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i primi filosofi

23/9/2022

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La ricerca del principio di tutte le cose
I primi filosofi
I primi filosofi sono chiamati presocratici, cioè anteriori a Socrate. Essi si oc

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La ricerca del principio di tutte le cose I primi filosofi I primi filosofi sono chiamati presocratici, cioè anteriori a Socrate. Essi si occupano del problema della natura e della realtà. Tuttavia i primi a spostare il centro della riflessione dall'universo all'uomo, saranno i sofisti. Perciò possiamo affermare presocratici=presofisti, cioè si può parlare di presofisti e presocratici perché sia i sofisti che Socrate si occupano di uomo, e quindi antropologia. Più che altro i presocratici trattano il tema cosmologico, e quello ontologico. I sofisti invece non parlano più di scienza, quindi fisica e da dove ha origine il mondo, perché tutti gli studiosi che hanno fatto delle tesi, paragonandole sono diverse, quindi questo dibattere non è utile, e bisogna occuparsi di politica. I presofisti non costituiscono un insieme compatto di filosofi, ma appartengono a diverse scuole: fisici ionici, appartenenti alla scuola di Mileto: Talete, Anassimandro e Anassimene; pitagorici, appartenenti alla scuola di Pitagora a Crotone; eraclitei, seguaci di Eraclito di Efeso; eleati, appartenenti alla scuola di Elea; • fisici pluralisti, che credono in una pluralità di cose, a differenza dei monisti, sono Empedocle, Anassagora e Democrito; I presofisti operarono in un primo tempo nelle colonie greche della lonia o nella Magna Grecia. La filosofia arriverà ad Atene con Anassagora. ● La scuola di Mileto Nel sesto secolo si sviluppa nella lonia...

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una fiorente civiltà, che ha come centri più importanti: Mileto, Efeso, Colofone, Clazomene, Samo e Chio. Inoltre, la pressione demografica fece espandere il territorio con nuove colonie sorte in Sicilia, nella Magna Grecia e nel Mar Nero. Con le politiche democratiche, i contatti con l'Oriente, l'allargarsi della mentalità della popolazione, nacque una nuova cultura, che non credeva più nei miti e nelle credenze religiose. In questo contesto nacquero filosofi, scienziati e tecnici. Il pensiero dei primi filosofi si incentra soprattutto sulla natura, che deriva da physis. I filosofi ionici pensano che sia rintracciabile una realtà unica ed eterna. Per questo scelgono il nome "arché", ossia principio, intendendo con questo termine sia la materia originaria da cui tutte le cose derivano, sia la forza che le ha generate, sia la legge che spiega la loro nascita. Sulle basi di ciò si conoscono: • monismo, riconoscono un solo principio; ilozoismo, ritengono che la materia primordiale abbia una forza intrinseca, che la fa muovere; panteismo, identificano il principio eterno del mondo con la divinità; ● Talete Il fondatore della scuola ionica è Talete di Mileto. Talete fu uomo politico, astronomo, matematico e fisico, oltre che filosofo. Politico poiché guidò i Greci a unirsi in uno Stato federativo. Come astronomo predisse un eclissi solare. Come matematico formulò vari teoremi di geometria. Come fisico scoprì le proprietà del magnete. Ci sono degli aneddoti riferiti a lui. Uno riferito da Platone secondo cui Talete stava guardando il cielo e cadde in un pozzo, facendo ridere una serva. Un altro riferito da Aristotele, che vede Talete prevedere un abbondante raccolto d'olive e prendere tutti i frantoio della zona per poi subaffittarli a un prezzo più alto. Si tratta probabilmente di aneddoti non autentici, riferiti a Talete come simbolo di uomo saggio. Talete non lasciò nulla di scritto, la sua dottrina si deve ad Aristotele. Dice che l'acqua è il principio della vita e del mondo, e la Terra sta sopra l'acqua. In questo senso l'acqua è sostanza, cioè "ciò che sta sotto" e "sostiene". Questa credenza era comunque antica, ad esempio nei poemi omerici si diceva che Oceano e Teti avessero scaturito i mari, le sorgenti e tutti i corsi d'acqua. Infine Talete dice che tutto è pieno di dei, cioè tutto è pieno di acqua perche era divina, esprimendo una visione panteistica e ilozoistica. Anassimandro Anche Anassimandro fa parte della scuola di Mileto. E' il primo autore greco di cui ci siano pervenuti gli scritti filosofici. La sua opera Sulla natura è molto importante. La sua ricerca va ad analizzare il principio della realtà. Egli si distacca dai filosofi precedenti, poichè non considera il principio in un'unica cosa, o in un elemento, bensì nell'apeiron, cioè qualcosa privo di limiti quindi infinito e indeterminato. L'apeiron è qualcosa di divino, poiché viene visto come immortale. I critici si sono dibattuti per tanto sul contenuto vero e proprio di questo principio e sulla scelta di questo infinito, poiché prima si pensava che con infinito si volesse intendere qualcosa di immateriale. Si è concordi nel ritenere che Anassimandro non era ancora pronto a far pensare e affermare che vi fosse qualcosa di immateriale, poiché ancora non vi erano le basi per affermare tale concetto. Però si sa che ha utilizzato questo termine perché il principio va rintracciato in qualcosa di più grande, e quindi ha scelto di ipotizzare qualcosa di infinito e immateriale proprio per indicare le differenze tra noi e l'archè. Pertanto si può ritrovare un concetto della metafisica. Riguardo a ciò, il filosofo Karl Popper, contrario al totalitarismo, afferma che per lui la storia della scienze occidentale nasce con la metafisica. Anassimandro parla del processo di formazione degli enti come una sorta di processo di distacco dalla sostanza primordiale, e secondo lui appena nati ci separiamo dall'infinito. Si aggancia alla cultura del suo tempo, infatti, prendendo in esame il concetto di morte, ritiene che il nostro morire sia conforme ad un'idea di giustizia Universale che è correlata ad una giustizia originaria. Questo concetto di giustizia universale è conferme al concetto di legge di quel periodo quindi lui viene influenzato dal mondo in cui vive. Anche sotto il profilo scientifico egli ha ipotizzato una sorta di teoria di evoluzione, secondo lui infatti deriviamo dai pesci, quindi i pesci ci avrebbero nutriti e poi lasciati andare. Infine per Anassimandro la terra non era piatta ma era come un cilindro, sostenuto da nulla. Poiché essa si trova a una stessa distanza da ogni parte del mondo e quindi non può muoversi. Anassimene Anassimene, più giovane di Anassimandro, dovrebbe essere suo discepolo. Anche lui, come Talete, riconosce il principio nell'aria. A questo elemento attribuisce però gli stessi caratteri che ha dato Anassimandro, cioè l'infinità e il movimento continuo. In più aggiunge che l'aria è la forza che anima il mondo. Il mondo di Anassimene è come un animale enorme che respira. Dall'aria nasce tutto, anche le cose divine. Questo avviene attraverso la rarefazione e la condensazione. Rarefacendosi l'aria diventa fuoco; condensandosi diventa vento, quindi per finire acqua. Come Anassimandro, anche Anassimene ammette il divenire ciclico del mondo. Pitagora e i pitagorici La tradizione dice tante cose di Pitagora, ma non è detto che egli sia realmente vissuto. Alcuni studiosi dicono che sia esistita la scuola pitagorica, ma non Pitagora. Però è vero che abbiamo delle altre testimonianze che parlano di questa figura abbastanza particolare. Le fonti sono porfirio e gianlico, e come fonti più classiche abbiamo quelle di Diogene. Non abbiamo testi scritti, quindi non ci sono frammenti di Pitagora, ma abbiamo la restituzione di contenuti espressi all'interno della scuola. Si dice che sia nato a Samo, e poi da qui si sia trasferito in Italia meridionale e in particolare a Crotone dove ha dato vita alla sua scuola filosofica. Ha dato vita ad altri filosofi importanti come Timeo a Locri, e Archita a Taranto, che erano filosofi matematici ma anche politici della città. Pitagora ha viaggiato tanto, e la sua filosofia si basa su una ricerca del principio che coincide col numero. La sua scuola nasce come vera e propria ricerca associata, e i pitagorici si sono dedicati soprattutto alla matematica e alla geometria. Quindi la sola dottrina è la metempsicosi, quindi il passaggio dopo la morte in altri esseri. Così come l'orfismo, si ritiene quindi che L anima sia spiritituale, e il corpo sia solo un ostacolo. Anche la stessa struttura è simile all'orfismo, infatti la scuola aveva da una parte gli acusmatici che potevano solo ascoltare, e i matematici che potevano dire la loro. Dopo un percorso evolutivo l'acusmatico poteva diventare matematico. In questo caso non parliamo di una vera e propria scuola, ma di una setta, nella quale si trasmettevano le conoscenze. Inoltre, poiché Pitagora veniva visto come il depositario, e quindi il custode, di una sapienza divina, era vietato apportare dei cambiamenti al,a sua dottrina. La nascita della matematica e la dottrina del numero Ai pitagorici si deve la nascita della matematica, poiché essi trattano questa materia come scienza, elaborandone i concetti fondamentali e stabilendo le dimostrazioni. La tesi pitagorica fondamentale è che la sostanza di tutto è il numero. Il numero è un insieme di unità e ad ogni unità corrisponde un punto geometrico. Vi era una simbologia dietro i numeri. Per esempio il numero cinque, era il numero del matrimonio, dato da tre e due. Tre elemento maschile, e due elemento femminile. Il dieci era il numero perfetto, innanzitutto perché è dato dai primi quattro numeri, e poi perché è rappresentato come un triangolo equilatero, che ha per lato il numero quattro, e rappresenta la figura tetraktys. Il numero 1 è sia pari sia dispari perché è il punto d inizio. Mediante il numero i pitagorici spiegano le cose più disparate, come il succedersi delle stagioni, o il movimento degli altri. Ma il numero è stato importante anche per la musica. Infatti sia la melodia, quindi la successione delle note, sia l'armonia, cioe l'esecuzione contemporanea di suoni diversi, diventano piacevoli solo se seguono determinati rapporti matematici. Per i pitagorici la musica non è solo una forma d'arte, ma anche un aspetto cosmologico, infatti essi sono convinti che le sfere celesti, muovendosi, producono una splendida melodica, che se cessasse di esistere allora ci sarebbe davvero silenzio. L'opposizione cosmica tra il limite e l'illimitato I pitagorici dividono i numeri in pari e dispari. Il dispari è visto come perfetto, completo e quindi a tutto quello che è dispari corrispondono le cose buone, positive. Al contrario tutto quello che è pari è imperfetto, illimitato e corrisponde a quello che è meno buono. Per esempio loro con il 4 identificavano la giustizia, ma non è perfetta perche in quanto umana non è perfetta. Accanto a questa principale opposizione, se ne sviluppano altre, e così si avevano dieci opposizioni fondamentali: 1. Illimitato-limitato 2. Dispari-pari 3. Unità-molteplicità 4. Destra-sinistra 5. Maschio-femmina 6. Quiete-movimento 7. Retta-curva 8. Luce-tenebre 9. Bene-male 10.Quadrato-rettangolo Sulla base di ciò la dottrina pitagorica di può considerare una forma di dualismo, poiché la realtà si basa sue due principi opposti. La crisi dell'aritmo-geometria Il tentativo di trovare il rapporto numerico tra la misura della diagonale di un quadrato e quella del suo lato portò i pitagorici alla scoperta dei numeri irrazionali. Questa scoperta fu così drammatica e scandalosa, che fu tenuta nascosta fino a quando il pitagorico Ippaso di Metaponto lo rivelò ad alcuni estranei. Le dottrine astronomiche In astronomia i pitagorici furono i primi a sostenere la sfericità della Terra e dei corpi celesti in generale. Questo perché la sfera è la figura perfetta tra i solidi, avendo tutti i punti equidistanti dal centro. Filolao ipotizzò anche che i corpi celesti si muovessero attorno ad un fuoco centrale, detto hestia. Più precisamente filolao riteneva che intorno al fuoco centrale si muovessero dieci corpi celesti: il cielo delle stelle fisse, Saturno, Giove, Marte, mercurio, venere, il sole, la luna, la terra, e l'anti- terra. Ecfanto di Siracusa fu il primo a riconoscere la Terra attorno al proprio asse, e un altro pitagorico, Enoclide, riconobbe l'obliquità dell'eclittica rispetto all'equatore celeste. In ambito pitagorico quindi si parla di eliocentrismo, quando aristarco di samo colloca il sole al posto del fuoco centrale. Un altra dottrina importante è L encefalocentrismo, secondo la quale la sede delle attività spirituali è il cervello. Eraclito Eraclito era definito "oscuro", perché era poco chiaro. Aveva un modo di scrivere criptico, poiché riteneva che la filosofia fosse per pochi. Si esprime con degli gli aforismi, cioè delle frasi brevi ma di forte impatto, e complicate, così da capirle solo quei pochi che si sforzavano, e seguendo questa enigmaticità, scrive un'opera in prosa, Sulla Natura. Svegli e dormienti, ovvero filosofi e uomini comuni Alla base del pensiero di Eraclito, vi è la contrapposizione tra filosofia e mentalità umana. Divide gli esseri umani tra svegli e dormienti. I dormienti sono quelli che vivono come in un sogno, seguono il senso comune, cioè l'opinione comune, e così restano fuori dalla comprensione del logos. Gli uomini "svegli", cioè i filosofi, sono invece coloro in grado di cogliere il senso delle cose, che sanno riflettere in solitudine e che riescono ad avere una vita indipendente dai gusti degli altri uomini. Alcuni studiosi vedono questa divisione come una contrapposizione tra il popolo e gli aristocratici. La dottrina del divenire Secondo Eraclito tutto scorre, in greco panta rei, nel senso che ogni cosa che esiste è soggetta allo scorrere del tempo e alla trasformazione, quindi la vita è un eterno fluire. Questo porta alla testi secondo cui il principio di tutte le cose è il fuoco, elemento mobile e distruttore. La dottrina dei contrari Eraclito afferma anche la dottrina dell'unità dei contrari. Molti ritengono che un opposto possa esistere senza il suo corrispondente, in realtà secondo Eraclito la legge segreta del mondo sta nella stessa connessione dei contrari. In quanto opposti, i contrari lottano tra loro ma allo stesso tempo non possono stare l'uno senza l'altro perché sussistono l'uno in virtù dell'altro. Quindi l'armonia del mondo si basa sul conflitto. Quindi si ha una guerra, polemos, tra i contrari, e per questo critica Omero, che alla fine dell' Iliade si augura pace. Hegel identifica Eraclito come una sorte di padre della dialettica (argomentare con logica), perché è il primo a rappresentare la realtà come un alternarsi di tesi e antitesi, quindi si parla di confutazione, opposizione. Eraclito si basa quindi sulla logicità dell'universo, cioè il "Logos", inteso come ragione e principio e sul fuoco. Il fuoco è il principio fisico che costituisce le cose, perché i filosofi monisti dovevano trovare il principio in un elemento materiale, e il logos è la legge universale che le governa. La dottrina dell'universo Eraclito costituisce anche una realtà fondata su Dio, che è inteso come unità di tutti i contrari e fuoco generatore. In questa concezione è riconoscibile la visione ciclica del mondo, secondo la quale la vita dell'universo si produce e si distrugge in continuazione. L'indagine sull'essere Parmenide Parmenide è il padre della scuola eleatica, che prende il nome dalla città di Elea. Questo pensiero filosofica però è diverso da quello ionico. Infatti, mentre gli ionici trovavano un principio o una sostanza fisica in grado di spiegare le cose, gli eleati cercano di svelare un essere unico, eterno è immutabile. Per questo Parmenide viene definito come padre dell'essere, perché in questo momento si intende la filosofia come ontologia. Parmenide è considerato il padre della metafisica, ed espose il proprio pensiero nella sua opera sulla natura. Il proemio di quest'opera racconta di come Parmenide sia stato portato da un carro trainato dalle figlie del sole al cospetto di una dea, probabilmente la dea della giustizia, la quale gli ha rivelato una verità ben rotonda, rotonda perché è la figura sferica perfetta. Il sentiero della verità Secondo Parmenide ci sono due vie che può prendere l'uomo: • Il sentiero della verità basato sulla ragione, che ci fa conoscere l'essere vero • Il sentiero dell'opinione, basato sui sensi, che ci fa conoscere l'essere apparente. Parmenide dice che "l'essere è e non può non essere, e il non essere non è e non può essere". Cioè vuole affermare che ciò che è esiste e può essere oggetto del pensiero o discorso, ciò che non è non esiste e non può essere nè pensato nè detto. Con questa frase dell'essere vengono a intersecarsi tre piani in filosofia, logico, linguistico, e ontologico. Quindi il piano del pensiero, il piano del linguaggio e il piano dell'esistenza. Il linguaggio appare come qualcosa priva di spessore ontologico, ciò significa che in realtà Parmenide sa distinguere il piano dell'essere e quello del linguaggio, e sceglie di far dipendere la verità del linguaggio da quella del pensiero. Inoltre in questa frase vengono riconosciuti due principi logici: il principio di identità e il principio di non-contraddizione. Il principio di identità dice che una cosa è uguale a se stessa, il principio di non-contraddizione dice che è impossibile che una cosa sia e allo stesso tempo non sia ciò che è. Il mondo dell'essere e della ragione Dalla sua tesi Parmenide ricava una serie di attributi dell'essere: • L'essere è eterno quindi la condizione temporale è il presente eterno, perché il passato implicherebbe non essere, il futuro è ciò che ancora non è. Mentre noi abbiamo un passato, un futuro, e siamo non esseri. • Di conseguenza l'essere è imperituro, mentre noi abbiamo una fine. • In contrapposizione con Eraclito c'è L aggettivo immobile, perché per Eraclito la forma dell'essere è il divenire, per Parmenide l'essere è immobile perché se si muovesse andrebbe in condizioni temporali diverse • L'essere è unico e omogeneo, perché è uguale in tutte le sue parti. • Infine è finito perché è perfetto. La problematica "terza via" di Parmenide Parmenide afferma che il nostro mondo implica il non essere e quindi si tratta di un apparenza. In realtà però, Parmenide pensa che esista una spiegazione verosimile del mondo, secondo la quale il mondo sarebbe governato da due principi opposti: la luce e la notte. A questo punto si potrebbe affermare che le vie di Parmenide non sono due, ma tre: • La via dell'assoluta verità, cioè quella dell'essere • La via dell'opinione ingannevole, cioè quella del non essere • La via dell'opinione plausibile, che da una spiegazione verosimile della realtà percepita con i sensi. Quest'ultima via proviene dal fatto che Parmenide pensava che gli opposti fossero inclusi nell'unita dell'essere, per questo parla di luce e notte. Zenone Zenone fa parte della scuola eleatica e ci ha lasciato i paradossi, che vogliono supportare le tesi parmenidee lavorando contro l'opinione comune. Hanno valore su un piano logico, su un piano dialettico, e sembrano contraddire la nostra esperienza corrente. Ma questo perché vanno contro le opinioni comuni, che Parmenide attaccò, con le tesi dell'essere. Due grandi comparti della filosofia sono ascrivibili in termine di paternità a Parmenide e Zenone, la metafisica e la dialettica, di cui è padre anche Eraclito. Parlare di paradossi vuol dire riduzione all'assurdo, che consiste nell' ammettere in via preliminare che la tesi del nostro interlocutore è esatta, ma poi di volta in volta si contraddice. Zenone vuole dimostrare delle tesi contro il movimento e contro la molteplicità, perché saremmo ingannati dalla doxa, dall'opinione comune. Quindi i suoi paradossi sono collegati al piano della realtà, in contrasto col piano dell'apparenza. Nel primo paradosso Zenone vuole fare una differenza tra il piano della realtà e il piano delle apparenze. Seguendo il piano delle apparenze ciò che dice Zenone è possibile, perché si segue la via della doxa, secondo il della realtà non è bile.