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Filosofia Ellenistica e Medievale: le scuole ellenistiche, la patristica e la scolastica.

24/9/2022

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RIASSUNTI: DALL'ELLENISMO ALLA SCOLASTICA Introduzione alla filosofia ellenistica Il contesto storico, sociale e culturale L'età ellenistica è il periodo storico che ha inizio nel 323 a.C. con la morte di Alessandro Magno, abilissimo re e condottiero macedone. Nel IV secolo a.C. diventa il protagonista della politica internazionale, avendo infatti l'obiettivo di costituire un impero universale multirazziale e multiculturale frutto della fusione di conquistatori (Greci) e vinti (barbari - che non vengono più considerati inferiori rispetto ai Greci). Egli, quindi, avvia una serie di campagne militari volte alla conquista della Macedonia, dell'Egitto, dell'Oriente, e, in particolar modo, della Persia e dell'Asia Minore. Alessandro Magno, quindi, dà vita alla cosiddetta ellenizzazione (cioè quel processo tale per cui si verifica una modifica dell'impianto culturale di una società a seguito dell'entrata in contatto con la civiltà ellenica). Il trionfo dell'opera di Alessandro Magno, volta all'edificazione di un impero caratterizzato da regni ellenistici che adottano come assetto politico la monarchia assoluta orientale divina e universale, produce una conseguenza importantissima: il crollo dell'importanza sociopolitica della polis. Questo provoca una svolta radicale nella quotidianità della vita politica e sociale del tempo: la caduta dei punti di riferimento dei modelli dell'età classica istituiti da Platone e Aristotele, che facevano leva sulla solida conformazione strutturale della polis. Gli organismi politici istituiti da Alessandro Magno non potevano...

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essere considerati dei punti di riferimento, in quanto ritenuti instabili: nella corte sfarzosa ed elegante si trovava il sovrano, ritenuto alla pari di semi-divinità e da un'accozzaglia di burocrati poco efficienti nel loro compito di far girare la macchina statale. Da ciò scaturisce un'ulteriore conseguenza: il cittadino greco non si sente più il cittadino attivo dell'età classica, bensì assume le sembianze di un vero e proprio suddito. Naturalmente, si modifica anche l'approccio quotidiano alla vita politica: il rapporto tra uomo e politica perde di importanza rispetto alla classicità, dal momento che la filosofia e la politica non sono più legate inscindibilmente. È in questo contesto che l'uomo ellenistico matura un disinteressamento e un'estraniazione nei confronti della politica e in generale della vita pubblica attiva, lasciando così la possibilità all'individualismo (autonomia e benessere del singolo a scapito degli interessi e le esigenze della comunità) di emergere. La filosofia, dunque, subisce importanti conseguenze: ❖ Perde di purezza: la filosofica greca incontra altre filosofie, specialmente quelle orientali, e si "meticcia" con esse. Per questo motivo, le filosofie elleniche, acquisiscono due tratti fondamentali: L'orientalizzazione" della mentalità ellenica, in quanto la filosofia puramente ellenica incontra i capisaldi delle filosofie orientali, quali la ricerca di una "via di salvezza" per l'individuo e la rassegnazione di fronte all'esistenza. ➤ Il cosmopolitismo. Questa apertura da parte dell'uomo greco fa sì che l'aspirazione comune diventi quella di giungere ad un'unità tra i popoli; in essi, ogni singolo individuo diventa "cosmopolita", cioè cittadino del mondo. * Perde di profondità: il problema principale non è più la metafisica ma la moralità; la metafisica viene recuperata solo ed esclusivamente per giustificare il problema morale. Le caratteristiche delle nuove correnti filosofiche Atene resta il centro filosofico, nel quale fioriscono queste scuole di pensiero (mentre la massima espressione della cultura ellenistica si verifica ad Alessandria d'Egitto). Le differenze con l'età classica. ➤ L'etica e la politica (come è già stato detto) sono ben distinte. In epoca classica, invece, filosofia e politica sono unite inscindibilmente (Platone e Aristotele si spendono in trattazioni dettagliate sulla filosofia). Gli allievi che partecipano alle lezioni dei maestri, manifestano una piena e incondizionata adesione ai principi esposti dai maestri. In epoca classica, invece, gli uditori manifestavano apertamente all'interlocutore il proprio dissenso (Aristotele obietta la teoria delle idee di Platone). Avviene la specializzazione dei saperi: filosofia e scienza si separano. Gli studi scientifici specialistici si tengono ad Alessandria d'Egitto, mentre ad Atene ci si dedica alla filosofia. In epoca classica, invece, uno dei capisaldi della filosofia era la paideia (formazione culturale degli individui), motivo per cui Platone e Aristotele insegnavano ai propri allievi anche la matematica, la fisica, l'astronomia etc. La nascita di queste scuole di pensiero è dovuta alla "spoliticizzazione” del pensiero filosofico, per via dell'estraniamento dei cittadini rispetto alle tematiche politiche. Le nuove correnti filosofiche (l'epicureismo, lo mo, lo stoicismo e il cinismo) si occupano della phronesis, cioè della moralità (o arte del vivere). La filosofia, quindi, cambia completamente: gli interrogativi dominanti sono quelli esistenziali che riguardano il destino individuale come il dolore, la felicità, la virtù, il dolore etc. Il filosofo, logicamente, assume un compito completamente nuovo: diventa una sorta di “medico" che guarisce i mali della vita, essendo quest'ultima, con le sue accezioni negative, una "malattia". Il filosofo si trova quindi a guidare gli uomini verso la salvezza personale e alla serenità attraverso la filosofia, intesa come terapia mentale ed esistenziale. Queste correnti filosofiche sono di ispirazione socratica, tanto che vengono definite come "scuole socratiche", in cui si adopera, appunto una reviviscenza (cioè un recupero) dello spirito socratico. Il succo delle tematiche che trattano è racchiuso nel fatto che tutto ciò di cui si ha bisogno per vivere si trova dentro l'anima. Il comune denominatore di queste correnti filosofiche è l'aderenza a due ideali che ciascun individuo deve fare propri: ➤ Quello autarchico (autarchia-bastare a sé stessi). In un'epoca in cui tutti i punti di riferimento esterni sono oggetto di frantumazione politica, è necessario per ogni individuo riuscire a trovare un punto di riferimento interno a sé, e, socraticamente, dentro la propria anima. Si verifica, quindi, un affrancamento dal destino e l'uomo si liberò da qualsiasi dipendenza. ➤ Quello atarassico (atarassia-pace dello spirito). L'atarassia può essere raggiunta eliminando gli ostacoli che potevano provocare turbamento. L'atarassia è raggiungibile solamente in vita, in quanto i filosofi ellenisti non credevano nell'esistenza di un aldilà. La filosofia, quindi, può essere praticata solo da coloro che vengono ritenuti saggi. Il saggio è il portatore di tutte le virtù che servono per essere felici e colui che, mediante l'autarchia e l'atarassia, riesce ad eliminare il dolore. Plotino Introduzione Il neoplatonismo è l'ultima filosofia greca, rappresenta una sorta di "epilogo" della filosofia antica prima della nascita della filosofia cristiana. Ebbe molto successo anche a Roma (il neoplatonismo è collocabile intorno al III secolo d.C., epoca in cui nella Roma imperiale trova terreno fertile per attecchire). Questo perché in quell'epoca a Roma si rileggevano le opere classiche, andando a carpire all'interno di esse le soluzioni per i problemi che attanagliavano quel tempo. La caratteristica del neoplatonismo è quella di essere una sorta di eclettismo (eclettismo= atteggiamento di pensiero che sceglie e accetta dai varî sistemi filosofici alcune dottrine, e le coordina armonicamente): Plotino fuse elementi pitagorici, aristotelici, stoici, parmenidei all'interno del platonismo. Il risultato finale è una mescolanza originale di Platone con Pitagora, Aristotele, gli stoici etc. La struttura portante è il Platonismo, nella quale vengono innestati elementi di tutti i massimi esponenti della filosofica greca. Il più importante esponente del neoplatonismo è, appunto, Plotino, che darà vita a un pensiero totalmente originale e nuovo, in cui la mescolanza degli elementi sopra citati non è un miscuglio che determina una permanenza di questi autori più o meno riconoscibile, ma è un pensiero nuovo e armonico che supera al tempo stesso tutti gli elementi filosofici utilizzati dagli autori sopracitati. L'oggetto della filosofia neoplatonica ruota attorno alla ricerca dell'Uno e di un principio unitario fondatore dell'essere. Biografia Plotino nasce a Licopoli in Egitto -nell'Africa romana-, vive a Roma e muore in Campania. Ha successo a palazzo e partecipa alle campagne militari in Oriente non tanto per combattere, quanto più per arricchirsi culturalmente e approfondire le conoscenze sulle filosofie orientali. Delle opere di Plotino è importante ricordare le sei Enneadi. L'Uno Il punto chiave per trattare della filosofia plotiniana è l'unità. Secondo Plotino, la molteplicità delle cose rimanda all'unità. Se una cosa è molteplice è proprio perché esiste un'unità: "tutti gli enti sono in virtù dell'Uno". Il rapporto molteplice-unità è un rapporto ontologicamente intimo (l'unità è in stretto rapporto con la molteplicità e viceversa: la squadra-unità, i giocatori-molteplicità). Ma l'unità ha dei gradienti, cioè ha delle sfaccettature (esempio: unità-Liceo; i ragazzi di una classe-unità, una certa classe del liceo-unità; sono tutte unità ma con sfaccettature differenti). Ogni molteplicità rimanda ad un'unità maggiore e via così arrivando ad un'unità massima detta unità assoluta, nonché Uno. L'Uno è l'unità, il principio unitario (si evidenza come Platone sia riletto in chiave aristotelica: per Platone esisteva un'idea somma e superiore a tutte le altre idee, l'idea di Bene; prendendo questo concetto platonico, Plotino ci inserisce Aristotele: considera che ci sia un'idea ultima, un principio oltre il quale non si può andare oltre. Per Platone: idea di Bene; per Aristotele: sostanza). L'Uno, però, va al di là del sensibile ma anche al di là dell'intelligibile. Non è esattamente come per Platone: l'idea di Bene (l'Uno platonico) certamente rappresentava l'idea superiore a tutte le altre, al tempo stesso però le idee platoniche si trovavano nel mondo intelligibile. Per Plotino non può essere così. L'Uno plotiniano va anche oltre anche l'intelligibile, come se fosse un grande contenitore nel quale si trovano all'interno mondo sensibile e mondo soprasensibile. Platone risolve la questione così: le cose molteplici (il barboncino, il pastore tedesco etc.) fanno riferimento all'idea unitaria corrispondente (idea di cane). La molteplicità sensibile si risolve nell'unità intelligibile, cioè l'unità per Platone può trovarsi nel pensiero. Plotino contesta il modo con cui Platone risolve la molteplicità: il pensiero è duale, in quanto è caratterizzato da un rapporto bi-laterale: il pensante e la cosa pensata. L'Uno è un'unità che va al di là del sensibile come per Platone (idea trascendente), ma per Plotino le cose così come le idee si risolvono nell'Uno-Dio, inteso come causa e principio fondamento intelligibile e sensibile. Esiste quindi un'unità superiore: l'Uno stesso. Definito l'Uno come unità assoluta, l'Uno è assolutamente diverso da tutto ciò che è molteplice (ogni manifestazione sensibile e intellegibile). Le cose molteplici sono finite, poiché l'Uno è diverso da tutte le cose finite, è conseguentemente infinito. L'Uno è, ma per noi non è pensabile e definibile con tutte le caratterizzazioni che diamo alle cose che sono. L'Uno è trascendente: aldilà delle idee e delle cose, è amorfo e a-sostanziale, dunque non è rappresentabile. L'Uno è una prospettiva di teologia negativa; è noto solamente che è causa e fondamento del mondo sensibile e ultrasensibile. L'Uno di Plotino può essere spiegato dicendo tutto ciò che esso non è (non è materia, non è forma, non è idea, non è sostanza etc. Perche dall'Uno derivano i molti? L'Uno è sovrabbondanza di essere. L'Uno è l'essere che è, è ciò che è oltre le cose etc. L'Uno è non limitato e finito, vuol dire che è al di là di ogni limite. L'Uno è talmente sovrabbondante di essere che non può che uscire da sé. I molti derivano dall'Uno per sovrabbondanza di essere (è diverso dal Dio cristiano - creatore è libero di creare). Dal concetto di Uno bisogna staccare il concetto di Libertà. I molti derivano dall'Uno non per libertà dell'Uno stesso ma per necessità, essendoci una grandissima sovrabbondanza d'essere. La generazione dei molti è necessaria, naturale, non figlia di libertà e di volontà. Dunque, appartiene all'essere dell'Uno generare i molti. Perché derivano? Perché non possono che derivare. Come i molti derivano dall'Uno? I molti derivano dall'Uno per emanazione. Questo processo è definito come il processo tale per cui dall'Uno scaturiscono necessariamente i molti, attraverso una serie di gradi d'essere ontologicamente (distanza tra creatore e creatura graduale) sempre meno perfetti a mano a mano che ci si allontana dal principio ideale. Come il calore fuoriesce da una fiamma, come l'acqua straborda da una caraffa piena, allo stesso modo i molti arrivano dall'Uno. L'emanatismo non è né una creazione (come avviene nel cristianesimo, nel quale la "creatio ex nihilo", cioè la creazione dal nulla, è avvenuta per opera dell'amore di Dio) e non è nemmeno una plasmazione (l'Uno non plasma come il Demiurgo plasmava la chora, materia informe). L'emanazione non è una teoria dualistica (Platone e Aristotele consideravano Dio come intelligenza ordinatrice che imprimeva alla materia una forma e un ordine, mentre l'emanatismo è una teoria improntata sul fatto che il mondo esiste solo per mezzo della promanazione divina). L'emanazione non è una teoria panteistica (nella quale tutto è Dio e Dio è in tutte le cose). Dunque, l'Uno e i molti non coincidono, in quanto i molti derivano per emanazione dall'Uno ma non sono l'Uno (il calore emanato da una fiamma non è la fiamma, il calore vicino alla fiamma è diverso da quello lontano dalla fiamma. I molti, cioè le varie gradazioni di calore in relazione all'allontanamento dalla fiamma, non coincidono con l'Uno, la fiamma). Secondo Plotino esistono dei veri e propri gradi di emanazione, detti ipostasi. Le ipostasi sono le manifestazioni dell'Uno e sono realtà che sussistono di per sé ma che sono derivate per emanazione dall'Uno. La prima ipostasi che deriva è l'Intelletto o Nous Universale, è l'anima (psiche) del mondo, è figlia dell'Intelletto. L'anima sorge dalla contemplazione dell'Uno, il quale nell'atto di contemplare si sdoppia in soggetto contemplante e oggetto contemplato. L'anima, dunque, è il soggetto contemplante che pensa a tutti i modelli eterni delle cose, che sono le idee platoniche. La seconda ipostasi è chiamata anche Essere proprio per questo motivo. La terza ipostasi è l'Anima, che si compone di una parte superiore rivolta all'intelletto e una parte inferiore rivolta alla realtà corporea che viene emanata dall'Anima stessa. L'anima svolge una funzione di mediazione tra intelligibile e sensibile. Ogni ipostasi nasce da un atto di contemplazione rivolto all'ipostasi precedente e costituisce la realizzazione a un livello ontologico inferiore di qualche sua caratteristica. È È presente un altro livello, il livello corporeo. Le tre ipostasi rappresentano il mondo intelligibile, ma al tempo stesso dall'ultima ipostasi, l'anima, deriva il mondo corporeo. Quest'ultimo viene definito da Plotino con il termine materia, intesa semplicemente come qualcosa di quanto di più distante possa esistere da Dio, è l'oscurità che comincia dove non arriva più la luce intelligibile emanata dall'Uno. Il ritorno all'Uno L'anima singola si trova tra l'Uno e la materia. Essa è prigioniera del corpo e desidera liberarsi per ricongiungersi con Dio, di cui possiede un'impronta. Per Plotino questo è possibile tramite le vie del ritorno. Il filosofo afferma che la "caduta" dell'anima nel “lacci" del corpo risulta aggravata da una duplice "colpa" dell'anima. La prima consiste nel suo desiderio di "appartenere" e di legarsi al corpo; la seconda consiste nel fatto che l'anima, una volta entrata nel corpo, si prende eccessiva cura del corpo stesso, con le conseguenze che ne derivano, ossia con il mettersi a servizio elle cose esteriori e quindi con il dimenticare sé stessa. Secondo Plotino il ritorno all'Uno è un itinerario che l'uomo può iniziare a percorrere solo mediante il ritorno a sé stesso e l'abbandono delle cose esteriori. La prima tappa del ritorno all'Uno è la liberazione, mediante le «<virtù civili», da ogni rapporto di dipendenza nei confronti del corpo. Le virtù civili sono: l'intelligenza e la sapienza, che fanno sì che l'anima si abitui a operare da sola senza l'aiuto dei sensi; la temperanza, con la quale l'anima si libera dalle passioni; il coraggio col quale essa non teme di separarsi dal corpo; la giustizia che fa sì che nell'anima comandi solo la ragione o l'intelletto. Tuttavia le virtù sono una condizione propedeutica dell'ascesa verso Dio (l'ascesa è un concetto platonico: elevazione, scalata dei vari gradi dell'eros platonico). Le vere e proprie vie del ritorno risiedono nell'arte e nell'amore da un lato e nella filosofia o dialettica dall'altro. Tuttavia, poiché all'Uno non si può arrivare tramite la pura conoscenza intellettuale (noesis intellezione pura, più alto grado della conoscenza), che risulta condizionata dal dualismo fra soggetto pensante e oggetto pensato, occorre un passo ulteriore, rappresentato dall'estasi. L'estasi (dal greco ekstasis, "stare fuori da") è l'amoroso contatto che permette il ricongiungimento con l'Uno, è il perdersi nell'Uno e si identifica con l'uscita" dell'uomo da sé, in direzione di una soprarazionale immedesimazione dell'anima con Dio. Agostino d'ippona e la Patristica Introduzione Agostino da Ippona è il padre della filosofia cristiana, cioè il massimo esponente della patristica (filosofia cristiana delle origini). La patristica si articola in patristica occidentale, che ha come caposcuola Tertulliano (e la sua analisi riguardo il tema del rapporto fede-ragione basato sul "credo quia absurdum est" - cioè sull'adesione quasi mistica a qualsiasi dogma proposto dalla chiesa, senza necessità alcuna di dare vita ad un'indagine razionale interiore) e patristica orientale, che partorisce un grande numero di autori, tra cui il più grande è, appunto, Agostino. Biografia Agostino nacque nel 354 a Tagaste (nell'Africa Romana - dove trascorse l'infanzia e l'adolescenza) dal padre pagano Patrizio e dalla madre cristiana Monica. Coltivò gli studi di grammatica e di filosofia, appassionandosi a quest'ultima per via della lettura dell'Hortensius (dialogo oggi perduto che rappresentava un'esortazione alla filosofia). Nel 374 Agostino aderì al manicheismo e, nel frattempo, iniziò a insegnare retorica a Cartagine sino al 383, cioè sino al compimento dei 29 anni. Successivamente si recò a Roma e l'anno seguente a Milano. Durante questa permanenza si convinse della bontà del messaggio cristiano grazie alla figura del Vescovo Ambrogio, che lo battezzò a seguito di un periodo trascorso come catecumeno. Agostino trovò l'impulso definitivo per la conversione nella lettura degli scritti di Plotino, che affermano l'incorporeità e l'incorruttibilità di Dio. Nel 387, dopo il battesimo, iniziò a programmare il ritorno in patria sentendo propria la missione di diffondere la sapienza cristiana. Tornò a Tagaste nel 391 e diventò vescovo di Ippona nel 395, difendendo i principi della fede cristiana e lottando contro il manicheismo, contro il donatismo e contro il pelagianesimo. Morì nel 430 ad Ippona. I nuclei fondamentali della filosofia di Agostino 1. Il problema del rapporto fede-ragione e la teoria dell'illuminazione. Agostino ritiene che la ragione e la fede siano strettamente unite e in grado di collaborare e di rafforzarsi a vicenda, cioè non esiste la fede senza la ragione e nemmeno la ragione senza la fede. La teoria agostiniana dei rapporti fra ragione e fede è sintetizzata nell'espressione "intelligo ut credam, credo ut intellegam". Tradotto in italiano: "comprendo per credere" (nell'esercizio della fede ci si deve avvalere dell'intelletto, cioè della riflessione filosofica) e "credo per comprendere" (la fede è strettamente necessaria per una corretta speculazione filosofica). Filosofia e teologia, dunque, anche se distinte per il loro metodo, devono sorreggersi a vicenda, essendo entrambe protese verso il vero. L'oggetto della ricerca agostiniana non è il cosmo, ma l'io, ossia l'uomo nella sua singolarità irripetibile e nella sua apertura verso Dio. Nei Soliloqui Agostino così dichiara così lo scopo della sua ricerca: <<Io desidero conoscere Dio e l'anima». La speculazione filosofica di Agostino, ha, quindi, due termini principali: l'anima e Dio. L'anima è l'uomo interiore, è la verità nell'io che deve essere perseguita nell'arco di una vita. Dio è l'essere nella sua trascendenza, senza la cui presenza non sarebbe possibile riconoscere la verità nell'io. Dunque, cercare l'anima significa cercare Dio. La verità non è posseduta di per sé dall'uomo, che la riceve direttamente da Dio, il quale, come una vivida luce, "illumina” la mente umana, permettendole di apprendere. Dio è "dator intelligentiae", cioè "dispensatore di intelligenza", artefice dell'umana capacità conoscitiva. La teoria dell'illuminazione trova le sue radici nella teoria platonica della conoscenza, che sosteneva che l'uomo, poiché l'anima aveva trascorso un lungo periodo di tempo di contemplazione delle idee nell'iperuranio, fosse dotato di verità e criteri di giudizio che non derivavano dall'esperienza. A differenza di Platone, però, Agostino ritiene che questi criteri immutabili di giudizio provengano direttamente da Dio. Dunque, Dio, verità perfetta e immutabile, sede di modelli eterni, illumina la mente dell'uomo fornendole i criteri immutabili di giudizio. Inoltre, Agostino si rende conto che il punto di partenza della conoscenza umana è dato dalla sensazione, cioè reazione al dato sensibile da parte dell'anima- La ragione interviene e giudica secondo, appunto, i criteri immutabili, il dato sensibile ricavato dall'anima. 2. Il problema del male e la polemica contro il manicheismo – De civitate dei. Il tema del male in Agostino sorge in maniera così prorompente per via della sua formazione. Infatti, da giovane aderisce al manicheismo. I manichei credevano nel fatto che esistessero due forze, la forza del bene e la forza del male (che erano considerate quasi alla stregua di due divinità, anche per il fatto che il manicheismo è una religione pagana). Il problema del male è, quindi, il problema del "ragazzo Agostino", che si trova ad affrontare una vera e propria crisi adolescenziale (come emerge dalle Confessioni). Agostino è veramente terrorizzato dal male, e si interroga sul perché questo esiste e da dove questo proviene. Dopo aver letto Plotino, Agostino comprende che il presupposto da cui partire non è quello di interrogarsi riguardo alla provenienza del male (Si Deus est, unde malum? --- Se Dio c'è -ed è buono- da dove viene il male che non ci dovrebbe essere in quanto Dio è buono-?) piuttosto quello di indagare su cosa sia il male e sulla sua natura. Per Agostino il male è privazione dell'essere. Qui da Agostino viene ripresa la teoria dell'emanazione tratta dalle Enneadi di Plotino: il male non è una presenza, ma un'assenza perché è lontanissimo dall'Uno, cioè da Dio. Contemporaneamente a ciò, Agostino fa riferimento alla teoria socratica secondo cui il male è ignoranza del bene. La teoria del male di Agostino, dunque, parte dal presupposto tale per cui il male è assenza di essere. Non esiste come una realtà che è, ma solo ed esclusivamente come una realtà che non è, cioè il male non è un quid. È importante sottolineare il concetto tale per cui da Dio, per sovrabbondanza d'essere, nascono le cose che sono buone, cioè che hanno in sé la possibilità del bene ma che sono corruttibili, nell'ottica di definire quali tipologie di male esistono per Agostino. Per Agostino esistono tre esistono tre tipologie di male, intese tutte come assenza di bene: Il male metafisico. Il male metafisico è il male da cui derivano da tutti gli altri mali, è la carenza originaria. Dio è abbondanza di essere a tal punto che crea il mondo e l'uomo, che però non dispone della stessa presenza di essere di Dio, che è perfetto ed è pienezza di essere. L'uomo, cioè, è creatura buona prodotta da Dio e in quanto tale possiede meno essere della sostanza che lo ha creato, Dio stesso. L'uomo è, dunque, una creatura buona, che può essere corruttibile, cioè che ha in sé la possibilità di compiere il bene, così come il male. Dio fa il bene perché non potrebbe fare altro che il bene, in quanto non dispone della possibilità del male (per via della sovrabbondanza e della perfezione d'essere). Il male, invece, è una possibilità che ha solo ed esclusivamente l'uomo, che per via della sua corruttibilità, gode della libertà di scegliere se compiere il bene o il male. Il male fisico. L'uomo è unione di anima e corpo, ed essendo tale subisce dolori e infortuni. Se l'uomo fosse solo anima (essenza perfetta) nulla lo scalfirebbe. Proprio in virtù della sua corporeità l'uomo può subire dolori, infortuni e malesseri. * Il male morale. Il male morale risiede nel peccato e deriva dal peccato originale commesso da Adamo, strettamente difeso da Agostino stesso. Il peccato che Adamo ha compiuto e che giunge sino a noi deriva da quella libertà di cui l'uomo gode di poter compiere una scelta piuttosto che un'altra. 3. Il problema della creazione e del tempo. Per analizzare il problema del tempo è importante, innanzitutto, comprendere come fa Dio a creare. Agostino prova a rispondere a esponendo la sua teoria a riguardo. Secondo Agostino il mondo è creato dal nulla e nel nulla, da Dio. Agostino, per riuscire nel suo intento, passa al vaglio e critica due teorie creazionistiche: La teoria dell'emanazione di Plotino (la sovrabbondanza d'essere il relativo concetto della candela -vicino alla fiamma c'è tanto calore poi via via diminuisce-). Agostino afferma che Dio crea dal nulla ma non per emanazione, poiché se avesse creato per emanazione, il creato sarebbe fatto della stessa identica sostanza del creatore. Dio, invece, è trascendente il mondo (infatti le montagne, il mare, la macchina etc. non sono della stessa sostanza di Dio). Il creato è altro dal creato, tra Dio e il mondo c'è una differenza sostanziale. Sostenendo la teoria dell'emanazione si arriverebbe al panteismo: il mondo sarebbe esso stesso divino, poiché fatto della medesima sostanza di cui Dio è fatto. Il dualismo. Se si sostenesse una teoria creazionistica dualistica ci sarebbero due mondi, quello delle idee e quello reale; Dio sarebbe il demiurgo che plasmerebbe la chora sulla forma perfetta delle idee. Seguendo questo ragionamento, si arriverebbe ad affermare che le divinità sarebbero due: il mondo delle idee e il demiurgo. Ciò è, appunto, assurdo, per via dell'unicità di Dio. Dunque, Dio ha creato il mondo dal nulla (creatio ex nihilo) attraverso la parola. Dio disse "Sia luce!" e luce fu. La parola a cui si fa riferimento non è, ovviamente, quella sensibile, bensì il Logos, ovvero il Figlio di Dio. Egli contiene in sé le "rationes seminales", cioè le ragioni seminali, le forme/idee/ragioni immutabili delle cose. Queste non sono altro che i "modelli sovratemporali” di cui Dio si serve per creare il mondo. Sono collocate, appunto, nella mente divina e determinano, a partire dall'atto della creazione, la divisione e l'ordinamento delle singole cose. In secondo luogo, è lecito chiedersi cosa c'era prima che Dio creasse il Cielo e la Terra, nonché il mondo. Porre questa domanda significa collocare il mondo nel tempo, e dentro il tempo stesso porre la domanda. Ma il tempo è creato insieme al mondo da Dio. Chiedersi cosa ci sia prima della creazione, pertanto, è un errore: il tempo c'è da quando c'è la creazione, il tempo è mutamento e il tempo c'è se ci sono le cose che mutano. Dio crea non solo le cose che sono nel tempo ma anche il tempo stesso. Le cose e il tempo sono il prodotto della creazione, sono parto divino. Dio non crea le cose nel tempo, ma è la creazione che porta con sé il concetto di tempo. Chiedersi cosa ci sia prima della creazione è una domanda sbagliata. Agostino sostiene che quest'ultima domanda non abbia senso di esistere, perché chiedersi cosa ci fosse nel tempo (prima della creazione), se il tempo non c'era (è creato assieme a tutte le altre cose) è una domanda assurda. Dio ha creato il mondo ed è superiore al mondo stesso e al tempo, ontologicamente. Dio non è cronologicamente anteriore al mondo che lui stesso crea, non c'è Dio e dopo un po' di tempo per noia crea il mondo. Non è così: Dio c'è e crea il mondo, è cronologicamente identico, è istantaneo anche perché il tempo non c'è. Secondo Agostino quella del mondo e del tempo è una sorta di creazione contemporanea. In Dio tutto è eterno: Dio non distingue il prima e il dopo. Dio è eterno, il prima e il dopo non ci sono in Dio perché Dio è eternamente quello che è stato, quello che è e quel che sarà. Dio è un'eternità aldilà del tempo. L'eternità è il tutto, e il tempo è un movimento dentro l'eternità. L'uomo è una creatura coeterna al tempo, e, pertanto, lo percepisce. Il tempo, infatti, c'è per il falegname che prima non aveva realizzato il comodino e che poi lo ha fatto, c'è per una coppia che prima aveva non aveva un figlio e ora si, c'è per l'umanità che prima era in pace e ora è in guerra. Il tempo c'è dove c'è il divenire del creato, Dio è aldilà nel tempo nel senso che è eterno, cioè è Dio stesso che crea è il tempo, che risulta essere un parto divino. Il tempo c'è nel mondo che diviene, e nel tutto che diviene c'è il prima e il dopo. Per i cristiani c'è il nulla e poi c'è Dio che crea dal nulla. L'uomo riconosce la presenza del futuro come un'immagine mobile dell'eternità che sarà, del presente come un'immagine mobile della realtà che è, del passato come un'immagine mobile dell'eternità che è stata. Nello specifico, il futuro è la condizione di attesa che alberga nell'animo dell'uomo mentre il passato è la condizione umana di memoria e di ricordo. Nel mutamento dell'essere l'uomo produce il passato perché può avere memoria, produce il futuro, perché c'è l'attesa e l'immaginazione degli eventi futuri e, ovviamente, c'è l'attenzione nel vivere le cose presenti, condizionate dalla memoria degli eventi passati (che speriamo si ripetano o non si ripetano più) e degli eventi futuri (che speriamo accadano o non accadano). Dunque, il tempo è distensione dell'anima, che si protende dalla memoria del passato (ricordi, eventi che ci hanno colpito), all'attenzione del presente (organizzazione del nostro tempo in relazione ai nostri impegni), all'attesa del futuro (non vediamo l'ora di fare qualcosa in senso positivo, temiamo qualche evento futuro, aspettiamo l'uscita del sabato etc.). 4. La polemica contro il donatismo Il donatismo era un movimento religioso cristiano che dilagò nell'Africa romana già a partire dal II secolo d.C., fondato dal vescovo di Numidia, Donato. Uno dei dogmi fondamentali della dottrina del donatismo è quello tale per cui la validità e l'efficacia di un sacramento dipende dalla persona che li amministra. Agostino critica fortemente questo aspetto del donatismo, sostenendo che un sacramento è valido indipendentemente da colui che lo amministra. Egli, infatti, è convinto che, attraverso la figura del sacerdote, sia Cristo a operare direttamente sul fedele (e pertanto la validità di un sacramento non può essere messa in discussione). 5. La polemica contro il pelagianesimo e il tema della grazia Il pelagianesimo è la dottrina fondata dal monaco irlandese Pelagio, il quale sostiene che la colpa di Adamo non abbia indebolito radicalmente la capacità dell'uomo di fare il bene; è convinto, cioè, che Adamo sia semplicemente un "cattivo esempio". Per Pelagio, quindi, il peccato originale non toglie all'uomo la possibilità di operare il bene, semplicemente rende più difficile questo compito. Il pelagianesimo, dunque, porta a ritenere che per essere salvati l'opera redentrice di Cristo è inutile. Agostino muove una critica feroce, poiché con Adamo aveva peccato l'umanità nella sua interezza, definita come "massa dannata", che poteva salvarsi solo per mezzo della grazia di Cristo, che non è dovuta, bensì voluta, da Dio (il Padre avrebbe potuto non mandare suo figlio a morire per i peccati dell'uomo, eppure lo ha fatto). L'uomo quindi non può elevarsi da solo, ma necessita dell'aiuto di Dio per elevarsi (visione pessimistica dell'uomo). In sintesi: * Tesi di Agostino: l'uomo dopo la colpa di Adamo, non può più compiere il bene, se non per unica grazia di Dio. Tesi di Pelagio: l'uomo dopo la colpa di Adamo, mantiene la capacità di compiere il bene, anche senza l'intervento della grazia divina. La versione di Pelagio porta quindi ad una contraddizione: perché Dio si è sacrificato? Nella dottrina di Agostino questo il sacrificio di Dio è necessario per poter permettere all'uomo di poter tornare a compiere il bene. È qui che entra in gioco il concetto di libero arbitrio, cioè la capacità di scegliere dell'uomo su cosa sia meglio per sé stesso. Il libero arbitrio di Adamo consisteva nella possibilità di "poter non peccare", eppure lo ha fatto, condannando l'umanità intera a “non poter non peccare" (è per questo che Agostino definisce l'umanità "massa dannata"). La grazia per salvare l'uomo è determinante (è necessaria e sufficiente) o è concomitante (necessaria ma non sufficiente - è necessaria anche la collaborazione dell'uomo stesso)? Agostino nel formulare il suo pensiero a riguardo risulta piuttosto ambiguo, alcune volte sostenendo che la grazia sia determinante, altre concomitante. Nell'analisi di questo tema le varie confessioni cristiane mostrano visioni differenti: per i cattolici la grazia è concomitante: la grazia è concessa a tutti a livelli diversi, ma solo attraverso il suo contributo l'uomo riuscirà a salvare la sua vita; per i luterani e i calvinisti la grazia è determinante: l'uomo sin dalla nascita sa già se ha la grazia oppure no. 6. L'ontologia: la struttura trinitaria dell'uomo e la natura del peccato Agostino riconosce che la natura intesa come insieme delle creature, dei corpi fisici posti nello spazio e nel tempo così come le entità spirituali possono essere identificate con il termine "sostanza", che può essere indicato anche per identificare Dio. Dio, però, è sostanza in senso diverso rispetto alle cose create: queste ultime infatti possono essere il “supporto”, cioè il sostrato, per altre caratteristiche, mentre Dio è "essenza", cioè sostanza autosufficiente increata che non ha bisogno di appoggiarsi ad altro. Riprendendo la teoria platonica della gerarchia d'essere, Agostino afferma che ogni cosa possiede una diversa "quantità di essere" rispetto alle altre cose. L'essere è perfezione assoluta, pienezza, immutabilità e bontà. Anche il creato è buono, anche se lo è in modo direttamente proporzionale alla quantità d'essere che lo contraddistingue. La possibilità di cercare Dio e amarlo è radicata nella stessa natura dell'uomo, che è creato a immagine e somiglianza di Dio stesso. Secondo l'antropologia agostiniana l'uomo è al tempo stesso uno e triplice e costituisce una riproduzione imperfetta ("in minuscolo") di ciò che Dio è (“in maiuscolo"). Infatti, così come Dio è Essere (il padre), Intelligenza (il Figlio) e Amore (lo Spirito Santo), allo stesso modo l'uomo esiste, conosce e ama in virtù delle tre facoltà che lo compongono (la memoria, l’intelligenza e la volontà). Queste tre facoltà insieme, quindi, costituiscono una sola realtà, l'uomo, che funge da immagine imperfetta della Trinità divina. La parziale somiglianza strutturale dell'uomo a Dio consente all'uomo stesso di amare e rapportarsi con Dio. L'uomo, essendo una creatura di Dio, possiede meno essere di Dio che lo ha generato, e, pertanto, può allontanarsi da lui proprio per via di questa mancanza d'essere e di perfezione che lo contraddistingue. Il peccato risiede proprio in questo allontanamento e decadimento dall'essere. Dio dà la possibilità all'uomo di rapportarsi con lui creandolo a sua immagine, ma non è garantito che questa possibilità si realizzi. L'uomo, in relazione a questa possibilità, può essere catalogato mediante due attributi: uomo "vecchio" e uomo "nuovo". Questi due aggettivi non fanno riferimento all'età anagrafica dell'uomo, bensì alla sua condizione morale e spirituale. L'uomo vecchio è l'uomo carnale, che nasce, cresce, invecchia e muore, che indebolisce il proprio rapporto con Dio peccando. L'uomo, però, può anche essere nuovo, nel senso che può rinascere spiritualmente vivendo secondo lo spirito, cioè rinsaldando il proprio rapporto con Dio e preparandosi a partecipare della sua stessa eternità. I nuclei Secondari della filosofia di Agostino 1. La teoria delle due città Nella Città di Dio, una delle sue opere principali, Agostino afferma che l'uomo nell'arco della sua esistenza può scegliere se: Vivere secondo la carne, e, dunque, appartenere alla città terrena (o del diavolo). ❖ Vivere secondo lo spirito e, dunque, appartenere alla città celeste (o di Dio). N.B. Queste due città, sulla cui lotta la storia è costruita, non si identificano con alcuna istituzione umana (stati, Chiesa etc.) e non si dividono mai in modo netto il campo di azione della storia. Il trionfo della città celeste sulla città terrena si avrà solo ed esclusivamente alla fine dei tempi. 2. La teoria dei segni Agostino formula il principio secondo cui ogni conoscenza è mediata dai segni, elementi che veicolano un contenuto. I segni si articolano in: Segni naturali (es. esantemi) Segni intenzionali (utilizzati dall'uomo volontariamente con il fine di esprimere un messaggio). Tra questi, i più importanti sono le parole, che trasmettono i concetti dall'animo di chi parla all'animo di chi ascolta. 3. La teoria dell'educazione Agostino sostiene che il fine dell'educazione sia la conoscenza di Dio. In tale ottica, anche la formazione dell'individuo deve essere indirizzata a tale scopo: ammette la legittimità di studiare nozioni basilari di astronomia, matematica, storia e geografia e di apprendere le tecniche retoriche e dialettiche strettamente necessarie a confutare le eresie. Dunque, per Agostino, se la conoscenza non è volta a Dio, "gonfia" l'uomo senza offrirgli qualcosa di utile. Nella pedagogia agostiniana il protagonista del processo di apprendimento volto alla conoscenza di Dio è il discepolo, supportato dal maestro che non è altro che il tramite tra Dio e il discepolo stesso. Il processo di educazione, però, è sempre un processo di auto-educazione: il maestro certamente può offrire dei contenuti, ma se il discepolo non li utilizza facendoli propri interiorizzandoli, non contribuiscono alla sua crescita morale e intellettuale. Anselmo d'Aosta Biografia Anselmo nasce nel 1033 ad Aosta, fu abate in Normandia, divenne vescovo di Canterbury (chiesa inglese). Il motto Anselmino è "credo ut intelligam", cioè "credo per capire". La fede alimenta la ragione, credere serve per capire. Non si può intendere nulla se non si ha la fede, ma, al tempo stesso, si deve usare la ragione per credere. La fede porta alla conoscenza, ma poi si deve usare la ragione per rafforzare la fede. I nuclei fondamentali della filosofia di Anselmo La verità fondamentale della cristianità è l'esistenza di Dio. Anselmo fa di tutto per dimostrarne l'esistenza. A tal proposito scrive due opere: ❖ Il Monologion ("Soliloquio”), nel quale opera una dimostrazione a posteriori ("da ciò che viene dopo": parte dal mondo naturale per dimostrare l'esistenza di Dio). In natura ogni cosa presenta dei gradi: ci sono le cose più belle e meno belle, più buone e meno buone, più luminose e meno luminose. Conseguentemente, deve esserci un grado massimo di bello, di buono, di luminoso. Il grado massimo di tutte le cose è Dio, grado massimo di tutti i gradi massimi. Non può essere pensato nulla di più buono, di più bello, di più luminoso di Dio. Dio è perfezione assoluta. Il Proslogion ("Discorso rivolto ad altri"), nel quale sviluppa una dimostrazione a priori ("da ciò che viene prima": parte da Dio per arrivare a Dio stesso). Anselmo parte dal concetto di Dio per giungere a dimostrarne l'esistenza. Questo modo di procedere è chiamato "prova ontologica". Anselmo parte dal concetto di Dio inteso come "id quo maior cogitari nequit" ("l'ente di cui non si può pensare nulla di maggiore") e immagina un dialogo tra un credente e un ateo (stolto). Il credente chiede all'ateo: "Credi in Dio?". L'ateo risponde: "No, non credo in Dio". Il credente allora: "Ma che cos'è Dio?" e l'ateo: "E' l'essere perfetto". Il credente: "E dunque tu, ateo, che hai l'idea di Dio nella tua mente, non credi però che Dio esista?" e l'ateo: "No". Il credente: "Ateo, ti stai contraddicendo: dici di non credere all'esistenza di Dio che, però, hai nella tua mente come Essere perfetto. Hai, quindi, nella tua mente l'idea di Dio come essere perfetto ma dici che Dio come essere perfetto non esiste. Ma se dici che Dio come essere perfetto non esiste, ovvero esiste solo nella tua mente ma non nella realtà, vorrà dire che può esistere un'altra idea di Dio che esiste al tempo stesso nella tua mente ma anche nella realtà." L'ateo però per negare l'esistenza di Dio ne deve avere un concetto, in quanto non si può negare l'esistenza di qualche cosa che non si pensa. Di conseguenza l'ateo cade in contraddizione per i seguenti motivi: Ciò che esiste nella realtà è superiore rispetto a quello che esiste solo nella mente. Cioè, quando si pensa a Dio si pensa a un essere "di cui non si può pensare nulla di maggiore" (id quo maior cogitari nequit). Se, infatti, Dio fosse solo immaginato, non sarebbe "ciò di cui non si può pensare nulla di maggiore" in quanto le cose imperfette, ma esistenti, gli sarebbero superiori. Non si può negare nulla a ciò che è perfetto (non può esistere nulla di maggiore della perfezione). Cioè, "ciò di cui non si può pensare nulla di maggiore" avrà tutte le perfezioni, compresa quella dell'esistenza. Gaunilone, monaco benedettino, attacca Anselmo, cercando di mostrare come, con la dimostrazione di Anselmo, si possano dimostrare l'esistenza di cose che tuttavia non esistono, portando l'esempio dell'isola felice (isola perfettissima nella mente che non è detto esista nella realtà). Anselmo rispose a Gaunilone sottolineando che la condizione della perfetta natura divina è del tutto particolare in quanto possesso pieno e attuale di ogni positività, situazione che non si può dare invece per altri enti. In altre parole l'esempio dell'isola felice, come peraltro di qualsiasi altra realtà finita, è del tutto inadeguato: solo Dio, infatti, è una realtà perfetta per cui vale il principio tale per cui è sufficiente la sola definizione a implicarne l'esistenza. Tommaso d'Aquino e la Scolastica Introduzione e biografia Tommaso è il massimo esponente della scolastica, cioè della filosofia cristiana medievale, che viene portata appunto da Tommaso al suo massimo splendore. Tommaso, insieme ad Agostino, è uno dei pilastri della dottrina cristiana. Quest'ultima dal punto di vista filosofico-dottrinario è caratterizzata dall'unione di due blocchi principali: la patristica e Agostino (derivazione platonica) e la scolastica e Tommaso (derivazione aristotelica). Tommaso e Agostino, e di riflesso Aristotele e Platone, sono i quattro filosofi che hanno maggiormente influenzato la teoria della Chiesa. Tommaso nasce in una famiglia benestante nel 1225 a Cassino, nel Lazio. Studia a Napoli, poi diventa discepolo di Alberto Magno che segue a Parigi e a Colonia, per poi tornare in Italia dove inizia la sua grande speculazione filosofica, portando in dote Aristotele. Tommaso decide di interpretare e tradurre Aristotele. Aristotele era stato abbandonato nel corso dei secoli ed era stato ritrovato dagli arabi musulmani che ne avevano dato una propria originale interpretazione che, però, non poteva essere culturalmente accettata in Europa (le crociate nascono proprio per le divergenze politico-religiose tra le due culture). Dunque, Tommaso recupera le opere aristoteliche e le interpretazioni arabe, dando vita ad una propria elaborazione personale portando dentro la cristianità la metafisica e in generale tutte le altre scienze aristoteliche. I nuclei fondamentali della filosofia di Tommaso 1. Il rapporto ragione-fede e le cinque vie per dimostrare l'esistenza di Dio. Il rapporto ragione-fede è un rapporto fertile e fecondo, che si poggia sulla razionalità. Secondo Tommaso, così come per Aristotele, la ragione permette all'uomo di analizzare e comprendere la natura. All'uomo, però, per comprendere il mondo, non basta la ragione, ma serve anche la fede. La fede, analogamente, è supportata dalla ragione. La fede e la ragione sono due sentieri paralleli, i quali si influenzano vicendevolmente e convogliano nello stesso punto, che combacia con la verità di Dio. N.B. La fede e la ragione non portano a una doppia verità: non c'è una verità a cui si giunge con la verità e una verità a cui si giunge con la fede. Infatti, per la cristianità il dualismo non è ammesso: il cristianesimo è monista. La fede e la ragione si supportano a vicenda e, in modo specifico, la ragione deve essere al servizio della fede: Dimostrando i preamboli della fede (come l'esistenza di Dio). * Chiarificando (mediante esempi e similitudini) la fede, rendendola più comprensibile. Controbattendo le obiezioni mosse alla fede. Stabilito che la ragione è al servizio della fede, bisogna provare a dimostrare l'esistenza di Dio. Tommaso lo fa raccogliendo le sue prove in cinque argomenti di fondo: "le cinque vie a Dio". Le cinque dimostrazioni dell'esistenza di Dio sono a posteriori: Tommaso indaga la natura con la ragione e cerca di capire se la natura porta a Dio (in quanto Dio è primo nell'ordine dell'essere e pertanto non è primo nell'ordine delle conoscenze umane che partono dai sensi). 1. Ex motu. Secondo il principio aristotelico "omne quod movetur ab alio movetur", tutto si muove, ma tutto ciò che si muove è mosso da qualcosa. Ma, poiché non si può andare all'infinito deve esistere qualcosa che muove senza muoversi: Dio (primo motore immobile aristotelico: atto senza potenza, forma senza materia). Dio quindi "est primum movens, quod a nullo movetur" (è ciò che per primo muove, poiché non è mosso da nulla). 2. Ex causa. Tutte le cose sono regolamentate da un rapporto di causa-effetto. Poiché in natura tutto è effetto di una causa, ogni cosa è sempre effetto di un'altra casa. Ma, poiché non si può andare avanti all'infinito deve esistere una causa prima che è solo causa e che non è effetto di nulla. Poiché l'infinito non esiste ed è un non essere, tutto ciò che è causato dovrà essere, quindi, effetto di una causa prima che non è più causata da nulla e da cui tutto discende: Dio. 3. Ex possibili et necessario. Nel mondo tutte le cose sono contingenti, cioè possono essere o non essere, possono avvenire o non avvenire (es. dopo scuola posso mangiare la pizza o non mangiarla, posso stare a casa sabato sera o uscire). C'è una causa, però, che determina ciò che avverrà (decido di ordinare la pizza perché il frigo è vuoto, decido di stare a casa sabato sera perché sono stanca, non posso prendere un cane perché non ho il giardino etc.). Nelle cause, però, non c'è una procedura all'infinito, non può essere tutto contingente. Deve esserci un primo essere tale per cui contingenza e necessità coincidono: Dio. La contingenza è del mondo, ma poiché di contingenza in contingenza non si può andare all'infinito, dovrà esistere un essere, Dio, per cui necessità e contingenza coincidono. 4. Ex gradu perfectionis. In natura tutto presenta dei gradi. Esisterà necessariamente, dunque, il grado massimo di tutti i gradi massimi: Dio. 5. Ex fine. Ogni cosa avviene in di un fine (tutto ciò che avviene nel mondo è per via di un fine: (studio per la verifica, mangio per la fame, l'albero esegue la fotosintesi etc.). Dovrà esistere un fine ultimo che non sia tendente ad un altro fine, ma che sia il fine aldilà del quale non si può andare: Dio, il fine ultimo a cui tutto tende. 2. L'ontologia – Dell'ente e dell'essenza Nell'opuscolo giovanile "Dell'ente e dell'essenza", Tommaso cerca di spiegare in modo chiaro e non fuorviante alcuni termini filosofici, in particolare i concetti di "ente" e di "essenza". Ente ed essenza sono "le prime cose che l'intelletto concepisce". Nel dettaglio: L'ente è ciò che è. Può essere: ✓ ✓ Reale, è ciò che è nella realtà e che può essere suddiviso nelle dieci categorie aristoteliche. Logico, è ciò che può essere espresso in una proposizione affermativa, senza che necessariamente sia reale (es. "la cecità è nell'occhio" - la cecità non esiste, esistono gli occhi non vedenti). ❖ L'essenza è ciò che una cosa è in quanto tale, e, per questo motivo, esiste solo per gli enti reali, di cui ne rappresenta la "quidditas" (quid est? - cos'è?). Nell'essenza di una cosa c'è tutto ciò che definisce quella determinata cosa, per cui non solo la materia, ma anche la forma (uomo=animale ragionevole; animale-materia, ragionevole-forma). Negli esseri finiti l'essenza va distinta dall'esistenza, definita come "actus essendi", cioè atto d'essere. L'esistenza, cioè l'actus essendi, traduce in atto le essenze che hanno l'essere solo in potenza. L'essenza di qualcosa, data dalla materia e la forma, è la potenza di ciò che in atto sarà l'esistenza (actus essendi), cioè l'atto per cui quel qualcosa esiste realmente. In Dio, nonché l'essere infinito, l'essenza e l'esistenza coincidono (Dio è atto puro la cui essenza è già pienamente realizzata). Le creature, esseri finiti, sono enti che ricevono l'essere direttamente da Dio. L'aggiunta dell'esistenza all'essenza, cioè il passaggio da parte degli esseri finiti dalla potenza all'atto esige l'intervento dell'Essere, cioè di Dio. Gli esseri finiti, dunque, partecipano dell'essere anche se in modo parziale, visto che l'essere perfetto è solo Dio. Il concetto di partecipazione è importante: gli esseri finiti sono stati creati da Dio e, proprio in virtù di questo, partecipano all'essere anche se, appunto, parzialmente. Dio è l'essere per essenza e le creature sono essere per partecipazione. Le creature sono simili a Dio, ma Dio non è simile alle creature: esiste tra Dio e le creature è un rapporto analogico: Dio è contemporaneamente essenza e actus essendi (essere perfetto). Le creature sono essenza che si traduce in esistenza per mezzo dell'intervento di Dio (ricevono l'essere da Dio). Il rapporto tra Dio e le creature è analogico poiché essi non sono né univoci (cioè totalmente simili) né equivoci (cioè totalmente diversi), ma sono in parte simili e in parte diversi. Un altro aspetto importante della filosofia tomistica sono i trascendentali, che si distinguono dalle categorie (aspetti distintivi di quello specifico essere come la qualità, la quantità etc.). I trascendentali, invece, sono le condizioni di pensabilità dell'essere, sono i caratteri che appartengono a tutti gli enti e che qualificano l'essere in quanto tale trascendendo le categorie. I trascendentali sono sostanzialmente tre: ❖ Unum (uno). L'essere è unico nel suo genere, l'essere in quanto essere è intrinsecamente non contraddittorio, non diviso anche se partecipabile. Ogni ente è indiviso in sé e distinto da qualsiasi altro. ❖ Verum (vero). L'essere è intrinsecamente intelligibile e razionale. Ogni ente è espressione di un architetto che ha attuato un preciso disegno ontologico. * Bonum (buono). Ogni ente è buono perché è frutto dell'espressione della bontà di Dio e tutte le cose, singolarmente e nel loro insieme, sono buone. 3. La gnoseologia e l'antropologia Introduzione Tommaso, rifiutando la prospettiva innatistica (di matrice platonica) di Agostino, elabora la propria teoria gnoseologica rifacendosi alla prospettiva innatistica di matrice aristotelica. Tommaso pone nell'esperienza l'origine della conoscenza umana, affermando che nell'intelletto non c'è nulla che prima non sia stato nei sensi. Tommaso, sostenendo che l'esperienza (cioè il risultato di percezioni e ricordi) è ferma al particolare e che non permette di conoscere il perché delle cose, afferma che la capacità di attingere l'universale è riservata alla scienza e si concretizza nella funzione intuitiva e astrattiva svolta dall'intelletto. L'esperienza, ad ogni modo, è alla base del processo conoscitivo. Questo perché "nisi est in intellectu quod prius non fuerit in sensu" ("nell'intelletto non c'è nulla che prima non sia stato nei sensi") L'intelletto- gnoseologia L'intelletto consente all'uomo di conoscere, cioè di cogliere le forme. L'intelletto è la potenza ricettiva di tutte le forme intelligibili che si distingue dal senso, che è la potenza ricettiva di tutte le forme sensibili. L'intelletto umano è la facoltà o capacità dell'anima che permette di penetrare fino alle essenze delle cose, cioè di "intus rem legere" (di "leggere dentro le cose"). L'anima, quindi, permette di conoscere la forma intelligibili, ma, al tempo stesso, l'anima è forma del corpo, che permette di conoscere le forme delle cose. Dunque, ogni essere umano può cogliere, per via della sua corporeità, le forme delle cose e da queste, grazie all'intelletto e all'anima, può estrarne le forme intelligibili. L'intelletto, cioè, estrae le forme intelligibili dai corpi sensibili a cui queste sono unite. Ciò si traduce nel fatto che l'uomo possa pensare genericamente alle forme intelligibili (ad esempio alla forma di "cavallo" o di "cane") prescindendo dagli individui concreti a cui queste sono unite (separazione tra materia e forma). L'intelletto, secondo Tommaso, è in grado di estrarre le forme intelligibili solamente dalla materia signata (materia individuale, materia sensibile di cui è composto un determinato individuo) e non dalla materia comune (materia considerata in generale, comune a più individui o oggetti). Il processo astrattivo compiuto dal soggetto conoscente consiste, dunque, nel separare la forma dalla materia signata perché è di questa che l'uomo fa esperienza (per via del principium individuationis: principio in base al quale è possibile distinguere un individuo/una cosa da tutti gli altri/le altre grazie alla sua materia signata). L'intelletto che svolge la funzione astrattiva è l'intelletto attivo (o intelletto agente). L'intelletto attivo, per quanto detto in precedenza, è la facoltà che astrae le forme intelligibili dalla materia individuale. L'anima antropologia Tommaso riprende la concezione aristotelica dell'anima, che viene intesa come atto del corpo, nonché sua forma e principio vitale. Il filosofo, però, corregge questa concezione in senso cristiano. Essendo l'anima destinata ad essere forma del corpo, questa deve necessariamente posseder un essere proprio che riceve direttamente da Dio. L'anima, inoltre, in quanto forma pura o sostanza di per sé sussistente, non può che essere incorporea e immortale, oltre che incorruttibile, poiché non può separarsi da sé stessa. 4. L'etica Tommaso analizza il rapporto che intercorre tra essere e agire, affermando che si tratta di un rapporto consequenziale: l'agire segue l'essere, poiché tra l'essere di un ente e il suo agire nel mondo c'è una correlazione necessaria. L'agire dell'uomo segue la sua natura, che tende verso il creatore: lo scopo ultimo dell'uomo è la felicità, che coincide, appunto, con Dio e con la beatitudine a cui Dio stesso volge l'uomo. Vi sono altri importanti termini da analizzare nella filosofia tomistica sono la provvidenza e la predestinazione: ✓ Provvidenza. Ogni uomo è soggetto alla provvidenza di Dio, perché Dio provvede, cioè si prende cura dell'uomo. Per questo Dio governa ogni uomo e agisce attraverso la provvidenza. Questo disegno provvidenziale traccia la strada che ogni singolo uomo compirà nella propria vita (nel contenuto e nella modalità). Questo disegno provvidenziale non implica, però, una mancanza di libertà e libero arbitrio. Infatti questo traccia la strada di ciò che è necessario di ciò che contingente, poi sarà l'uomo liberamente a scegliere come percorrere il cammino tracciato da Dio e stabilire se compiere il bene o il male. ✓ Predestinazione. L'uomo è predestinato perché Dio ha scelto il suo destino in anticipo. ✓ Libertà, volontà e libero arbitrio. Il fatto che Dio elabori per ciascun uomo un disegno provvidenziale non esclude la libertà dell'uomo. La libertà è la condizione di immunità dell'uomo da costrizioni interne o esterne, che sfocia nel libero arbitrio. L'uomo naturalmente tende alla felicità (poiché non può fare a meno di desiderarla), che si concretizza nella beatitudine. L'uomo, dunque, per raggiungere quest'ultima per mezzo non solo del libero arbitrio e della volontà, ma anche della volontà, intesa come facoltà con la quale si tende a raggiungere il bene conosciuto dall'intelletto. ✓ Il male. Tommaso riprende la filosofia platonica-agostiniana e afferma che il male è carenza di bene. Il male può essere la pena, che è la mancanza della forma (es. cecità) o la colpa, che è il peccato, l'azione con cui l'uomo sceglie liberamente il male, l'azione deficitaria (azione non fatta o non fatta in modo appropriato). ✓ La sinderesi. Capacità di cui l'uomo dispone di comprendere dove sia il male al fine di evitarlo. ✓ Le virtù. Le virtù sono l'habitus, cioè delle disposizioni pratiche a vivere rettamente e a fuggire dal male. Ci sono tre tipi di virtù: Virtù intellettuali e virtù morali (giustizia, prudenza, temperanza fortezza). Sono virtù umane che permettono all'uomo di raggiungere la felicità che si può ottenere durante la vita terrena con le forze naturali. Virtù teologali (fede, speranza e carità). Sono verità infuse direttamente da Dio, che, unite alle virtù intellettuali e alle virtù morali, consentono all'uomo di raggiungere la beatitudine eterna. 5. Il diritto e la politica * Tommaso elabora la teoria del diritto naturale, che si concretizza nell'analisi dei seguenti aspetti. ✓ Esistono tre tipi di legge: Lex aeterna (legge eterna). Rappresenta il piano con il quale Dio, principe dell'Universo, governa le cose. Lex naturalis (legge di natura). Rappresenta la partecipazione della legge eterna nella creatura ragionevole. Ogni creatura razionale, cioè, può assimilare la lex aeterna con l'intelletto. La lex naturalis si concretizza in tre fondamentali inclinazioni naturali (conservare la vita; procreare; conoscere, unirsi in società e non recare danno agli altri). Lex humana (legge umana). Rappresenta l'applicazione della legge naturale nella società. Come detto prima, a sua volta la legge naturale che a sua volta partecipa della legge eterna. Il compito di fissare le leggi spetta alla collettività. Lo stato (comunità di origine umana) è una società naturale. Lo stato nasce per via della stessa natura dell'uomo. L'uomo, infatti, che tende a socializzare e ad aggregarsi, formando dei gruppi che sfociano in società complesse e dotate di un ordinamento politico ben preciso. Lo stato deve assicurare agli uomini il bene collettivo in terra. La Chiesa (comunità di origine divina) deve garantire agli uomini la beatitudine eterna. La migliore forma di governo è la monarchia. Questo perché la monarchia è quanto di più simile al governo divino del mondo.