Materie

Materie

Di più

Boccaccio

23/10/2022

6651

301

Condividi

Salva

Scarica


VITA
Boccaccio, Dante e Petrarca sono i 3 padri della letteratura italiana.
Boccaccio ammira molto Dante e Petrarca; considera Dante come il

Iscriviti

Registrati per avere accesso illimitato a migliaia di appunti. È gratis!

Accesso a tutti i documenti

Unisciti a milioni di studenti

Migliora i tuoi voti

Iscrivendosi si accettano i Termini di servizio e la Informativa sulla privacy.

VITA
Boccaccio, Dante e Petrarca sono i 3 padri della letteratura italiana.
Boccaccio ammira molto Dante e Petrarca; considera Dante come il

Iscriviti

Registrati per avere accesso illimitato a migliaia di appunti. È gratis!

Accesso a tutti i documenti

Unisciti a milioni di studenti

Migliora i tuoi voti

Iscrivendosi si accettano i Termini di servizio e la Informativa sulla privacy.

VITA
Boccaccio, Dante e Petrarca sono i 3 padri della letteratura italiana.
Boccaccio ammira molto Dante e Petrarca; considera Dante come il

Iscriviti

Registrati per avere accesso illimitato a migliaia di appunti. È gratis!

Accesso a tutti i documenti

Unisciti a milioni di studenti

Migliora i tuoi voti

Iscrivendosi si accettano i Termini di servizio e la Informativa sulla privacy.

VITA
Boccaccio, Dante e Petrarca sono i 3 padri della letteratura italiana.
Boccaccio ammira molto Dante e Petrarca; considera Dante come il

Iscriviti

Registrati per avere accesso illimitato a migliaia di appunti. È gratis!

Accesso a tutti i documenti

Unisciti a milioni di studenti

Migliora i tuoi voti

Iscrivendosi si accettano i Termini di servizio e la Informativa sulla privacy.

VITA
Boccaccio, Dante e Petrarca sono i 3 padri della letteratura italiana.
Boccaccio ammira molto Dante e Petrarca; considera Dante come il

Iscriviti

Registrati per avere accesso illimitato a migliaia di appunti. È gratis!

Accesso a tutti i documenti

Unisciti a milioni di studenti

Migliora i tuoi voti

Iscrivendosi si accettano i Termini di servizio e la Informativa sulla privacy.

VITA
Boccaccio, Dante e Petrarca sono i 3 padri della letteratura italiana.
Boccaccio ammira molto Dante e Petrarca; considera Dante come il

Iscriviti

Registrati per avere accesso illimitato a migliaia di appunti. È gratis!

Accesso a tutti i documenti

Unisciti a milioni di studenti

Migliora i tuoi voti

Iscrivendosi si accettano i Termini di servizio e la Informativa sulla privacy.

VITA
Boccaccio, Dante e Petrarca sono i 3 padri della letteratura italiana.
Boccaccio ammira molto Dante e Petrarca; considera Dante come il

Iscriviti

Registrati per avere accesso illimitato a migliaia di appunti. È gratis!

Accesso a tutti i documenti

Unisciti a milioni di studenti

Migliora i tuoi voti

Iscrivendosi si accettano i Termini di servizio e la Informativa sulla privacy.

VITA
Boccaccio, Dante e Petrarca sono i 3 padri della letteratura italiana.
Boccaccio ammira molto Dante e Petrarca; considera Dante come il

Iscriviti

Registrati per avere accesso illimitato a migliaia di appunti. È gratis!

Accesso a tutti i documenti

Unisciti a milioni di studenti

Migliora i tuoi voti

Iscrivendosi si accettano i Termini di servizio e la Informativa sulla privacy.

VITA
Boccaccio, Dante e Petrarca sono i 3 padri della letteratura italiana.
Boccaccio ammira molto Dante e Petrarca; considera Dante come il

Iscriviti

Registrati per avere accesso illimitato a migliaia di appunti. È gratis!

Accesso a tutti i documenti

Unisciti a milioni di studenti

Migliora i tuoi voti

Iscrivendosi si accettano i Termini di servizio e la Informativa sulla privacy.

VITA
Boccaccio, Dante e Petrarca sono i 3 padri della letteratura italiana.
Boccaccio ammira molto Dante e Petrarca; considera Dante come il

Iscriviti

Registrati per avere accesso illimitato a migliaia di appunti. È gratis!

Accesso a tutti i documenti

Unisciti a milioni di studenti

Migliora i tuoi voti

Iscrivendosi si accettano i Termini di servizio e la Informativa sulla privacy.

VITA
Boccaccio, Dante e Petrarca sono i 3 padri della letteratura italiana.
Boccaccio ammira molto Dante e Petrarca; considera Dante come il

Iscriviti

Registrati per avere accesso illimitato a migliaia di appunti. È gratis!

Accesso a tutti i documenti

Unisciti a milioni di studenti

Migliora i tuoi voti

Iscrivendosi si accettano i Termini di servizio e la Informativa sulla privacy.

VITA
Boccaccio, Dante e Petrarca sono i 3 padri della letteratura italiana.
Boccaccio ammira molto Dante e Petrarca; considera Dante come il

Iscriviti

Registrati per avere accesso illimitato a migliaia di appunti. È gratis!

Accesso a tutti i documenti

Unisciti a milioni di studenti

Migliora i tuoi voti

Iscrivendosi si accettano i Termini di servizio e la Informativa sulla privacy.

VITA
Boccaccio, Dante e Petrarca sono i 3 padri della letteratura italiana.
Boccaccio ammira molto Dante e Petrarca; considera Dante come il

Iscriviti

Registrati per avere accesso illimitato a migliaia di appunti. È gratis!

Accesso a tutti i documenti

Unisciti a milioni di studenti

Migliora i tuoi voti

Iscrivendosi si accettano i Termini di servizio e la Informativa sulla privacy.

VITA
Boccaccio, Dante e Petrarca sono i 3 padri della letteratura italiana.
Boccaccio ammira molto Dante e Petrarca; considera Dante come il

Iscriviti

Registrati per avere accesso illimitato a migliaia di appunti. È gratis!

Accesso a tutti i documenti

Unisciti a milioni di studenti

Migliora i tuoi voti

Iscrivendosi si accettano i Termini di servizio e la Informativa sulla privacy.

VITA
Boccaccio, Dante e Petrarca sono i 3 padri della letteratura italiana.
Boccaccio ammira molto Dante e Petrarca; considera Dante come il

Iscriviti

Registrati per avere accesso illimitato a migliaia di appunti. È gratis!

Accesso a tutti i documenti

Unisciti a milioni di studenti

Migliora i tuoi voti

Iscrivendosi si accettano i Termini di servizio e la Informativa sulla privacy.

VITA
Boccaccio, Dante e Petrarca sono i 3 padri della letteratura italiana.
Boccaccio ammira molto Dante e Petrarca; considera Dante come il

Iscriviti

Registrati per avere accesso illimitato a migliaia di appunti. È gratis!

Accesso a tutti i documenti

Unisciti a milioni di studenti

Migliora i tuoi voti

Iscrivendosi si accettano i Termini di servizio e la Informativa sulla privacy.

VITA
Boccaccio, Dante e Petrarca sono i 3 padri della letteratura italiana.
Boccaccio ammira molto Dante e Petrarca; considera Dante come il

Iscriviti

Registrati per avere accesso illimitato a migliaia di appunti. È gratis!

Accesso a tutti i documenti

Unisciti a milioni di studenti

Migliora i tuoi voti

Iscrivendosi si accettano i Termini di servizio e la Informativa sulla privacy.

VITA
Boccaccio, Dante e Petrarca sono i 3 padri della letteratura italiana.
Boccaccio ammira molto Dante e Petrarca; considera Dante come il

Iscriviti

Registrati per avere accesso illimitato a migliaia di appunti. È gratis!

Accesso a tutti i documenti

Unisciti a milioni di studenti

Migliora i tuoi voti

Iscrivendosi si accettano i Termini di servizio e la Informativa sulla privacy.

VITA Boccaccio, Dante e Petrarca sono i 3 padri della letteratura italiana. Boccaccio ammira molto Dante e Petrarca; considera Dante come il suo modello, e nutre una profonda stima nei suoi confronti, più di quanto lo faccia Petrarca, perché Petrarca vede Dante come un suo antagonista. Boccaccio è un precursore dell'umanesimo. Quando nel 500 ci sarà la volontà di tracciare delle regole da seguire in ambito letterario, Boccaccio sarà uno dei modelli da seguire. Nel 1525 Pietro Bembo, scriverà le "prose del volgar lingua", in quest'opera, lui sottolinea chi sono i modelli letterari da seguire, in poesia va seguito il modello Petrarchesco, si sceglie per il suo monolinguismo, perchè Petrarca realizza uno stile letterario to, scrive mediante un verso elegante, controllato, melodico, che non rivela per niente l'inquietudine che lui sente nel suo stato d'animo. Non viene scelto Dante perché la lingua di Dante è molto lontana da quella di Petrarca, in lui è presente il plurilinguismo, Dante passa dal linguaggio plebeo, al linguaggio colto, elevato, sublime, all'interno di una stessa opera, la divina commedia. Per quanto riguarda la prosa, sarà modello da seguire Boccaccio, perché lui scriverà poemi in versi, poemi in ottavi, ma soprattutto scriverà opere in prosa, in particolare il Decameron. Però all'interno dello stesso Decameron, non tutto verrà preso in analisi nel 500, ma soltanto alcuni aspetti...

Non c'è niente di adatto? Esplorare altre aree tematiche.

Knowunity è l'app per l'istruzione numero 1 in cinque paesi europei

Knowunity è stata inserita in un articolo di Apple ed è costantemente in cima alle classifiche degli app store nella categoria istruzione in Germania, Italia, Polonia, Svizzera e Regno Unito. Unisciti a Knowunity oggi stesso e aiuta milioni di studenti in tutto il mondo.

Ranked #1 Education App

Scarica

Google Play

Scarica

App Store

Knowunity è l'app per l'istruzione numero 1 in cinque paesi europei

4.9+

Valutazione media dell'app

13 M

Studenti che usano Knowunity

#1

Nelle classifiche delle app per l'istruzione in 11 Paesi

900 K+

Studenti che hanno caricato appunti

Non siete ancora sicuri? Guarda cosa dicono gli altri studenti...

Utente iOS

Adoro questa applicazione [...] consiglio Knowunity a tutti!!! Sono passato da un 5 a una 8 con questa app

Stefano S, utente iOS

L'applicazione è molto semplice e ben progettata. Finora ho sempre trovato quello che stavo cercando

Susanna, utente iOS

Adoro questa app ❤️, la uso praticamente sempre quando studio.

Didascalia alternativa:

della prosa. Boccaccio, nasce nel 1313 a Certaldo; lui è figlio di un mercante, Boccaccino di Chellino, ed è figlio illegittimo perché nato da una relazione extraconiugale, la madre, a quanto pare era una donna di umili condizioni, anche se, lui racconterà che questa madre era di nobile provenienza. Il padre lo vuole avviare alle attività pratiche, tanto che, nel 1327 lo porterà con sé a Napoli, dove rimarrà fino al 1340/1341. Si trasferiscono a Napoli perché era stata finanziata la banca dei bardi dal re inglese. Il padre vorrebbe che Boccaccio fosse inviato all'attività mercantile, ma in realtà Boccaccio, non si sente tanto portato per questa attività, ma si sente più portato per gli studi letterari e classici. Ad un certo punto il padre lo fa iscrivere alla facoltà di Giurisprudenza, ma lui non è appassionato da questi studi, e si sente sempre attratto dagli studi umanistici. Le influenze che avranno peso su di lui saranno: lo stilnovo, Dante, Petrarca, l'etica cavalleresca, studi classici latini e studi Greci, infatti molti titoli delle sue opere saranno di derivazione Greca. Per Boccaccio, Napoli è un periodo bellissimo, perchè Napoli è lontana da quel grigiore che era la vita di Firenze. Napoli è una città ricca, che pullula di vita, qui conduce una vita che da un lato gli permette di conoscere la realtà vivace di quella città in cui confluiscono tante personalità. A napoli, essendo attratto dal mondo colto letterario, ed essendo anche benestante, entra a far parte della corte di Roberto D'Angiò, dove conosce e si innamore di Maria d'aquino, Maria D'Angiò, che era la figlia illegittima del re Roberto D'Angiò. Racconterà molto di lei nelle sue opere, chiamandola fiammetta. Roberto D'Angiò era un uomo amante della cultura Da un lato si sviluppa questo aspetto della sua poesia, cortese, che assimila dalla corte, l'aspetto cortese, raffinato che si impronta su valori cortesi come l'eleganza, la raffinatezza, l'amore corte, dall'altro lato lui lavora nella banca dei bardi, ambiente frequentato da diversi tipi di uomini, un ambiente popolare, quindi in lui si sviluppano 2 aspetti: quello cortese, raffinato, aristocratico della corte, e quello cortese, che gli permette di conoscere la vita vera, le sfaccettature di tutti i tipi umani. Boccaccio si forma da autodidatta, studia i classici latini, la letteratura italiana, lo stilnovo, Dante, Petrarca, i poemi cavallereschi francesi e tutto questo andrà a confluire nella sua cultura e nella sua produzione letteraria. La banca dei bardi però fallisce, perché fin tanto che il re di inghilterra finanzia le banche, tutte le banche importanti fiorentine e italiane vanno avanti, quando si finiscono i finanziamenti tutto si blocca, quindi questa banca dei bardi fiorentina che si trovava a Napoli, fallisce, di conseguenza, il padre e Boccaccio devono tornare a firenze. Boccaccio, inevitabilmente, si trova catapultato in una dimensione che a lui non piace proprio. Mentre a Napoli conduceva una vita frivola, piena di divertimento, nella corte vivace, adesso ripiomba nel grigiore fiorentino, e deve cercare un modo per sostentarsi, passa per vari signori perché non sa dove vivere. A Firenze però verrà riconosciuta la sua bravura letteraria ed il suo valore, infatti gli verranno affidate varie missioni diplomatiche, verrà accolto a Ravenna, presso la corte di Ostasio da Polenta, e a Forlì. Nel 1348, a firenze accade un fatto molto importante, la peste, porterà Boccaccio a scrivere il Decameron. La peste lo toccherà da vicino, lui verrà colpito ma guarisce, ma suo padre muore, appunto, di peste. In boccaccio è molto presente l'elemento biografico, lui risale moltissimo alla propria biografia; nella descrizione dei personaggi nelle opere, lui fa sempre riferimento ai personaggi che realmente lui frequenta nel periodo napoletano e anche in quello fiorentino. Nel 1360, avrà un periodo di crisi, perché dei suoi amici, avevano fatto parte di una congiura, quindi lui viene accusato di averne fatto parte. Quindi si allontana da tutta la vita fiorentina, andando a certaldo, perchè si sente molto deluso e si sente di essere stato accusato ingiustamente di una cosa che lui non aveva fatto. Questo allontanamento dura poco, poichè nel 1365 gli vengono affidati di nuovo degli incarichi pubblici. La sua casa diventa un luogo frequentato dagli intellettuali, anche Coluccio Salutati frequenterà la sua casa. Nel 1375 muore. Opere periodo napoletano Le influenze letterarie che si riscontrano all'interno delle opere che lui scrive nel periodo Napoletano sono: i valori cortesi che si fondano sulla lealtà, sulla magnanimità, sulla generosità, sull'amore puro, raffinato, sull'amore che sgorga nei cuori nobili, quel rapporto di lealtà e di fiducia tra il vassallo e il signore. Questi valori cortesi sono quelli che nascono nelle corti francese, fin da Carlo Magno, come il rapporto che lega lui ai suoi vassalli; questo tipo di rapporto si estende non solo a rapporto tra il signore e il vassallo, ma sarà poi il rapporto d'amore che lega la donna all'amante. Nelle influenze presenti in boccaccio c'è il richiamo al mondo classico e l'influenza dei cantari popolari, infatti il metro di questi cantari era l'ottava, e lui questo metro lo riprenderà alcune delle sue opere. E' presente anche l'influenza dei romanzi cavallereschi francesi, come il roman de trois. La caccia di Diana Racconta delle ninfe care a Diana, dea della caccia e della castità. L'ambientazione e i personaggi sono derivanti dalla letteratura classica. Queste ninfe, disobbediscono alla Dea, consacrando i propri animali alla Dea Venere, Dea dell'amore, che li trasforma in uomini bellissimi, nobili d'animo, e da qui si nota l'elemento cortese, amore che ingentilisce, che eleva e che raffina. E' presente l'elemento autobiografico, perchè alcune ninfe ricordano delle donne della Napoli cortigiana. Scritta in terzine. Filostrato (dal greco: Vinto da amore) E' un poemetto scritto in ottave. Prende spunto da Roman de trois, perchè i personaggi, che sono Troilo e Criseide, sono personaggi del ciclo troiano, ma non viene narrata la vicenda troiana, ma si parla di troilo che è innamorato di Criseide e soffre d'amore, appunto "vinto d'amore". E' presente anche in quest'opera è presente l'elemento autobiografico Filocolo (dal greco: Fatica d'amore) C'è una derivazione dal romanzo greco alessandrino, si prende spunto dalla vivacità, il tema del viaggio, l'intreccio movimentato, e il tema della scoperta d'agnitio, scoperta del riconoscimento finale e il lieto fine. C'è una derivazione dalle leggende bizantine. Anche qui è presente l'elemento autobiografico, ritroviamo la presenza di Fiammetta, e Caleon, che rappresenta Boccaccio. Ritroviamo il tema dell'amore cortese e del romanzo francese "florio e biancifiore", anche se c'è qualche critico letterario che dice che prima Boccaccio ha scritto quest'opera e dopo è stato composto "florio e biancifiore". Florio è di nobili origini ed è innamorato di biancifiore, che è di umili origini, allora la famiglia di lui, che ostacolava l'unione dei due, rapisce la ragazza e la vende a dei mercanti in oriente. Florio venuto a conoscenza dell'accaduto cerca la donna amata, e prepara un viaggio in oriente alla ricerca di lei. Florio affronterà una serie di peripezie, ci saranno molti intrecci, ritroviamo il movimento e il dinamismo del romanzo greco alessandrino, alla fine si scoprirà, ecco l'agnitio, che la ragazza è di nobili origini, e a questo punto, il lieto fine, perché i due possono ricongiungersi, non c'è più nessun ostacolo a limitare il loro amore. Florio, prima di partire alla ricerca di lei, prende il nome di Filocolo per non essere riconosciuto. C'è una digressione all'interno di questa opera: viene raccontata nell'opera che mentre florio si preparava alla partenza, fu colto da una tempesta e dovette ritardare il viaggio, e in questo tempo fu accolto da una brigata di giovani, in cui vi era Caleon e Fiammetta. All'interno di questo spazio si apre una vicenda, che si potrebbe considerare staccata rispetto al resto dell'opera, sono "le tredici questioni d'amore", c'è infatti un blocco della narrazione legata alle vicende di Florio e Biancifiore, per aprire questo spazio. Sono 13 novelle in cui si racconta di amore, raccontate dai giovani della brigata. Boccaccio sta preannunciando quello che sarà il Decameron. Nella decima giornata del Decameron, Boccaccio farà riferimento a queste "questioni di amore". L'idea di narrare queste tredici novelle d'amore, deriva dall'opera classica "De Amore" di Andrea Cappellani. Teseida Prende spunto dal "Tebaide" di Stazio ed è un poema in ottave e deriva dal ciclo Tebano. Racconta di Teseo che combatte contro le Amazzoni e contro la città di Tebe, e in mezzo a questa narrazione ci sarà la vicenda che lega i due fraterni amici, Arcita e Palemone, entrambi però amano la stessa donna, Emilia, regina delle amazzoni, e quindi tra i due ci sarà lo scontro e la contesa di lei. Nello scontro uno dei due muore e Arcita morente affida la donna amata, all'amico. E' un tema cortese, la lealtà, la fedeltà, la generosità. Con quest'opera finisce la produzione più importante del periodo napoletano. Opere periodo fiorentino Il periodo fiorentino è caratterizzato dall'elemento autobiografico, da una tendenza alla letteratura allegorico-dottrinale, la materia sarà più cupa, più complessa. I modelli saranno: il “Roman de la Rose", come modello di allegoria, e la commedia di Dante, in cui l'elemento allegorico è fortemente presente. L'opera più importante di questo periodo è: Ninfale d'Ameto/ Ameto/ Commedia delle ninfe fiorentine. Fonti: Roman de la rose, commedia di Dante e deriva dalle bucoliche di Virgilio. Virgilio nelle bucoliche rappresenta il mondo pastorale, un mondo fatto di pastori e pastorelle che vivono nel mondo agreste. Ameto Ameto è un pastore rozzo, rude, e viene accolto dalle ninfe, la più importante è Lia, che rappresenta allegoricamente la fede, ma anche le altre ninfe rappresentano allegoricamente le virtù. Boccaccio per il personaggio di Ameto, si ispira al pastore virgiliano Ameta. Questo pastore si trova al cospetto delle ninfe, che lo purificano, lo ingentiliscono, fanno si che lui immerga il suo corpo in una fonte nella quale lui troverà ingentilimento e allora lui, da rozzo e rude viene trasformato in un uomo sensibilissimo e raffinato. Il pastore viene accolto da questa cerchia di ninfe, si troverà ad assistere ai racconti d'amore di queste ninfe. Ci sono tanti riferimenti alla storia delle origini della città delle ninfe, e alla geografia dei luoghi. Qui viene raccontato un amore, non più motivo di sofferenza, ma motivo di bellezza e piacere edonistico. L'elegia di madonna Fiammetta Il richiamo letterario classico è l'opera "Eroide" di Ovidio, ovvero epistole che le donne scrivono, descrivendo le loro pene d'amore. Questa opera si presenta sotto forma di lunga epistola, ma in realtà, è un romanzo perché c'è un prologo, è divisa in 9 capitoli, e poi c'è un commiato. Fiammetta è la protagonista, soffre maledettamente, fino a quel momento, le donne erano state oggetto d'amore, avevano subito l'amore, ma mai si era vista la donna come protagonista d'amore, ecco perchè l'opera è considerata un'innovazione. Fiammetta soffre perchè aveva una relazione con Panfilo, nonostante fosse sposata, l'amante però, la lascia, e lei si distrugge per questo abbandono. Il Decameron (dal greco: Dieci giorni) Nasce da un fatto storico che accade a Firenze nel 1348, ovvero la peste. Quest'epidemia è devastante, e distrugge quella che è l'organizzazione sociale e gli equilibri della città, determina una perdita di valori, perché venendo meno tutto si perde quel senso di morale che ordina e organizza una società. Viene composta tra il 1348 e il 1353. Fonti: sono fonti classiche, tucidide, lucrezio, e l'opera di Sant'Ambrogio "Exameron" in cui descrive la creazione del mondo avvenuta in 6 giorni. 7 fanciulle e 3 fanciulli cercano di sfuggire alla peste, riunendosi nella chiesa di Firenze e da questo incontro, alle fanciulle viene l'idea di scappare, ma avevano bisogno di una protezione maschile, e chiedono a 3 giovani di andare con loro e rifugiarsi in un luogo di campagna dove trascorrere il tempo, nel tentativo di scappare dalla peste. Riunendosi in campagna, creano una microsocietà, in cui recuperare l'ordine e l'equilibrio che è venuto meno nella città. Allora questi giovani, si riorganizzano, e vivono serenamente in questo luogo per 14 giorni, trascorrono il tempo giocando, ballando, e raccontandosi delle novelle. Il venerdì e il sabato, giorni dedicati alla preghiera, non venivano raccontate queste novelle, quindi 10 novelle per 10 giorni, per un totale di 100 novelle Le ore più calde della giornata, decidono di trascorrerle raccontando delle novelle. Ogni giorno, viene scelto un re o una regina della giornata, che stabilisce il tema del giorno, e in seguito alla scelta del tema, ognuno dei presenti racconta una novella rispetto al tema scelto. La prima e la nona giornata sono libere, non viene scelto un tema. I personaggi hanno dei nomi, alcuni appartenenti ad altri personaggi già presenti nelle altre opere, come Fiammetta, Panfilo, Filostrato, Emilia, altri derivano dal mondo letterario, come Lauretta, che la riferimento alla Laura di Petrarca, o Dioneo, che risale a Venere, il padre di questa dea era Dione e da questo intreccio si arriva al personaggio Dioneo, che tra tutti era il più sfrontato, senza scrupoli, Elissa che ricorda il personaggio Virgiliano Didone. L'opera si apre con un proemio, in cui boccaccio dirà chi sono i destinatari della sua opera, ovvero, le donne che nutrono il sentimento d'amore e soffrono per amore, che sono in grado di comprendere certi argomenti e che purtroppo hanno subito i casi della fortuna, cioè la fortuna non ha permesso loro di avere delle distrazioni rispetto alle pene di amore, gli uomini hanno l'opportunità di distrarsi dalle sofferenze d'amore, vanno a caccia, si dedicano alle attività, e si distraggono, mentre le donne a causa della fortuna non hanno l'opportunità di distrarsi dalle loro sofferenze e quindi, soffrono maggiormente. Allora Boccaccio, vuole rivolgersi proprio a loro, offrendo loro l'opportunità di alleggerire le loro sofferenze attraverso la lettura di queste novelle. Tra la narrazione di una novella e l'altra c'è un commento fatto dagli stessi giovani Ogni giorno si conclude con una ballata, pronunciata da uno di loro. La fortuna, all'interno di tutte le novelle, è centrale, la fortuna che pone le difficoltà all'uomo, e la capacità dell'uomo di fronteggiare la fortuna avversa e di saper superare le difficoltà grazie all'intelligenza, all'abilità e alle capacità. Con questo, Boccaccio preannuncia una mentalità tipica dell'umanesimo, l'uomo che avrà una posizione di centralità e che è capace di affrontare e superare le difficoltà con la sua forza e intelligenza e capacità. Nella struttura dell'opera, Boccaccio immagina che ci sia una cornice, che dia un equilibrio a tutta l'opera; se dentro la cornice ci stanno le varie novelle, rappresentate dai 10 novellatori, sono molteplici, rappresentano la molteplicità umana e sociale. Se la cornice è il luogo statico, fisso, sereno, dell'equilibrio, le novelle rappresentano il dinamismo, il movimento. Boccaccio predilige il ceto emergente, il ceto mercantile, il mercante che sa calcolare le azioni che conviene attuare, investe ma sa prevedere lo sconvolgimento della realtà e che si ingegna e sa volgere a suo favore anche i fatti sfavorevoli dettati dalla fortuna e all'interno del decameron viene rappresentato come portatore di valori positivi, anche se però, vi è da parte di Boccaccio, la descrizione dei limiti di questa classe sociale, perché il mercante che investe, che sa calcolare bene, che sa prevedere le difficoltà, lo stravolgimento della fortuna e la possibile perdita dei propri guadagni, può cadere nella ragion di mercatura, cioè quando il mercante diventa troppo avido e tiene troppo all'acquisizione di beni al punto da diventare spietato. Boccaccio si dilunga molto nella descrizione di oggetti, come il sarcofago in cui finisce Andreuccio da Perugia, o la piuma di pappagallo di un imbroglione che racconta che era la piuma dell'angelo Gabriele. Boccaccio descrive molto attentamente anche i luoghi. Temi del Decameron La fortuna Se nel medioevo la fortuna era la mano divina, con Boccaccio, la fortuna non ha nulla a che vedere con Dio o con la sfera religiosa, ma è il caos generale, un qualcosa che si viene a determinare casualmente, appunto, quella forza capricciosa cieca, che viene a scombussolare le vite degli uomini, allora l'uomo con la sua intraprendenza e l'industria deve essere in grado di superare le avversità poste dalla fortuna. Il mare è uno di quei luoghi che meglio rappresenta la fortuna, è in continuo movimento, mutevole, insidioso, pieno di trabocchetti, quali i fossi. Anche la città, è un groviglio di strade, che si intrecciano, rappresenta la città L'amore L'uomo che deve raggiungere l'amore, si adopera attraverso l'industria, ad agire. L'amore vissuto in modo più licenzioso, più libero, l'amore come quel piacere che fa stare bene. Connubio amore-morte, cioè il sentimento d'amore vissuto intensamente al punto da indurre alla morte. Giornate del Decameron 1 giornata - è rappresentato un personaggio privo di valori, ser ciappelletto, novelle di tipo religioso 2 giornata avventure a lieto fine 3 giornata - cosa a lungo desiderata ottenuta 4 giornata - amori infelici 5 giornata - amore 6 giornata - arte della parola, importanza del linguaggio 7 giornata - intelligenza 8 giornata - intelligenza 10 giornata - è rappresentato un personaggio portatore di valori positivi La lingua Ritroviamo la narrazione di Boccaccio nel proemio, nel commento e nella parte finale dell'opera. Il linguaggio di Boccaccio è diverso rispetto a quello dei giovani, lui usa un periodo aulico, che ricorda i costrutti latini, che pone il verbo alla fine, che è costruito in modo complesso, un ampio periodare fatto da una principale, la reggente e numerose subordinate, la reggente, posta alla fine del periodo, e le subordinate che la precedono, la reggente è portatrice del messaggio centrale, e le altre che aggiungono notizie. Sono presenti latinismi, termini tecnici, ma non manca il richiamo al linguaggio plebeo, ma non come Dante che raggiunge i massimi livelli del plebeo o sublime, Boccaccio non raggiunge mai questi picchi. Andreuccio da Perugia Questa novella viene raccontata da Fiammetta, ed è la quinta novella raccontata durante la seconda giornata. Andreuccio è un giovane che da Perugia arriva nella grande e furba Napoli, abitata da una moltitudine di persone, con una cospicua somma di denaro per una compravendita di cavalli. Lui finisce nell'ambiente più vivace, ovvero nel mercato, dove ci sono molti imbroglioni, e Andreuccio è uno sprovveduto, non si è mai spostato dalla sua città, è tanto ingenuo che questa somma di denaro che lui ha, invece di nasconderla, la tiene ben in vista, per far capire che lui veramente vuole comprare. Andreuccio, non si presenta come un personaggio visto positivamente da Boccaccio, perché lui esalta l'intelligenza. Andreuccio viene preso sott'occhio da una giovane bella e furba che punta ai suoi soldi, che comincia a girargli intorno e a squadrarlo, ma lui manco se ne accorge. Nel frattempo la giovane si accorge che un'anziana signora si avvicina a lui, e che i due cominciano a parlare amorevolmente. Quando i due smettono di parlare, la ragazza si avvicina alla signora anziana e con la sua furbizia estorce tutte le notizie su Andreuccio, di chi sia, da dove venga, perché quella signora era stata la tata di Andreuccio, quindi si fa raccontare tutto e trova un modo per attirare lui tra le sue grinfie. Questa ragazza era una popolana che abitava in uno dei quartieri peggiori di Napoli, Malpertugio, manda una sua amica facendo finta che fosse una sua cameriera, poiché le donne di buon origini avevano questa servitù, e fa invitare lui presso la sua casa. La sera, Andreuccio, si reca in quella casa, la ragazza lo accoglie con molto affetto, lo abbraccia, lo stringe forte a se, simula un pianto di dolore/ di gioia, e gli dice di essere sua sorella, e che quando il loro padre è stato a Palermo, ha avuto una relazione con una donna, sua madre, e da quella relazione è nata lei. Lui è talmente ingenuo da crederci, anche perchè lei comincia a raccontare una serie di particolari sulla sua vita, che lui non può che crederle. La ragazza, Fiordaliso, lo invita a cena, mangiano abbondantemente, bevono del buon vino. In questo momento Boccaccio si dilunga molto nella descrizione della casa. Finito di cenare, è ormai tarda sera e Andreuccio si prepara ad andare via, per recarsi nell'albergo in cui alloggiava. Lei lo trattiene, dicendogli che era molto pericolosa la città di notte, e lo invita a rimanere lì a dormire. Allora si prepara per andare a dormire, si spoglia e posa il suo denaro, e prima di andare a dormire va in bagno, una sorta di tavola con un buco, ma Fiordaliso, aveva preparato un tranello, aveva allentato le tavole, e nel momento in cui lui si fosse avvicinato in quel punto, sarebbe caduto. Infatti, precipita nel letame, esce fuori e mezzo nudo e sporco, inizia a gridare di aprirgli, ma nessuno lo considera, solo una persona che stava in quel quartiere gli consiglia di andarsene perché in quella casa ci stavano persone pericolose. Allora scappa via, e cammina semi-nudo, sporco e senza soldi per le strade di Napoli, ma non può nemmeno tornare in albergo poichè è sudicio e maleodorante. Questa rappresenta la prima caduta del personaggio. Mentre cammina, incontra dei ladri, che gli chiedono cosa ci fa in mezzo alla strada tutto sporco e lo invitano ad andare con loro per andare a rubare un anello di enorme valore, dal dito di un cardinale sepolto in una chiesa. Prima di andare in questa chiesa, si avvicinano ad un pozzo per permettere ad Andreuccio di lavarsi, lui si cala giù, ma nel frattempo arriva la polizia e i due ladri scappano. Questa rappresenta la seconda caduta del personaggio. Dopo un po' riesce ad uscire fuori da questo pozzo, e si ricongiunge ai due ladri. Entrano in chiesa e si avvicinano al sarcofago. Boccaccio descrive molto bene il sarcofago. Decidono di aprire il sarcofago, ma qualcuno deve entrarci, ed è proprio Andreuccio. Questa rappresenta la terza caduta del personaggio. Anticamente, per far maturare i giovani si usava chiuderli in un luogo buio, e questo tempo trascorso al buio, doveva far maturare il ragazzo. Quando si tratta di tirar fuori l'anello dal dito del cardinale, lo mette in tasca, i ladri, però sentono dei rumori e scappano, lasciandolo chiuso dentro il sarcofago. Durante la notte, arriva un altro gruppo di ladri, per fare lo stesso furto, tra questo gruppo di ladri, c'era anche un religioso, questo per sottolineare ciò che pensava Boccaccio degli ecclesiastici, corrotti. I ladri aprono la bara, ma finalmente Andreuccio è maturato, e comincia a muoversi, facendo rumore, al punto di far spaventare questi ladri, facendoli scappare; la bara è rimasta aperta e lui può uscire. Scappa verso l'albergo dove lo aspettavano tutti con ansia e preoccupazione e racconta i fatti, e gli consigliano di scappare da Napoli perchè lo cercano i ladri e la polizia. Andreuccio torna a Perugia, e abbiamo un personaggio nuovo, che si è riscattato ed è diventato positivo. Lisabetta da Messina Questa novella racconta di un ambiente borghese, a Messina dove vivono 3 fratelli, e sono dei mercanti che si sono arricchiti con il commercio. La novella viene narrata da Filomena ed è la quinta novella della quarta giornata. Questa novella rappresenta l'amore profondo e il connubio amore-morte. Lisabetta vive a Messina insieme ai 3 fratelli che le vogliono un bene profondo, sono mercanti, e hanno acquisito una buona condizione economica e quindi appartengono al ceto borghese, hanno un garzone che lavora per loro. Uno dei tre fratelli, si accorge che Lisabetta e il garzone avevano una relazione, e lo annuncia agli altri due; questo è un fatto disonorevole, che la sorella di ceto benestante abbia una relazione con uno di estrazione sociale popolare, e temono che la condizione della famiglia possa cendere di rango sociale a causa di questa relazione; "ragion di mercatura". Dicono alla sorella di averlo mandato via, per ragioni di lavoro, ma in realtà lo uccidono, e lo seppelliscono in un luogo fuori dalla città. La ragazza aspetta il suo ritorno, ma lui non torna e lei soffre, ma non chiede molto ai fratelli. Una notte, lui le appare in sogno e racconta di essere stato ucciso e rivela il luogo dove era stato seppellito vicino ad un albero, la ragazza crede a questo sogno, e il giorno dopo, insieme alla sua dama di compagnia si reca lì, dicendo ai fratelli di voler fare una passeggiata. Le due donne scavano, finché non trovano un corpo, lei si strugge, vorrebbe portare con sé il corpo, ma non può, e dopo molti pianti decide di tagliargli la testa, avvolgerla in un panno e di portarla con sé. Giunta nella sua casa, nel chiuso della sua stanza, Lisabetta piange, ripulisce la testa e la avvolge in un panno, e la seppellisce in un vaso, ricoprendola di terra dove semina del basilico. Passava le giornate a piangere su questo vaso, ormai si stava sfiorendo, piangeva e si ammalava sempre di più, e i vicini che vedevano questi comportamenti si meravigliavano, lo dissero ai fratelli. I fratelli, trovano la pianta, temono di essere stati scoperti e decidono di lasciare messina e lei muore. Dietro questo gesto criminale, forse c'è un amore incestuoso, perchè c'è una gelosia per la paura che la sorella possa uscire dal nucleo familiare. Lisabetta soffre in silenzio, non si ribella ai fratelli, c'è un silenzio dominante nella novella, tutto si svolge nel silenzio. Ghismunda e Tancredi E' la prima novella della quarta giornata, raccontata da Fiammetta. Tancredi e Ghismunda appartengono al ceto aristocratico. Ghismunda era una vedova ed era tornata a vivere con il padre, e si innamora di un servo, e i due intrecciano una relazione. Il padre, Tancredi, viene a conoscenza del fatto e non può accettare che la figlia possa essersi innamorata di uno di ceto inferiore. Ghismunda difende in tutti i modi il suo amore, viene accusata dal padre che apertamente le dichiara guerra. Il padre lo fa uccidere e offre in una coppa, alla figlia, il cuore del garzone. In quella coppa lei versa del veleno nella coppa contenente il cuore di lui e lo beve, uccidendosi. Lei si ribella, non subisce. Il padre nel momento in cui la figlia è ormai morta, si pente, e seppellisce i due innamorati vicini. Ma probabilmente, suo padre ha agito in questo modo crudele, perchè, essendo rimasti in due, si era creato questo nucleo chiuso, e probabilmente nutiva un amore incestuoso nei confronti della figlia, e per gelosia non accetta che questo nucleo così stretto, possa essere spezzato per un altro di rango basso. Cisti fornaio Questa novella è la seconda della sesta giornata, giornata che ha una posizione centrale e ha come tema l'abilità della parola. Si apre con una riflessione di Boccaccio che dice "sarà stata la natura, o forse la fortuna a far avere ad un uomo di ceto medio le virtù dell'amor cortese". Cisti era umile d'animo ed era al corrente delle differenze tra i ceti. Un giorno giunse a Firenze, il Messer Geri Spina. appartenente all'aristocrazia, accompagnato da alcuni ambasciatori del Papa. Davanti alla sua bottega, ogni mattina passano questi uomini, e notano Cisti bere del buon vino. Tra le tante buone cose che Cisti ha in bottega c'è anche il miglior vino di tutta Firenze. Cisti ha il desiderio di far assaggiare il suo vino a messer Geri, ma la condizione sociale che li distingue lo ferma ogni volta. Tuttavia, un giorno il fornaio, con la sua furbizia e intelligenza, trova un modo per far assaggiare il suo buon vino a Geri e ai suoi accompagnatori, infatti, imbandisce una tavola al di fuori del suo forno. Gli uomini, assetati, chiedono di poter bere quel buon vino, tutti gli uomini, tranne uno, il servo familiare, perché è di rango inferiore e non poteva stare con questi uomini e bere con loro un vino così pregiato. Giunse il tempo della loro partenza, e Geri organizza un banchetto e invita anche Cisti, ma rifiuta l'invito, poiché sa di non poter stare in un banchetto dove ci sono tutti questi uomini importanti. Tra Cisti e Geri, si crea una corrispondenza, grazie alla nobiltà d'animo e ai valori cortesi di Cisti. Geri Spina, però, ha il piacere di offrire ai suoi commensali del buon vino. Allora manda il servo da Cisti, ma il servo vuole molto gustare questo vino, e si presenta dal fornaio con un contenitore enorme dicendo di essere stato mandato dal messer per avere il suo buon vino. In realtà era stato il servo a portare questo grande contenitore, non Geri, e Cisti lo capisce subito e rifiuta di dargli il vino, dicendogli che quel fiasco non andava bene per un vino così pregiato ma solo per l'acqua dell'Arno. Il servo torna dal padrone e riferisce che Cisti ha rifiutato la sua richiesta, ma il Messer si stranisce, poiché sa che Cisti è generoso e gentile. Dunque chiede al servo come sia andata la vicenda, che risponde dicendo che il fornaio gli aveva detto di andare a riempire quel contenitore nell'Arno, facendogli vedere il recipiente, a quel punto capisce il motivo del comportamento di Cisti. Geri allora sostituisce l'enorme contenitore con un piccolo fiaschetto, e rimanda il servo da Cisti. Cisti quando vede il piccolo fiaschetto, capisce che il servo questa volta è stato mandato davvero da Geri, riempie il fiaschetto e regala anche una grande quantità di vino a Messer Geri Spina. I temi della novella sono l'industria e l'intelligenza, con i valori cortesi e l'arte della parola. Dalla novella si evince un forte equilibrio tra le arti maggiori e quelle minori, propria all'interpretazione di Boccaccio ma nella vita reale. Frate Cipolla E' una novella raccontata da Dineo. È l'ultima della sesta giornata, in cui si parla di coloro che con risposte pronte o motti di spirito riescono a sfuggire a pericoli o tirarsi fuori dai guai. La trama di Frate Cipolla è ambientata a Certaldo, un paese della Toscana. Qui ogni anno un frate della confraternita di Sant'Antonio viene inviato a riscuotere le offerte dei fedeli. Il compito spetta proprio a frate Cipolla, il frate più amato dai paesani in quanto il paese è celebre per la sua produzione di cipolle. Il frate ha diversi compiti: benedice il bestiame (Sant'Antonio ne è il protettore) e promette agli abitanti che mostrerà loro una reliquia da lui stesso trovata. La reliquia è niente meno che una piuma delle ali dell'arcangelo Gabriele. Due abitanti del luogo, Giovanni del Bragoniera e Biagio Pizzini, vecchie conoscenze del frate decidono però di fargli uno scherzo: vogliono assolutamente vedere come farà il frate a tirarsi fuori da una situazione a dir poco imbarazzante. I due burloni vanno nell'alloggio del frate, entrano nella stanza del frate, rubano la presunta piuma d'angelo (che in realtà appartiene a un pappagallo) e la sostituiscono con del carbone. Arriva il gran momento: il frate mostra a tutti la sua preziosa reliquia. Ma quando svela la reliquia, si accorge della sostituzione. Per cercare di uscirne bene agli occhi dei fedeli, frate Cipolla inventa su due piedi una storia priva di qualsiasi senso logico e relativa a un viaggio immaginario in Oriente fino in Terrasanta, che lo ha condotto da Nonmiblasmete Sevoipiace. Costui gli avrebbe donato alcune reliquie, fra cui proprio la piuma e i carboni sui quali venne arso San Lorenzo. Il frate spiega che le due reliquie erano collocate in due scatole uguali, ma nel venire a Certaldo aveva confuso le scatole, portando con sé la scatola sbagliata. E qui il colpo di genio: secondo frate Cipolla, l'errore non sarebbe da imputare a lui, ma a una precisa scelta della volontà divina. Due giorni dopo, infatti, si sarebbe celebrata la festa di San Lorenzo. A questo punto il frate mostra i carboni ai fedeli e fa il segno della croce per benedirli. Finita la cerimonia, i due burloni gli fanno i complimenti per come ha gestito la scena e gli restituiscono la piuma. La Peste (Testo) Quantunque volte, graziosissime donne, meco pensando riguardo quanto voi naturalmente tutte siete pietose, tante conosco che la presente opera al vostro iudicio avrà grave e noioso principio, sì come è la dolorosa ricordazione della pestifera mortalità trapassata, universalmente a ciascuno che quella vide o altramenti conobbe dannosa, la quale essa porta nella sua fronte. Ma non voglio per ciò che questo di più avanti leggere vi spaventi, quasi sempre tra' sospiri e tralle lagrime leggendo dobbiate trapassare. Questo orrido cominciamento vi fia non altramenti che a' camminanti una montagna aspra e erta, presso alla quale un bellissimo piano e dilettevole sia reposto, il quale tanto più viene lor piacevole quanto maggiore è stata del salire e dello smontare la gravezza. E sì come la estremità della allegrezza il dolore occupa, così le miserie da sopravegnente letizia sono terminate. A questa brieve noia (dico brieve in quanto poche lettere si contiene) seguita prestamente la dolcezza e il piacere il quale io v'ho davanti promesso e che forse non sarebbe da così fatto inizio, se non si dicesse, aspettato. E nel vero, se io potuto avessi onestamente per altra parte menarvi a quello che io desidero che per così aspro sentiero come fia questo, io l'avrei volentier fatto: ma per ciò che, qual fosse la cagione per che le cose che appresso si leggeranno avvenissero, non si poteva senza questa ramemorazion dimostrare, quasi da necessità constretto a scriverle mi conduco. 2. Dico adunque che già erano gli anni della fruttifera incarnazione del Figliuolo di Dio al numero pervenuti di milletrecentoquarantotto, quando nella egregia città di Fiorenza, oltre a ogn'altra italica bellissima, pervenne la mortifera pestilenza: la quale, per operazion de' corpi superiori o per le nostre inique opere da giusta ira di Dio a nostra correzione mandata sopra i mortali, alquanti anni davanti nelle parti orientali incominciata, quelle d'inumerabile quantità de' viventi avendo private, senza ristare d'un luogo in uno altro continuandosi, verso l'Occidente miserabilmente s'era ampliata. E in quella non valendo alcuno senno né umano provedimento, per lo quale fu da molte immondizie purgata la città da officiali sopra ciò ordinati e vietato l'entrarvi dentro a ciascuno infermo e molti consigli dati a conservazion della sanità, né ancora umili supplicazioni non una volta ma molte e in processioni ordinate, in altre guise a Dio fatte dalle divote persone, quasi nel principio della primavera dell'anno predetto orribilmente cominciò i suoi dolorosi effetti, e in miracolosa maniera, a dimostrare. E non come in Oriente aveva fatto, dove a chiunque usciva il sangue del naso era manifesto segno di inevitabile morte: ma nascevano nel cominciamento d'essa a' maschi e alle femine parimente o nella anguinaia o sotto le ditella certe enfiature, delle quali alcune crescevano come una comunal mela, altre come uno uovo, e alcune più e alcun' altre meno, le quali i volgari nominavan gavoccioli. E dalle due parti del corpo predette infra brieve spazio cominciò il già detto gavocciolo mortifero indifferentemente in ogni parte di quello a nascere e a venire: e da questo appresso s'incominciò la qualità della predetta infermità a permutare in macchie nere o livide, le quali nelle braccia e per le cosce e in ciascuna altra parte del corpo apparivano a molti, a cui grandi e rade e a cui minute e spesse. E come il gavocciolo primieramente era stato e ancora era certissimo indizio di futura morte, così erano queste a ciascuno a cui venieno. 3. A cura delle quali infermità né consiglio di medico né virtù di medicina alcuna pareva che valesse o facesse profitto: anzi, o che la natura del malore nol patisse o che la ignoranza de' medicanti (de' quali, oltre al numero degli scienziati, così di femine come d'uomini senza avere alcuna dottrina di medicina avuta giammai, era il numero divenuto grandissimo) non conoscesse da che si movesse e per consequente debito argomento non vi prendesse, non solamente pochi ne guarivano, anzi quasi tutti infra 'l terzo giorno dalla apparizione de' sopra detti segni, chi più tosto e chi meno e i più senza alcuna febbre o altro accidente, morivano. E fu questa pestilenza di maggior forza per ciò che essa dagli infermi di quella per lo comunicare insieme s'avventava a' sani, non altramenti che faccia il fuoco alle cose secche o unte quando molto gli sono avvicinate. E più avanti ancora ebbe di male: ché non solamente il parlare e l'usare cogli infermi dava a' sani infermità o cagione di comune morte, ma ancora il toccare i panni o qualunque altra cosa da quegli infermi stata tocca o adoperata pareva seco quella cotale infermità nel toccator transportare. Maravigliosa cosa è da udire quello che io debbo dire: il che, se dagli occhi di molti e da' miei non fosse stato veduto, appena che io ardissi di crederlo, non che di scriverlo, quantunque da fededegna udito l'avessi. Dico che di tanta efficacia fu la qualità della pestilenzia narrata nello appiccarsi da uno a altro, che non solamente l'uomo all'uomo, ma questo, che è molto più, assai volte visibilmente fece, cioè che la cosa dell'uomo infermo stato, o morto di tale infermità, tocca da un altro animale fuori della spezie dell'uomo, non solamente della infermità il contaminasse ma quello infra brevissimo spazio uccidesse. Di che gli occhi miei, sì come poco davanti è detto, presero tra l'altre volte un dì così fatta esperienza: che, essendo gli stracci d'un povero uomo da tale infermità morto gittati nella via publica e avvenendosi a essi due porci, e quegli secondo il lor costume prima molto col grifo e poi co' denti presigli e scossiglisi alle guance, in piccola ora appresso, dopo alcuno avvolgimento, come se veleno avesser preso, amenduni sopra li mal tirati stracci morti caddero in terra. La Peste (parafrasi) Tutte le volte che, graziosissime donne, penso a quanto voi siate, per natura, pietose, capisco che questa opera sarà, a vostro giudizio, pesante e noiosa, così come il doloroso ricordo della passata pestilenza, che tutti quelli che la vissero portano impressa nella memoria. Non voglio,perciò, che vi spaventi quello che leggerete più avanti, tanto da continuare a leggere tra sospiri e lacrime. Questo orrido inizio sia per voi come per i viaggiatori che devono superare una montagna dura e ripida, nella quale si trovi una bellissima pianura, che sembra tanto più gradevole quanto più faticosa è stata la salita. E così, come il dolore segue l'allegria, così la letizia succede alle miserie. A questo breve disagio seguirà ,poi, la dolcezza e il piacere che vi ho promesso. In verità, se avessi potuto condurvi per un sentiero meno aspro di questo, lo avrei fatto volentieri, ma sono stato costretto a scrivere molte cose,per spiegare perché esse avvenissero. Dico dunque che erano trascorsi 1348 anni dalla benefica incarnazione di Cristo, quando nella pregiatissima città di Firenze, la più bella delle città d'Italia, giunse la pestilenza mortale. Essa era stata inviata agli uomini per negativo influsso degli astri o dalla giusta ira di Dio, per punire le nostre malvagie azioni e per correggerci. Era iniziata alcuni anni prima in Oriente, dove aveva fatto strage di esseri viventi, diffondendosi da un luogo all'altro senza fermarsi, ed era dilagata fino a Occidente in modo straordinario. A nulla servì che si adottassero provvedimenti per ripulire la città dalle immondizie o che si vietasse ai malati di entrarvi. Né i molti consigli dati a tutela della salute, né le suppliche a Dio fatte mediante le processioni o in altro modo da parte delle persone devote. All'inizio della primavera di quell'anno la pestilenza iniziò orribilmente a manifestarsi. Non lo fece come in Oriente, dove a chi ne era colpito usciva sangue dal naso e questo era un segno evidente di morte inevitabile. All'inizio comparivano, sia negli uomini che nelle donne, all'inguine o sotto le ascelle, alcuni gonfiori che potevano assumere la dimensione di una mela di media grandezza o di un uovo, a seconda dei casi, che il popolo chiamava gavoccioli (bubboni). In breve tempo il gavocciolo cresceva e si estendeva indistintamente in ogni parte del corpo. Poi la malattia assumeva l'aspetto di macchie nere o livide, che a molti comparivano nelle braccia o nelle cosce e in ogni altra parte del corpo, ad alcuni grandi e rade, ad altri piccole e numerose. Anche queste macchie, come il gavocciolo, erano un sicuro indizio di futura morte. Nessun consiglio di medico, nessuna virtù di medicina sembravano poter giovare a curare la malattia. Anzi, vuoi che la natura del male non ne risentisse vuoi che l'ignoranza dei medici (ai quali si erano aggiunte moltissime persone che di medicina non avevano alcuna cognizione) non ne comprendesse le cause, solo pochissimi guarivano. Anzi quasi tutti circa al terzo giorno dalla comparsa dei sintomi, chi prima e chi dopo e i più senza febbre o altro sintomo, morivano. La pestilenza fu così micidiale perché essa si trasmetteva dai malati ai sani al minimo contatto, come fa il fuoco messo vicino alle cose secche e unte. Anzi, era tanto pericolosa che non solo parlare o stare vicino agli infermi contagiava i sani, ma anche toccare i panni o altri oggetti toccati o adoperati dai malati. Sembra incredibile quel che sto per dire, tanto che io stenterei a crederlo anche se me lo riferisse persona degna di fede, se dai miei occhi e da quelli di molti non fosse stato visto. Questa pestilenza fu così micidiale nel trasmettersi dall'uno all'altro, che non si trasmetteva solo da uomo a uomo, ma addirittura da oggetto di proprietà del malato ad animale, che in breve veniva contaminato e moriva. Di questo sono stato diretto testimone. Erano stati gettati sulla pubblica via gli stracci di un poveretto morto della malattia, e due porci si erano avvicinati a essi. Questi, come è loro abitudine prima li annusarono col muso, poi li afferrarono con i denti, scuotendoli di qua e di là. Poco dopo, scossi da convulsioni, come se avessero bevuto del veleno, entrambi caddero morti a terra sopra gli stracci.