversa dalle altre di Myricae in precedenza riportate: non è un quadro di natura, reso con rapide notazioni impressionistiche, ma un discorso ideologicamente strutturato, in cui il poeta, partendo dalla propria tragedia familiare, affronta i grandi temi metafisici del MALE E DEL DOLORE, DEL RAPPORTO TRA LA DIMENSIONE TERRENA E QUELLA TRASCENDENTE. II risultato dà l'impressione di qualcosa di troppo costruito, di scopertamente patetico, enfatico e predicatorio. Pascoli sa rendere con TOCCHI SUGGESTIVI E CON UN LINGUAGGIO DI RIVOLUZIONARIA FORZA INNOVATIVA IL SENSO DEL MISTERO, creando ATMOSFERE MAGICHE E INCANTATE, oppure quello che esprime la sua visione del reale tormentata, angosciata, funebre, in forme visionarie, oniriche, torbide e sconvolte. A livello contenutistico: ● La prima strofa della lirica ha un VALORE DI AMBIENTAZIONE: è la notte di San Lorenzo, la notte in cui si vedono le stelle cadenti; tale fenomeno, però, è fin d'ora connotato come un gran pianto dell'universo. La parte centrale della poesia (strofe 2-5) costituisce un blocco compatto, distribuito con perfetta simmetria. DUE STROFE SVOLGONO IL TEMA DELLA RONDINE: ritornava al nido con l'insetto catturato come cena de' suoi rondinini (v.8). LE ALTRE DUE STROFE SVOLGONO IL TEMA DELL'ASSASSINIO DEL PADRE, ucciso a tradimento mentre portava a casa due bambole in dono... (v.16). L'ultima strofa, perfettamente SIMMETRICA ALLA PRIMA, conclude la lirica ribadendo, e drammatizzando, quanto già anticipato al v.3 nell'immagine del pianto dell'universo. Gli espedienti retorici sono tantissimi: Il ritmo la PERSONIFICAZIONE del giorno di SAN LORENZO E DEL CIELO CHE PIANGE. Essa consiste nell'attribuire umanità a cose astratte e animate. Nell'ultima infatti si rivolge direttamente al cielo al quale attribuisce un'azione tipicamente umana, il piangere. II LINGUAGGIO è ANALOGICO, altro espediente che troviamo in molte poesie di Pascoli. I vari elementi del discorso sono quindi legati in una serie di corrispondenze. Il rapporto analogico lo si ha tra l'uomo e la rondine e le stelle cadenti e il pianto. Si ha anche la SIMILITUDINE, figura retorica che crea collegamento tra diverse immagini attraverso l'utilizzo del come. In X agosto pascoli usa la similitudine per la rondine "come in croce" v9. Da qui la rondine sarà un esplicito riferimento a Cristo che come vediamo compone tutto il Poema. La METONIMIA è un'altra figura retorica utilizzata da Pascoli che consiste nel sostituire un termine con un altro in stretto rapporto con esso. Le due utilizzate sono entrambe legate alla figura centrale del nido. Al vv 11-12 "pigola sempre più piano"; v 13 "Anche un uomo tornava al suo nido". C'è un RITMO nella poesia che alcuni critici hanno considerato SINGHIOZZANTE con un'ABBONDANZA DI PUNTEGGIATURA. La prima cosa che rimbalza agli occhi è proprio ciò con lo scopo di creare frasi spezzate ognuna delle quali sospende il discorso con un rimbalzo alla parola successiva. Inoltre molto spesso troviamo le cosiddette TRIADI PETRARCHESCHE. Ci sono gruppi di tre parole separate solo dalla virgola, v19 e v22. Petrarca utilizza tre aggettivi riferiti allo stesso soggetto, Pascoli in un caso utilizza due aggettivi ed un verbo nell'altra tre aggettivi riferiti a due soggetti diversi. Ricordano chiaramente la trinità ma danno anche un senso di frantumazione con il ritmo singhiozzante richiamando al pianto per i morti della rondine e dell'uomo. La poesia simbolista mette così in scena il senso e l'emozione, saranno coinvolte le sensazioni uditive, visive. La figura di Cristo In X Agosto sono presenti molti riferimenti al MARTIRIO DI CRISTO soprattutto quando sceglie di parlare della morte della rondine. LA RONDINE UCCISA DIVIENE IL SIMBOLO DI TUTTI GLI INNOCENTI PERSEGUITATI DALLA MALVAGITÀ DEGLI UOMINI. Al verso 6 abbiamo la parola "spini" che rimanda alla corona di cristo. Il poeta paragona la posizione della rondine a quella di cristo. Al verso 14 si richiama al PERDONO, Gesù perdona chi lo sta uccidendo così come la rondine. Pascoli sembra quindi uno dei pochi autori del 900 a fare riferimento a dio anche se è un Dio che inizia ad allontanarsi. L'uomo portava dei doni così come Cristo porta all'umanità la salvezza. Il padre stava portando in effetti in dono alle sue bambine le bambole, portava sostentamento e gioco. Rievoca anche i doni dei re magi. Questi elementi permettono di affermare che Pascoli ha voluto sottolineare il martirio di un innocente per mano di persone malvagie. L'immagine di Cristo ci fa andare anche oltre la vicenda autobiografica. Il dolore della rondine ci dice che anche la natura soffre, mentre il dolore di Cristo permette di affermare come la malvagità faccia parte dell'uomo. Si parla così del TEMA DEL MALE. In questa poesia si legge il dolore che da personale diventa universale allo stesso tempo (Leopardi). Tutti gli esseri viventi soffrono, da qui si lega la visione pessimistica di Pascoli. Nel X Agosto emerge infine la contrapposizione tra il cielo e la terra. Quest'ultima è il luogo del male sulla quale il cielo versa le sue lacrime, sia di convoglio che di sdegno. La Terra ospita sia le vittime che i carnefici. Tuttavia la figura della rondine e dell'uomo suscita la pietà verso questi due morti ingiusti che nel lettore provocano un senso di tenerezza e solidarietà che rappresenta quasi una sorta di via d'uscita dalla visione pessimistica dell'uomo che alla fine diventa la stessa via d'uscita indicata da Leopardi nella Ginestra. Il male degli uomini si supera così con la solidarietà. TEMPORALE È un componimento concepito nell'agosto del 1892, pubblicato nella terza edizione di Myricae. Anche questo componimento a prima vista è un quadretto impressionistico, tracciato mediante una serie di rapide notazioni uditive e visive. La sensazione di apertura è fonica, il brontolio lontano del tuono. Il termine impiegato da Pascoli («<bubbolio») ha un valore onomatopeico, si carica di valore evocativo e natezza suggestivo. Il dato materiale, fonico, assume indefinite valenze simboliche, sembra alludere a qualcosa di vagamente minaccioso, inquietante, accentuato dal senso di indeterminata lontananza spaziale. All'indeterminatezza suggestiva concorre l'omissione di ogni dato informativo: che si tratti del tuono non è detto esplicitamente, è lasciato all'intuizione del lettore. Segue poi tutta una serie di notazioni visive, che si impongono come intense pennellate di colore: "Rosseggia", <<affocato», «nero di pece», «<nubi chiare», «<tra il nero». Queste indicazioni si collocano quasi tutte all'inizio o alla fine del verso, in posizione di piena evidenza. Anche questi particolari visivi, come già il rumore iniziale del tuono, si circondano di un'atmosfera stranita, inquietante, assumono una valenza allusiva, evocando qualcosa di cupo, di minaccioso, di angoscioso. Sullo sfondo nero delle nubi temporalesche spicca fortemente la nota bianca del casolare, a cui, con ardito si associa l'immagine dell' "ala di gabbiano". È un perfetto esempio di linguaggio analogico. Tra il casolare e l'ala di gabbiano vi è un rapporto di somiglianza, dovuto al colore bianco e al fatto che entrambi si tagliano sul cielo, ma non si tratta di una metafora tradizionale: l'analogia accosta in modo impensato e sorprendente due oggetti fra loro remoti, bruciando per di più tutti i passaggi logici intermedi e identificando immediatamente gli estremi. É un discorso ellittico, allusivo, che punta non sul detto, arrivando quasi al limite dell'enigmaticità. Come sempre, l'annullamento dei legami logico-sintattici accresce il valore suggestivo della parola. Il simbolismo La nota di bianco costituita dal casolare possiede presumibilmente un valore simbolico: se il nero che invade tutta l'atmosfera e il rosso «affocato» dei lampi lontani evocano oscure bismo angosce, il colore bianco sembra alludere ad una speranza, ad un riscatto. Nella stessa direzione va l'immagine dell'ala di gabbiano. Nella tradizione poetica il volo, lo staccarsi da terra, è un motivo ricorrente, e vale come metafora di una liberazione dagli affanni e dalle sofferenze della vita. D'altronde è questo un simbolo, non un'allegoria. Mentre nell'allegoria il rapporto tra significante e significato è precisamente codificato, quindi traducibile in termini logici (in Dante ad esempio la lupa è l'avarizia), il simbolo non è codificabile in modo univoco, di esso non si può fornire l'equivalente concettuale: il simbolo è ambiguo, circondato sempre da un alone indeterminato, non dice, ma allude, suggerisce. MANCUSO La vita dell'essere umano è da sempre caratterizzata dal simbolo che non rappresenta altro se non la naturale propensione dell'uomo ad unire segno e significato. Il simbolo è, filosoficamente ed anche esotericamente parlando, un segno; il suo significato viene contemporaneamente riconosciuto da più individui, che dunque lo caricano di una valenza che noi definiamo, per l'appunto simbolica. I simboli della nostra società possono rientrare in diverse categorie: abbiamo i simboli religiosi, i simboli sociali, i simboli commerciali, i simboli politici. Insomma, il simbolo è quel fil rouge che caratterizza tutta la nostra vita. Attraverso il simbolo, l'uomo riesce a creare un collegamento quasi metafisico, tra quello che senza significato non sarebbe altro che una rappresentazione o un segno grafico. Il simbolo è quindi lo strumento che permette all'essere umano, di evocare in se stesso una determinata significazione, un messaggio o una realtà metafisica. Il simbolo chiaramente è stato un elemento chiave della letteratura di tutti i tempi, utilizzato per veicolare messaggi non traducibili in parole. Pensiamo al simbolismo francese, una corrente letteraria di fine ottocento i cui esponenti credevano che il mondo sensibile non fosse altro che una rappresentazione del mondo ideale. Il poeta aveva quindi il compito di cogliere i segnali misteriosi della Natura, la foret des symboles, per interpretarli e scoprire la vera essenza della realtà. Nella letteratura italiana probabilmente questo simbolismo è rintracciabile maggiormente nella produzione di Giovanni Pascoli.