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Giovanni Boccaccio

20/10/2022

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Giovanni Boccaccio
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Giovanni Boccaccio nacque nel 1313, probabilmente a Certaldo o a Firenze, figlio illegittimo del mercante
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Giovanni Boccaccio La Vita Giovanni Boccaccio nacque nel 1313, probabilmente a Certaldo o a Firenze, figlio illegittimo del mercante Boccaccino di Chellino. Legittimato e accolto in casa dal padre, fu avviato ai primi studi a Firenze. Nel 1327, Boccaccino si recò a Napoli in qualità di socio della potente banca fiorentina dei Bardi, che finanziava la corte angioina e ne amministrava gli affari, e, poiché intendeva indirizzare il figlio alla sua stessa professione, lo portò con sé per fargli fare pratica mercantile. A Napoli Boccaccio rimase poi sino all'inverno 1340-41. Questo soggiorno ebbe un'importanza determinante nella sua formazione perché, nella sua pratica al banco veniva quotidianamente a contatto con una grande varietà di persone come mercanti, gente di mare e avventurieri e poté così maturare quello spirito di osservazione e quella conoscenza dei costumi dei più vari strati sociali, una realtà che sarà alla base del Decameron. Al tempo stesso ebbe l'occasione di partecipare alla vita raffinata dell'aristocrazia e della ricca borghesia napoletana. Sin dagli anni giovanili si delineano così le due fondamentali direzioni lungo cui si muoverà tutta l'esperienza letteraria boccacciana: quella "borghese", attenta alla realtà concreta della vita sociale ed economica, e quella "cortese", protesa verso un mondo splendido di costumi signorili e di magnanimi comportamenti. In questi anni napoletani si afferma in...

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Didascalia alternativa:

Boccaccio anche la vocazione letteraria, destinata a trionfare ben presto sulle speranze del padre, che lo voleva mercante e banchiere. Boccaccio si accosta perciò allo studio della letteratura da autodidatta. In primo luogo subisce il fascino della tradizione cortese, dei versi d'amore e dei romanzi cavallereschi, che erano molto letti ed amati negli ambienti aristocratici da lui frequentati. Ma, sotto lo stimolo di alcuni dotti personaggi della corte angioina, che era un centro molto vivo di cultura, comincia ad affermarsi in lui anche la devozione per i classici latini. Accanto ai classici antichi, Boccaccio ammira anche i classici nuovi, quelli della recente letteratura volgare: i poeti stilnovisti, ma soprattutto Dante e Petrarca. Queste esperienze di vita e di cultura si rintracciano già nelle prime opere: le Rime, i romanzi e i poemi in volgare. Ma questa esistenza serena, è troncata di colpo nel 1340: a causa della crisi della banca dei Bardi, Boccaccio è costretto a tornare a Firenze. Alla festosa vita di corte napoletana subentra il grigiore opprimente di una vita borghese, segnata dalle ristrettezze economiche. Allo scrittore si presenta anche il problema di una sistemazione: si reca presso vari signori, in cerca di appoggio; coltiva per anni la speranza di una definitiva sistemazione presso la corte napoletana, a cui lo legano le memorie giovanili, ma queste speranze vengono sempre deluse. La sua città comunque lo ama come personaggio illustre e gli affida numerose missioni e ambascerie. Nel 1348 vive l'esperienza della peste, che dopo aver colpito tutta l'Europa arriva a flagellare anche Firenze causando la morte del padre. Da ciò Boccaccio ne trae spunto per la cornice narrativa in cui inserirà le cento novelle del suo capolavoro, il Decameron. Negli ultimi anni un'importante evoluzione spirituale si verifica in Boccaccio. È determinante per lui l'amicizia con Petrarca, che si sviluppa in vari incontri diretti, ma anche attraverso un fitto scambio di lettere, libri e informazioni letterarie. Sotto l'influenza di Petrarca, che egli considera suo maestro, Boccaccio si dedica ad un vero e proprio culto nei confronti degli autori classici e comincia a praticare un tipo di letteratura più solenne e moralmente impegnata, abbandonando l'idea di una letteratura intesa essenzialmente allo svago. Toccato personalmente da un travaglio religioso, come l'amico Petrarca sceglie la condizione di chierico e, nel 1360, prende gli ordini minori. Questa crisi spirituale coincide anche con un periodo di delusione politica: nel 1360 il fallimento di una congiura, in cui erano implicati amici di Boccaccio, mette in cattiva luce lo scrittore stesso, che viene allontanato da ogni incarico pubblico. Nel 1362 si ritira allora a Certaldo, dove conduce una vita appartata, dedita allo studio, alla meditazione e alla stesura di opere erudite (colte, dotte). Dal 1365 torna di nuovo ad 1 ottenere incarichi pubblici. La sua casa diviene il centro d'incontro di un gruppo di intellettuali. Il culto umanistico dei classici latini non esclude però in Boccaccio il culto dei classici nuovi, sorretto da una ferma fiducia nella lingua volgare. La sua ultima fatica è infatti un commento alla Commedia che egli, su incarico del Comune, tiene nella chiesa di Santo Stefano di Badia tra il 1373 e il 1374. La morte lo coglie il 21 dicembre 1375. Le opere del periodo napoletano Le opere scritte da Boccaccio durante il suo soggiorno a Napoli, prendono ispirazione dalle sue reali esperienze personali e dai vari interessi culturali suscitati dagli studi da autodidatta. La sua curiosità intellettuale, lo spinge a riprendere sia i testi classici, sia la tradizione medievale, come la letteratura cavalleresca e cortese, senza trascurare le ingenue narrazioni popolaresche, i cantari. La caccia di Diana La prima opera è la Caccia di Diana, un poemetto in terzine di diciotto canti scritta dopo il 1334. Protagoniste delle vicende sono le ninfe, semi-divinità della mitologia classica legate al culto di Diana, la dea della caccia. Dietro la loro immagine l'autore nasconde le identità delle belle dame che aveva conosciuto presso la corte napoletana. La trama è molto semplice: le ninfe si ribellano a Diana e offrono le loro prede di caccia alla dea Venere, che trasforma gli animali in bellissimi uomini; tra questi vi è anche l'autore che, grazie alla gentilezza dell'amata, diviene uomo pieno di virtù. Alla base del poemetto c'è dunque il principio cortese secondo cui l'amore è fonte di ingentilimento e di elevazione. ♥ Il Filostrato Un'opera di maggiore impegno è il Filostrato, composto probabilmente tra il 1335 e il 1338. Si tratta di un poemetto in ottave, strofe di otto endecasillabi, il metro tipico dei cantari popolari, che ricava il suo argomento dalla narrativa medievale in lingua d'oïl, da un romanzo del ciclo "classico", il Romanzo di Troia di Benoît de Sainte-Maure. Imitando questo antico modello letterario, Boccaccio presenta le vicende di personaggi del mito omerico con vesti e psicologie feudali e cavalleresche. Il titolo Filostrato (che in greco significa "vinto d'amore") fa riferimento al soprannome che l'autore stesso assume nel proemio dell'opera, che contiene la dedica alla donna amata. È evidente come Boccaccio vi voglia proiettare l'esperienza autobiografica dei suoi amori napoletani. La narrazione, piacevole ed elegante, doveva rispondere appieno ai gusti cortesi e sentimentali del pubblico a cui era indirizzata, cioè le dame e i signori che frequentavano la corte angioina. Il Filocolo Il Filocolo (in greco "fatica d'amore"), risale al 1336. Si tratta di un'opera narrativa in cinque libri, scritta in prosa. La trama si basa sulle avventure di una coppia di giovani amanti, ed è ispirata alla tradizione del romanzo cortese, in particolare ad un poemetto in lingua d'oïl, che aveva goduto di grande successo ed era stato ripreso da uno dei primi cantari toscani, il Cantare di Florio e Biancifiore. Il nucleo narrativo originale, molto semplice, è complicato dalla sovrapposizione degli schemi del romanzo greco-alessandrino, che presenta intricate peripezie, pericoli, equivoci, sorprese e colpi di scena. Come lo scrittore afferma nell'introduzione all'opera, era sua intenzione dar forma letterariamente degna ai rozzi cantari popolari, che avevano tramandato questa materia. Per questo motivo egli arricchisce la trama narrativa di lunghissimi monologhi sentimentali, di ampie descrizioni e di divagazioni mitologiche, storiche, geografiche, e letterarie; inoltre utilizza una prosa complessa ed elaborata, secondo le norme della retorica medievale. Nonostante questo peso erudito e retorico, il romanzo conduce un'analisi del sentimento amoroso con grande finezza psicologica e raccoglie una vastissima materia narrativa ed una varietà di caratteri, casi umani e ambienti, 2 rivelando quell'apertura verso la realtà in tutte le sue forme e quel piacere del raccontare, caratteristiche molto importanti nel Decameron. ♥ Il Teseida L'opera successiva è il Teseida delle nozze d'Emilia, scritto tra il 1339 e il 1340. È un poema in ottave in dodici libri ed è così intitolato perché narra le guerre del mitico re ateniese Teseo contro le Amazzoni e contro Tebe. La materia è ricavata dai romanzi cavallereschi del ciclo classico: il poeta si propone di dare per primo alla letteratura italiana un poema epico all'altezza dell'Eneide virgiliana. Al centro della storia sono le vicende di Arcita e Palemone, due giovani guerrieri legati da profonda amicizia, che si innamorano entrambi di Emilia, regina delle Amazzoni e cognata di Teseo. La vivezza della vicenda amorosa spicca, ma la narrazione è appesantita e resa arida dalle preoccupazioni retoriche ed erudite. Le opere del periodo fiorentino Lasciare l'aristocratico e gioioso mondo napoletano e trasferirsi a Firenze costituì per Boccaccio, un'esperienza dolorosa. Tuttavia egli avvertì subito l'esigenza di inserirsi nel nuovo ambiente culturale, caratterizzato dalla poesia allegorico-dottrinaria, che era stata viva nella cultura fiorentina sin dal Duecento e nella Commedia dantesca. Se dunque a Napoli aveva scritto prevalentemente opere ispirate al romanzo cortese, ora il suo principale modello diventa il poema di Dante, sulla base del quale compone la Comedia delle Ninfe fiorentine e l'Amorosa visione. ♥ La commedia delle ninfe fiorentine La Comedia delle Ninfe fiorentine, scritta tra il 1341 e il 1342, appartiene al genere del prosimetro e riprende alcuni elementi della poesia pastorale antica, come la presenza di pastori e ninfe in un paesaggio campestre idealizzato, sovrapponendovi gli schemi allegorici medievali. Viene raccontata la storia del pastore Ameto, che incontra le ninfe dei colli fiorentini (rappresentazione allegorica delle virtù) e grazie all' amore si trasforma da essere rozzo ed animalesco in uomo: si vede così ritornare il principio cortese secondo cui l'amore ingentilisce e raffina l'animo. L'allegoria del componimento non ha più nessuna delle valenze religiose dell'allegoria dantesca, ma assume un significato esclusivamente mondano, poiché il suo principale obiettivo è la celebrazione della bellezza femminile e dell'edonismo, una dottrina filosofica che considera il piacere come l'unico bene possibile e come fine della vita, che trionferà poi nel Rinascimento. ♥ L'amorosa visione L'Amorosa visione è un poema in terzine di cinquanta canti, composto nel 1342-43. L'autore racconta di aver visitato in sogno un castello, dove ha visto dipinti i trionfi della Sapienza, della Gloria, dell'Avarizia, dell'Amore e della Fortuna e accompagna la sua descrizione con numerose digressioni di carattere erudito ed enciclopedico. In quest'opera, lo schema allegorico dantesco è trasformato in senso laico: non si tratta di un viaggio mistico a Dio, ma della conquista di una saggezza morale tutta umana. L'elegia di Madonna Fiammetta Con l'opera intitolata Elegia di Madonna Fiammetta Boccaccio torna al genere del romanzo in prosa e all'ambientazione napoletana. Le vicende sono narrate dal punto di vista di una dama napoletana abbandonata dall'amante, Panfilo, che è tornato nella sua città e l'ha dimenticata. Fiammetta attende invano il suo ritorno a Napoli, ricordando i tempi dell'amore felice, mentre si strugge per la sua passione impossibile e per la gelosia. Il tormento è dato dal fatto che Fiammetta è sposata e deve nascondere al marito il vero motivo della sua infelicità. Il marito, per confortarla, la conduce proprio in quei luoghi della riviera napoletana 3 che le ricordano la passata felicità, aggravandone la disperazione. L'opera ha la forma di una lunga lettera rivolta alle donne innamorate e si ispira alle Emidi di Ovidio, elegie sotto forma di lettere in versi in cui le eroine del mito si rivolgevano ai loro amanti confessando le proprie pene d'amore. È molto importante che la parola sia data alla donna stessa: nella tradizione cortese la donna era solo oggetto del desiderio da parte dell'uomo, un idolo remoto e irraggiungibile, qui invece la donna diviene soggetto amoroso e confessa la propria passione, che è sentimentale, carnale e sensuale. Nel V canto dell'Inferno Dante aveva già concesso a Francesca di confessare apertamente la sua forte attrazione per Paolo, ma nella prospettiva religiosa del poeta, l'infelice eroina era considerata un esempio negativo di lussuria, da condannare senza esitazioni. Boccaccio invece dimostra tutta la simpatia e la comprensione nei confronti di Fiammetta. • If ninfale fiesolano La simpatia per la tradizione culturale fiorentina si esprime nella sua forma più compiuta nel Ninfale fiesolano, un poemetto in ottave di ambiente pastorale, che rievoca le leggendarie origini di Fiesole e di Firenze. Al centro vi è l'amore di due giovani, il pastore Africo e la ninfa Mensola, contrastato dalle ferree leggi imposte dalla dea Diana, che costringe le ninfe alla castità. Le vicende si svolgono sullo sfondo di una natura idilliaca e sono avvolte da un'atmosfera di ingenua favola. Il poemetto risente di numerosi modelli classici, ma è privo di riferimenti eruditi e di procedimenti allegorici; tutto lo spazio è lasciato alla rappresentazione ideale di un mondo popolare, nei suoi costumi semplici e nei suoi sentimenti elementari. Anche il linguaggio e il metro hanno il ritmo facile, la grazia fresca e spontanea dei cantari popolareschi toscani. La concezione dell'amore che vi domina è quella naturalistica: lo sbocciare del sentimento e del desiderio tra i due giovani è qualche cosa di puro e innocente, mentre al contrario appaiono barbare e crudeli le leggi della dea Diana che impongono la castità. Il Decameron Scritto tra il 1348 e il 1353, il Decameron è una raccolta di cento novelle inserita all'interno di una cornice: la peste. In questo contesto 10 ragazzi (7 ragazze e 3 ragazzi) che per fuggire dalla peste si rifugiano in campagna e ogni pomeriggio si riuniscono per raccontarsi una novella ciascuno. Ogni giorno viene eletto un re che decide il tema per i narratori. All'inizio di ogni novella ci sono dei preamboli in cui spesso sono descritte le reazioni degli uditori alla novella precedente. Nei titoli-sommari sono specificati i re: ● . . ● . I giornata: Pampinea, tema libero; II: Filomena, tema: avventure a lieto fine; III: Neifile, tema: storie di chi ottiene qualcosa con l'ingegno; IV: Filostrato, tema: amori con esito infelice; V: Fiammetta, tema: amori a lieto fine; VI: Elissa, tema: storie di chi evita un pericolo; VII: Dioneo, tema: beffe compiute dalle donne contro i mariti; VIII: Lauretta, tema: beffe e scherzi; IX: Emilia, tema libero; X: Panfilo, tema: avventure d'amore affrontate con magnanimità e cortesia. Il libro si apre con un proemio in cui Boccaccio spiega lo scopo dell'opera: giovare a coloro che sono afflitti da pene d'amore, soprattutto le donne, "quelle che amano". Il Decameron è destinato a un pubblico raffinato, ma non a letterati di professione (letteratura laica e mondana). Nell'introduzione alla I giornata troviamo una lunga descrizione della peste: Boccaccio mostra disgusto e angoscia per il disgregarsi delle norme sociali, che devono essere ripristinate dall'iniziativa dei 10 giovani. Nel decameron si celebrano la forza e l'intelligenza dell'uomo, che sa affrontare gli ostacoli della natura. Inoltre, trionfa un ideale signorile di armonia e di equilibrio. Nella cornice si ha una perfetta uniformità di spazi e condizioni sociali, mentre nelle novelle si agita un mondo vario e multiforme. 4 La maggior parte delle novelle hanno tempo e spazio ben definiti, spesso ambientate nella realtà cittadina, borghese e mercantile. Boccaccio presta molta attenzione al mondo dei mercanti (quello da cui proviene). Si notano un'insistenza sulle basi materiali ed economiche e una celebrazione dell'abilità e dell'intraprendenza umana, esaltata da uno dei temi centrali del decameron: l'industria. Boccaccio riconosce anche i limiti della società mercantile: l'interesse economico sopra tutto può condurre alla crudeltà. Nel Decameron si coglie una nostalgia del mondo cavalleresco con i valori cortesi. Boccaccio aspira ad una fusione delle virtù cortesi con quelle borghesi. Il Decameron è mosso da due forze: amore e fortuna. La fortuna è una forza imprevedibile che domina la realtà. Nella mentalità mercantile è un complesso accidentale di fenomeni e circostanze, non regolato da una volontà superiore. Questa è una visione laica, che assegna all'agire dell'uomo una piena autonomia. Nelle novelle del Decameron la fortuna si manifesta attraverso i fenomeni naturali o le azioni umane. Essa è la grande antagonista dell'industria umana, che per trionfare deve dar prova di saper affrontare gli imprevisti. L'amore è visto in prospettiva laica e terrena: appare come una forza che scaturisce dalla natura. Si tratta di una forza sana e positiva e soffocarla sarebbe una colpa (concezione che si afferma nel Rinascimento). L'amore nel Decameron si presenta in varie forme: può essere una fonte di ingentilimento, uno stimolo all'industria, può dare origine alle situazioni più tragiche, sublimi e patetiche. Boccaccio non indugia mai nei particolari delle situazioni erotiche, ma ne parla in maniera generale, senza malizia, mantenendosi distaccato. La molteplicità del reale: Boccaccio dimostra un'aperta disponibilità verso la vita in ogni sua forma, infatti i suoi personaggi compiono azioni di vario genere. Tutti gli aspetti di società e natura sono collocati nelle novelle senza alcuna scelta idealizzante. Per quanto riguarda la società, si concentra maggiormente sulla moderna civiltà urbana (mercanti, banchieri, aristocrazia cittadina, borghesia, artigiani ecc.), pur essendoci i re, i feudatari e il clero e al tempo stesso la plebe urbana e gli abitanti della campagna. Si può notare inoltre una predilezione per il mare, che diventa metafora della fortuna facendo da sfondo alle novelle avventurose. L'ambiente prediletto da Boccaccio è la città, la più rappresentata è Firenze, descritta come luogo di commerci, attività sociale e di usanze cortesi. La città è uno spazio aperto disponibile a tutte le esperienze. Tutte le presenze del Decameron sono ordinate dall'autore in schemi armonici: si possono notare le corrispondenze e le simmetrie che si creano all'interno dell'opera. Tali schemi derivano da una visione del mondo laica. Boccaccio pur non assumendo un atteggiamento antireligioso, non include nella sua opera la dimensione del soprannaturale, ma si tratta di un mondo interamente umano. La visione di Boccaccio è orizzontale, quindi incentrata sulla vita terrena, al contrario di quella verticale di Dante che puntava all'elevazione dell'anima fino alla beatitudine eterna. Boccaccio non si sofferma mai troppo sulla descrizione di oggetti, ambienti o personaggi, perché essi hanno rilievo solo in quanto funzionali allo svolgimento dell'azione narrativa. I profili dei personaggi si compongono attraverso le loro parole e azioni. Al centro della concezione Boccacciana vi è l'agire dell'uomo, cioè la fiducia nella sua energia e capacità di dominare il mondo. Il genere della novella (racconto breve in prosa) raggiunge la forma più compiuta con il Decameron. Questo genere trae origine dagli exemplum, fabliaux e romanzo cavalleresco e ha per fine l'intrattenimento. Essendo svincolato dalle regole della letteratura alta, Boccaccio, può affrontare liberamente i temi più diversi. La novella si adegua con facilità alla visione della realtà aperta di Boccaccio. La raccolta di novelle è la forma più idonea a rispecchiare un mondo molteplice e Nel Decameron ci sono varie forme di narrazione: novelle avventurose, novelle fondate sul dialogo con un impianto scenico e quelle brevissime che si concentrano su un motto. Il narratore è onnisciente, ma spesso pone i suoi interventi. Le voci narranti sono molte, considerando tutti i 10 giovani, che vengono unite in un unico narratore. In alcune novelle il lettore vede le vicende attraverso gli occhi di un personaggio attraverso 5 un punto di vista soggettivo, ciò avviene nei momenti di maggiore tensione narrativa. Le vicende narrate seguono un ordine logico-cronologico, mentre la durata varia: a volte un lungo avvenimento viene raccontato brevemente, altre volte l'autore si sofferma su vere e proprie scene. La lingua e lo stile Alla varietà del mondo rappresentato nel Decameron corrisponde anche una pluralità di stili. Vi è una distinzione tra la lingua della voce narrante (dei dieci giovani e dell'autore della "cornice") e la lingua dei personaggi. Il discorso del "narratore" è caratterizzato da uno stile "alto", con periodi lunghi, però dove la narrazione lo richiede, il periodo si fa più agile e breve, per assecondare la rapidità delle azioni e dei movimenti. Anche dal punto di vista lessicale la lingua di Boccaccio è ricca di di registri: sulla base del fiorentino letterario si possono trovare latinismi, francesismi, termini tecnici e persino espressioni popolari. Ciò avviene soprattutto nelle parti maliziose dove viene usa un linguaggio metaforico. Differentemente da Dante, che ricerca gli scontri immediati e violenti dei registri, toccando gli estremi dell'aulico prezioso o del volgare plebeo, Boccaccio tende però a livellare il suo linguaggio osservando un livello stilistico medio. Esistono poi le voci dei personaggi. Essi sono una folla multiforme, appartenente a diversi ceti sociali e alle varie aree geografiche, quindi i loro linguaggi sono molto vari. I linguaggi degli attori delle vicende, che si esprimono tramite il discorso diretto, variano a seconda delle condizioni sociali. Si ritrovano ampi discorsi in stile sostenuto soprattutto nelle novelle di argomento tragico ed elevato, mentre nelle novelle di argomento comico, le battute del dialogo fra i personaggi sono più rapide, frizzanti e ricche di elementi popolareschi. Andreuccio Da Perugia Trama Andreuccio è un giovane che decide di partire per Nap con 500 fiorini per acquistare dei cavalli. Nella nuova città però rimane disorientato e a causa della sua ingenuità finisce a casa della prostituta Fiordaliso, intenzionata a rubargli i suoi averi. Andreuccio, viene chiuso fuori dalla casa che lo ospitava, e perde così anche il denaro e i vestiti. Il giovane si mette in cerca del mare per darsi una ripulita ma a causa del suo girovagare si perde nei vicoli di Napoli e si rifugia in un casolare dove conosce due ladri che gli propongono un affare: rubare i gioielli sepolti nello stesso posto in cui giace il defunto arcivescovo. Andreuccio accetta e dopo un breve incidente al pozzo, dove i tre si erano recati per consentire al giovane di ripulirsi, giungono alla chiesa. Qui Andreuccio capisce che i due ladri sarebbero fuggiti con tutto il tesoro, una volta che lui sarebbe tornato; decide quindi di tenere per sé l'anello dell'arcivescovo con un grosso rubino incastonato. A un certo punto i furfanti fuggono sentendo giungere altri predoni, messi in fuga proprio da Andreuccio, creduto da loro un morto tornato in vita. La vicenda si conclude positivamente con il ritorno del giovane a Perugia, più ricco rispetto a quando era partito. In questa novella il motivo centrale è quello del saper vivere e dell'umana industria (iniziativa), che sa vincere gli ostacoli e liberarsi dalle situazioni difficili. Inizialmente il protagonista è l'antitesi del tipico personaggio di Boccaccio accorto, malizioso e abile: Andreuccio appare come un antieroe. Non è sciocco come gli altri antieroi del Decameron è solamente un giovane ingenuo con tanta inesperienza che si ritrova in un mondo ben più insidioso di quello a cui era stato abituato. 6 La struttura della vicenda è costituita da un percorso di formazione attraverso cui il giovane acquista esperienza, diventa più scaltro e impara ad affrontare ad armi pari i pericoli della realtà sociale. Alla fine, quando con abile mossa riesce a liberarsi dal sepolcro, Andreuccio può collocarsi al fianco degli altri eroi boccacciani. L'appropriarsi dell'anello non è un'azione moralmente lodevole, ma Boccaccio mette tra parentesi il giudizio morale: non gli interessa giudicare moralmente l'agire di Andreuccio, ma fare vedere che il protagonista ha capito di saper vivere. In questa novella la Fortuna è l'antagonista dell'eroe. Innanzitutto la Fortuna si accanisce su Andreuccio solo perché questi non è in grado di contrastarla: se il giovane fosse più accorto, non cadrebbe nel tranello della siciliana. Cosi, al termine, la Fortuna salva Andreuccio dal morire soffocato nella tomba, ma solo perché questi sa cogliere l'occasione che gli è offerta. Lo spazio è una grande città, uno spazio labirintico, insidioso, che genera continui incontri e sorprese. Oltre allo spazio, anche la dimensione temporale, il tempo notturno favorevole agli intrighi, ai sotterfugi e alle sorprese, appare adatto ad assecondare il grande tema della Fortuna. Dopo il prologo che si svolge sul mercato, l'intreccio si suddivide strettamente in tre sequenze narrative: 1. il tranello della siciliana; 2. il vagabondare di Andreuccio per le vie notturne, con i suoi vari incontri dovuti al caso; 3. il furto nella cattedrale. In tutte e tre le sequenze vi è un momento critico, costituito da un pericolo o da un danno. Il narratore è eterodiegetico e onnisciente, che spesso interviene a pronunciare giudizi sulle ingenuità e gli errori dell'eroe nel corso dell'azione. Lisabetta da Messina Trama Lisabetta è una giovane ragazza di Messina, orfana del padre, vive insieme ai suoi tre fratelli. La famiglia si è arricchita nel corso del tempo grazie al commercio. ● Lisabetta si innamora di Lorenzo, un ragazzo povero di Pisa che aiuta i fratelli nel lavoro. Il loro amore non è consentito per i dettami dell'epoca: c'è troppa differenza di ceto sociale fra i due. Lisabetta e Lorenzo pensano che il loro amore possa superare ogni cosa, perché è puro e onesto, ma non hanno considerato la rigidità mentale dei tre fratelli: una volta scoperto questo amore, decidono di impedire che proceda oltre. Questo perché Lisabetta è tecnicamente ancora nubile e questa tresca con Lorenzo rischia di infangare la sua reputazione e quindi quella di tutta la famiglia. Così i tre fratelli convincono Lorenzo ad accompagnarli fuori città, ma qui lo uccidono e ne nascondono il cadavere. Una volta tornati a casa convincono tutti, anche Lisabetta, che il ragazzo è via per affari. Vista però la lunga assenza, Lisabetta comincia a sospettare che ci sia qualcosa che non va. E infatti una notte il fantasma di Lorenzo parla in sogno a Lisabetta e gli dice di essere stato ucciso dai suoi fratelli, mostrandole anche in luogo dove il suo corpo è stato sepolto. Lisabetta, con la scusa di fare una gita in campagna, riesce a recuperare il corpo dell'amato, grazie anche all'aiuto di una serva. Una volta disseppelito il cadavere, decide di tagliargli la testa e la nasconde in un vaso, ricoprendola poi con terriccio e pianta di basilico: in questo modo avrà sempre vicino a sé il suo amato. Essendo ben concimato, questo basilico cresce notevolmente e Lisabetta tutti i giorni piange sulla pianta. I vicini trovano strano vedere tutti i giorni quella giovane donna struggersi per una pianta di basilico e avvisano i fratelli della cosa. I tre prendono il vaso e fanno la macabra scoperta: a questo punto cercano di far sparire 7 tutto per evitare un'accusa di omicidio e vanno via da Messina, trasferendosi a Napoli insieme a Lisabetta. La ragazza, però, già malata a seguito del sequestro del vaso e della testa, finisce per morire dal dolore. La vicenda si basa sul tema dell'amore contrastato. Nella novella vi è lo scontro tra due forze potenti, che portano alla rovina: l'amore e il mercato. La prima si incarna in Lisabetta, che obbedisce solo al richiamo irresistibile della natura giovanile, innamorandosi di Lorenzo, la seconda nei fratelli, che contrastano l'amore solo perché potrebbe danneggiare il loro buon nome e compromettere i loro interessi di mercanti in un paese straniero ostile. Opporsi alla forza dell'amore è impossibile. Lisabetta, per quanto vittima, risulta alla fine vincitrice: disgrega il nucleo familiare che i fratelli volevano tenere unito anche a prezzo di un delitto e li costringe, con il suo comportamento, a fuggire da Messina. Il messaggio della novella è la necessità di un'apertura laica della morale familiare e sociale, che consenta una condotta più libera per quanto riguarda rapporti tra i sessi e i rapporti tra ceti sociali diversi. Sul piano della struttura narrativa, Lisabetta non prende mai la parola, a differenza dei personaggi di Boccaccio, che di solito parlano molto e con grande eloquenza: questo silenzio è usato da Boccaccio per indicare la sua condizione immutabile di vittima. Federico degli Alberighi Trama Federigo è un giovane ricco e nobile che s'innamora di Giovanna, una nobildonna, che non può corrispondere alle sue attenzioni, perché già sposata. Per corteggiarla, spende ogni avere, organizzando tornei di spada tra gentiluomini, giochi, e ovviamente feste in cui dimostrare tutta la sua ricchezza, ma Giovanna non cede. Il nobile, ormai in rovina per aver sperperato tutto, si riduce a vivere in campagna con una vecchia serva e la sua unica distrazione è la caccia con un magnifico falcone addestrato, ultimo segno della sua antica nobiltà. Giovanna, intanto, rimane vedova con un solo figlio, e il caso vuole che vada a vivere in un appezzamento di terra vicino a quello di Federigo. Questi stringe amicizia con il figlio della donna, che si affeziona molto al falcone. Nel frattempo il ragazzo si ammala gravemente, e, quasi come se potesse farlo guarire, chiede alla madre che gli procuri in dono il falcone, che desidera più di ogni cosa, come rimedio alla malattia che lo sta consumando. La donna è in difficoltà, perché da un lato ha a cuore la salute del figlio, ma dall'altro è consapevole che deve chiedere un favore troppo grande all'uomo che l'amava e che lei ha rifiutato. Spinta però dall'amore del figlio, va a far visita a Federigo: finge di passare per caso da casa sua e gli chiede se può fermarsi a tavola. Il protagonista, però, non può certo offrirle un pranzo degno di una nobildonna a causa delle ristrettezze economiche in cui si trova, e decide, quindi, di sacrificare l'unica cosa di valore che ha: il suo falcone. Troppo tardi la donna dichiara la sua richiesta: quando, terminato il pranzo, chiede di poter avere il falcone per curare suo figlio, Federigo, tra le lacrime, confessa ciò che è avvenuto. Giovanna è attonita: da un lato è arrabbiata per il gesto di Federigo, ma dall'altro è chiaramente colpita dal grande gesto che lo ha portato a sacrificare tutto quello che di valore gli era rimasto unicamente per amor suo. La novella si conclude con un finale agrodolce: il figlio di Giovanna muore poco dopo a seguito della grave malattia, lasciando alla madre le grandi ricchezze ereditate dal padre. Giovanna, spinta dai fratelli a cercarsi un nuovo marito per non rimanere vedova e sola, sceglie Federigo, nonostante la sua povertà. All'inizio della novella, Federigo, incarna perfettamente gli ideali della aristocrazia cortese. Boccaccio ammira e celebra queste virtù cavalleresche dell'eroe, ma ne coglie anche le contraddizioni. Egli porta in primo piano un aspetto che letteratura cortese aveva sempre ignorato: per essere perfetti cavalieri cortesi occorre molto denaro. 8 L'unica soluzione che si prospetta è conciliare la generosità cortese con il culto borghese del denaro, la <<liberalità » con la «masserizia». La «masserizia» è una condizione necessaria per l'esercizio della cortesia: solo se si amministra saggiamente il patrimonio, le ricchezze possono durare e consentire agli uomini di essere giustamente liberali. Tuttavia a sua volta la liberalità è necessaria per la «masserizia» e per impedire che divenga avarizia. Boccaccio è l'interprete di quella nuova aristocrazia borghese della società comunale che fonda il suo potere sul denaro, ma eredita dalla civiltà passata il culto del vivere signorile, della generosità disinteressata e dei gesti magnanimi. Dopo il Decameron L'attività erudita e umanistica Boccaccio dedicò gli ultimi vent'anni della sua vita agli studi letterari ed eruditi. Grazie all'amicizia con Petrarca, egli si immerse nello studio dei classici. L'amore per l'antichità si riflette innanzitutto nelle Epistole (ventisei, quasi tutte in latino), tra le quali si distinguono in particolare quelle indirizzate a Petrarca. Frutto degli studi classici di Boccaccio furono varie opere in prosa latina come Le sventure di uomini illustri, che narra delle vicende di famosi personaggi di varie epoche, Le donne famose una raccolta di biografie di donne famose di tutte le età della storia. L'opera più importante tra queste è Le genealogie degli dèi pagani, a cui Boccaccio lavorò per oltre vent'anni, sino alla morte: è un'immensa enciclopedia della mitologia classica. ● Il culto dantesco Frutto del culto dantesco di Boccaccio sono Le Esposizioni sopra la «Commedia», un commento ai primi 17 canti dell'inferno che raccoglie le sue lezioni tenute su del Comune fiorentino tra il 1373 e il 1374. Un'altra opera è il Trattatello in di Dante, una biografia del poeta. Il corbaccio ● Dopo il Decameron, Boccaccio scrive una sola opera di invenzione, il Corbaccio. La datazione è incerta così come significato del titolo: forse allude al corvo, come simbolo di aggressiva maldicenza, e rappresenta dunque la forza dell'amore che acceca; corbaccio deriva dallo spagnolo corbacho, ovvero frusta, con allusione al carattere violentemente satirico dell'opera. Si tratta infatti di un'aspra satira contro le donne, che assume la forma di un breve scritto in prosa volgare. L'atteggiamento ostile verso le donne e il rifiuto dell'amore riprendono spunti della tradizione ascetica medievale. Vi è un radicale rovesciamento delle opere giovanili e del Decameron: in quegli scritti l'amore era visto come forza naturale e positiva e come fonte di ingentilimento dell'animo, ora invece viene considerato come causa di abbrutimento e di degradazione. Quelle opere erano dedicate proprio alle donne, ora le donne sono respinte in nome delle Muse, che rappresentano l'aspirazione ad una letteratura di livello aristocraticamente elevato. In questo rovesciamento si proiettano sia i turbamenti religiosi dell'ultimo Boccaccio, sia la sua dedizione all'attività erudita, che lo porta a privilegiare una letteratura di livello "alto", destinata essenzialmente ai dotti. 9