Leonardo Da Vinci - vita e opere

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 Leonardo Da Vinci
Leonardo (Vinci, Firenze 1452 - castello di Cloux, presso Amboise 1519) fu uno dei
massimi artefici del Rinascimento: pit
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Leonardo (Vinci, Firenze 1452 - castello di Cloux, presso Amboise 1519) fu uno dei
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Leonardo Da Vinci Leonardo (Vinci, Firenze 1452 - castello di Cloux, presso Amboise 1519) fu uno dei massimi artefici del Rinascimento: pittore, scultore, architetto e scienziato, ma anche ingegnere e scrittore, ha testimoniato un'ampiezza di conoscenze e di interessi che ha largamente e puntualmente profuso nelle sue poliedriche attività, alla ricerca di un'armonica con rispondenza e complementarietà tra arte, natura e scienza. Stabilitosi nel 1469 a Firenze, entrò da apprendista nella bottega del Verrocchio e frequentò intanto gli ambienti umanistici e le famiglie altolocate di Firenze. Il primo sicuro intervento di Leonardo si ha nel Battesimo (1470-75 ca., Firenze, Galleria degli Uffizi). Ancora legata all'ambiente del Verrocchio è l'Annunciazione (1472-75, Uffizi), fin troppo decorativa nell'ornamentazione dei marmi, nei panneggi elaborati, nella minuzia con cui sono dipinti i fiori, ma completamente nuova nello sfondo luminosissimo e lontano che si contrappone alla fila scura di alberetti, un effetto che Leonando riprese anche nel suo primo ritratto, creduto di Ginevra Benci (1474-76 Washington, National Gallery), gravemente mutilato nella parte inferiore, dove la posizione delle mani accentuava la torsione del busto, disposto a piramide. Il disegno Per via di questo suo legame con il disegno, ottiene nel Rinascimento una nuova considerazione: non viene più considerato come capacità acquisita attraverso l'esercizio e lo studio, ma un dono divino. Nel Medioevo, invece, gli artisti erano...

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Didascalia alternativa:

relegati nelle corporazioni, perché pittura, scultura, architettura erano considerate arti meccaniche. Perciò quando si parla di conquista nel mondo dell'arte durante il Rinascimento si intende proprio questo: la loro entrata nelle discipline teoretiche. Una volta considerato disciplina teoretica, il disegno viene suddiviso in due fasi: il momento ideativo, che avviene nella mente dell'artista, l'altro è il momento esecutivo, ossia l'esercizio manuale. Il disegno era un mezzo per studiare ciò che lo circonda. Per Leonardo non c'era mezzo migliore del disegno per indagare la realtà. Di conseguenza, anche la pittura, essendo figlia del disegno, può diventare il mezzo per conoscere ciò che ci circonda. Infatti Leonardo nel suo famoso scritto "Trattato sulla pittura" pone quest'ultima sul piano di una vera e propria scienza. Leonardo da Vinci è attento anche nella rappresentazione delle emozioni che provocano espressioni nel volto umano. Il modo di disegnare di Leonardo da Vinci viene influenzato dal suo maestro Verrocchio, il quale aveva una linea incisiva. Nei disegni del Verrocchio le figure si stagliano sullo sfondo e vengono poste in equilibrio nello spazio circostante. I sentimenti vengono rappresentati da Leonardo nel disegno attraverso la tecnica del tratteggio. Il cartone con Sant'Anna Secondo Vasari, già nel 1501 Leonardo aveva esposto un cartone con la Vergine e sant'Anna, che fu ammirato per due giorni consecutivi da «<i giovani et i vecchi, come si va alle feste solenni». Non possiamo dire con certezza se questo cartone tanto celebrato è proprio quello oggi conservato nella National Gallery di Londra (ma probabilmente non lo è), che appunto riproduce La Vergine e il Bambino con Sant'Anna e San Giovannino. Nel disegno della National Gallery, Maria è seduta in braccio alla madre Anna, che tuttavia non la sovrasta in altezza, mentre Gesù Bambino dialoga con il piccolo Giovanni Battista. Sant'Anna punta l'indice verso l'alto, un gesto che ritroviamo altre volte nei dipinti di Leonardo, a richiamare l'attenzione sul mistero di un potere superiore. Inoltre, indicando il cielo con un dito e volgendo lo sguardo alla figlia, sembra invitarla a rimettersi alla volontà di Dio. Ella rappresenterebbe dunque la Chiesa, che non può e non vuole impedire il sacrificio di Cristo, salvifico per l'umanità. Maria, per suo conto, trattiene il Figlio, che a sua volta si rivolge verso san Giovannino. Nel cartone troviamo la rappresentazione delle tre generazioni: la prima con Sant'Anna, la seconda con la Vergine e l'ultima con Gesù Bambino. Oltre a questa catena formata dal legame familiare notiamo un'ulteriore legame dovuto alle posture fische e agli sguardi. Adorazione dei Magi L'Adorazione dei Magi è un dipinto incompiuto commissionato a Leonardo dai monaci Agostiniani per l'altare maggiore della chiesa di San Donato a Scopeto, allora poco al di fuori delle mura di Firenze. Secondo il contratto avrebbe dovuto essere completata in 30 mesi, invece fu interrotta dalla partenza del maestro per Milano, dove nuove sfide artistiche e scientifiche lo attendevano alla corte di Ludovico il Moro. L'Adorazione era allora un soggetto molto comune a Firenze, dove ogni anno per l'Epifania un solenne corteo rievocava l'episodio evangelico nelle strade cittadine. Ma Leonardo non mancò di apportare importanti innovazioni sia nell'iconografia che nell'impianto compositivo. Per esempio, incentrò la tavola, dipinta a olio su tempera grassa, su un momento ben preciso della storia: quello in cui con il gesto della benedizione il Bambino rivela la sua natura divina agli astanti, provocando reazioni di sorpresa e turbamento. Una scena decisamente dinamica, specie se messa a confronto con le rappresentazioni precedenti dello stesso soggetto. Caratteristici sono anche gli scontri di cavalli e cavalieri e il tempio in costruzione sullo sfondo. Quest'ultimo rappresenta la pace, contrapposta alla battaglia che infuria sul lato opposto. Il dipinto presenta figure rifinite e altre appena delineate, sotto un cielo di lapislazzuli e bianco di piombo. Proprio perché rimasto allo stato di abbozzo, ci fornisce importanti informazioni sul metodo di lavoro del maestro. Un recente restauro ha inoltre rintracciato nella tavola elementi che appariranno nelle opere successive di Leonardo: la zuffa dei cavalieri ricorda la Battaglia d'Anghiari, la testa di un vecchio fa pensare al San Girolamo, mentre i riflessi d'acqua ai piedi di Maria evocano l'effetto che comparirà con più forza nella Vergine delle Rocce. La vergine delle rocce Fra la primavera e l'estate del 1482, Leonardo da Vinci (1452-1519) lasciò Firenze per trasferirsi a Milano, che a quell'epoca era una vera e propria metropoli. Accolto da Ludovico il Moro con tutti gli onori, l'artista fu introdotto a corte. Durante questo lungo periodo milanese (durato 17 anni), Leonardo dipinse alcuni grandi capolavori. Nel 1483, la Confraternita francescana dell'Immacolata Concezione di Maria gli commissionò lo scomparto centrale di una ricca pala d'altare, un trittico, da collocarsi nella Chiesa di San Francesco Grande (oggi distrutta). L'opera doveva avere per soggetto la Madonna col Bambino e, nel contempo, richiamare il tema dell'Immacolata Concezione di Maria: un concetto teologico che i francescani sostenevano e che invece i domenicani negavano. L'Immacolata Concezione è un dogma cattolico, proclamato da papa Pio IX nel 1854 ma oggetto di dispute teologiche già da alcuni secoli. Esso sancisce che Maria venne concepita "immacolata", ossia priva della macchia del peccato originale. In eta rinascimentale, non era stata codificata un'iconografia specifica dell'Immacolata Concezione. Desiderando affrontare l'argomento attraverso un dipinto, i francescani chiesero a Leonardo di elaborare una proposta. Cosa che l'artista fece, anche se in maniera piuttosto criptica, non incontrando l'approvazione dei committenti. Leonardo si rifiutò di rispettare il contratto, secondo il quale avrebbe dovuto dipingere una scena con la Vergine Maria e Gesù Bambino accompagnati da due profeti, Davide ed Isaia. Il dettagliatissimo contratto prevedeva anche la presenza di Dio Padre in alto, accompagnato da un gruppo di angeli, e di altri quattro angeli musicanti ai lati. L'artista, invece, ben poco incline ad accettare qualunque forma di condizionamento, immaginò tutt'altro: un incontro fra Gesù e Giovanni Battista bambini (mai ricordato dai Vangeli ma da alcuni testi apocrifi), alla presenza della Vergine e di un angelo. Due angeli musicanti vennero però dipinti nei pannelli laterali da due allievi del maestro, i fratelli Ambrogio ed Evangelista de Predis; oggi si trovano alla National Gallery di Londra. L'ambientazione della tavola leonardesca è all'interno di una grotta, proprio quella che offre il nome all'opera, universalmente conosciuta come La Vergine delle rocce. Il gruppo di figure presenta una composizione a piramide, resa più complessa e articolata da un incrocio di linee convergenti ideali, generate dai gesti dei quattro personaggi. La scena presenta due fonti di luce differenti: una, esterna, che proviene dalle spalle dell'osservatore e illumina i protagonisti con i suoi ricchi effetti di rifrazione; l'altra, interna, che penetra dalle aperture della grotta, dietro i personaggi sacri. La grotta, che incornicia il luminoso e sfuocato paesaggio montano in lontananza, rivela un'architettura fatta di rocce pericolanti che rendono la composizione spaziale ancora più complicata e arcana. La natura è dunque modellata secondo una concezione dello spazio tutta architettonica, sulla base di un preciso disegno: il pilastro principale divide due prospettive differenti, creando un effetto fortemente scenografico con una sorta di biforcazione verso due uscite: una sulla sinistra più ampia e importante, l'altra, sulla destra, angusta e in parte sbarrata da uno sperone roccioso. I personaggi si trovano sull'orlo di un dirupo, dando così al paesaggio sullo sfondo un significato preciso, ossia una via di salvezza: in tal senso la venuta di Cristo si identifica con la salvezza dell'umanità. Questa chiave di lettura spiegherebbe il motivo per cui Leonardo scelse di dare tanto rilievo alla figura del piccolo Battista, toccato con una mano dalla Madonna, additato dall'angelo e benedetto con un gesto da Gesù. Sembra, difatti, che questi personaggi stiano per congedare Giovanni, che si appresta a precedere Cristo nel suo viaggio nel mondo. Maria è stata la creatura immacolata che Dio prescelse prima del tempo come Madre del suo unico Figlio; per questo Leonardo la pose «in un recesso fuori della vita e del tempo, in mezzo alla rappresentazione poetica delle cose che per lei e per il Cristo vennero fatte»>. Anche la presenza di Giovanni si lega a questa interpretazione, giacchè il Battista rappresenta tutti quei profeti che preannunciarono la nascita dell'Immacolata. Il Battista, alludendo alla Passione di Cristo, rimanda anche alla missione di Maria, quella di essere la madre del Redentore e come tale corredentrice, missione per la quale nacque priva di peccato originale. Il cenacolo Quello dell'Ultima Cena è un episodio della Passione di Cristo. Si svolse di giovedì sera, poco prima del suo arresto. Ne parlano tutti i Vangeli e san Paolo, nella Prima lettera ai Corinzi. La Prima lettera di Paolo è la prima testimonianza di questo evento. In occasione della Pasqua ebraica, Cristo si era riunito con i suoi apostoli in un cenacolo, per consumare la cena e festeggiare quella ricorrenza religiosa. Marco, in particolare, racconta che Gesù e i suoi discepoli si riunirono in «una grande sala ammobiliata e pronta» al piano superiore di una casa. Il termine "sala" traduce in lingua corrente la parola coenaculum dell'antico testo latino del Nuovo Testamento. Sin dai primi secoli del Cristianesimo, si riconobbe all'episodio dell'Ultima Cena un'importanza particolare, giacché fu in tale contesto che si celebrò la prima eucarestia. Molti artisti si cimentarono con questo soggetto, a partire già dall'eta paleocristiana. L'Ultima cena più famosa è tuttavia quella di Leonardo da Vinci (1452-1519), indiscusso maestro della pittura rinascimentale. Fu a Milano, su commissione di Ludovico il Moro, e a partire dal 1495, che Leonardo realizzò questo dipinto, noto come il Cenacolo, su una parete del Refettorio del Convento di Santa Maria delle Grazie. Purtroppo, lo stato di conservazione dell'opera è oggi assai precario. Leonardo, infatti, decise di dipingere a secco sul muro, usando colori a tempera e a olio su una preparazione a gesso. Questa tecnica sperimentale, diversamente dall'affresco tradizionale, consentì all'artista di lavorare con la lentezza e la meticolosità che gli erano necessarie ma il colore, in origine brillantissimo, iniziò presto a cadere. Già nel 1568, Vasari scriveva che il dipinto era diventato «una macchia abbagliata». La causa di tale degrado va identificata con l'umidità della parete, esposta a nord e confinante con le cucine del convento, quindi soggetta a frequenti sbalzi di temperatura e fenomeni di condensa. Fortunatamente, esistono alcune grandi copie su tela del capolavoro vinciano, eseguite a pochi anni di distanza dall'originale, che possono restituirci in modo abbastanza fedele il vero aspetto di un'opera che a tutti apparve subito rivoluzionaria. La copia più fedele, anche se mancante della parte alta (un terzo superiore del dipinto venne in seguito tagliato), è quella un tempo conservata alla Certosa di Pavia e oggi al Magdalen College di Oxford. Un'altra copia si trova esposta al Museo del Rinascimento del Castello di Ecouen, in Francia. Una terza è conservata a Lugano. Nel suo Cenacolo, Leonardo inserì la tavolata con il Cristo e i dodici apostoli in una severa struttura architettonica, aperta sul fondo da grandi finestre che si affacciano su un paesaggio chiaro e sereno. Quest'ambiente prospettico decorato con arazzi appesi (che le copie ci dicono essere a motivi floreali) prolunga illusoriamente lo spazio reale del refettorio. In questo caso, dunque, Leonardo utilizzò la prospettiva brunelleschiana, che gli garantiva un efficace effetto illusionistico. Anche la luce che illumina i personaggi dipinti sembra provenire dalle finestre che si aprono sulla parete sinistra della sala. Sul tavolo, i piatti di peltro, i bicchieri di vetro colmi di vino, gli alimenti, la tovaglia ricamata dimostrano quanto Leonardo avesse studiato con attenzione le opere d'arte fiamminga circolanti a Milano in quegli anni. La figura di Cristo domina al centro della composizione; inserito in una struttura piramidale e solennemente isolato, il Messia china la testa in avanti, mentre indica il pane e il vino dell'eucarestia e annuncia il prossimo tradimento da parte di uno dei suoi. Le sue braccia sono distese: una mano è rivolta verso l'alto, quasi a mostrare il palmo che presto sarà trafitto dai chiodi, in un gesto di dolente ma consapevole accettazione; l'altra mano si impone sulla tavola e sembra esprimere una profonda tensione partecipativa. Questi gesti, ampi e calmi, contrastano con quelli concitati degli apostoli che, disposti in gruppi di tre, mostrano apertamente le proprie differenti reazioni. A differenza dei pittori quattrocenteschi, Leonardo scelse di rappresentare Giuda non isolato dall'altra parte della tavola ma confuso fra tutti, in modo da rendere più drammatico il reciproco interrogarsi degli altri undici. Questo particolare potrebbe essere stato suggerito dai domenicani giacché quest'ordine religioso dava grande importanza al principio del libero arbitrio e poco accettava l'idea che Giuda fosse in qualche modo predestinato a tradire il suo maestro. Giacomo Giuda Giovanni Gesu Giacomo Maggiore Matteo Juda T Simone Il Cenacolo affronta un tema molto caro a Leonardo: quello dei «moti dell'anima», per usare una sua efficace espressione, ossia la manifestazione dei sentimenti. Si tratta di una complessa commistione di emozioni, rappresentata soprattutto attraverso i gesti delle mani e le espressioni dei volti; tuttavia, il dipinto è nel suo insieme calibratissimo, la scena è assolutamente organica e coerente. Gli atteggiamenti degli apostoli sono infatti legati da precise corrispondenze e creano una sorta di dialogo multiplo che rompe lo schema oramai consolidato del soggetto, liberandolo dalla sua tradizionale rigidità. A sinistra, Bartolomeo si spinge in avanti con il busto e appoggia le mani al tavolo, come chi è intento ad ascoltare. Giacomo Minore appoggia la sua mano sinistra sulla spalla di Pietro, per attirare la sua attenzione. Andrea alza le mani mostrando i palmi, in un gesto di meraviglia e di spavento. Pietro si protende di scatto verso Giovanni, per chiedere conferma di quello che ha appena sentito, e con la mano destra afferra un coltello, prefigurando il gesto impulsivo con cui, poche ore dopo, ferira un soldato nel vano tentativo di difendere Cristo. Giovanni ha il tipico atteggiar nto del dolente, lo stesso che assumera sotto la croce, mentre Giuda quinto da sinistra, quello sovrapposto a Pietro), sentendosi scoperto, afferra il sacchetto con i trenta denari e si ritrae spaventato. Alla sinistra di Gesù, Tommaso alza l'indice al cielo con atteggiamento dubbioso, tipico della sua indole; Giacomo Maggiore spalanca le braccia manifestando tutto il suo orrore. Filippo, al contrario, rivolge le mani verso di sè, dichiarando la sua innocenza. Infine, il gruppo all'estrema destra sembra discutere sull'identità del traditore: sono Matteo, Taddeo e Simone, i quali esprimono con gesti assai espliciti dubbio, sgomento e indignazione. La Gioconda Forse iniziata da Leonardo intorno al 1503, la Gioconda è, all'apparenza, un ritratto femminile. Nonostante i numerosi studi, non è stato tuttavia dimostrato con certezza se l'opera davvero ritrae, come vuole la tradizione, Monna Lisa Gherardini, moglie di Francesco del Giocondo, una donna fiorentina realmente esistita. Per alcuni studiosi, infatti, la Gioconda sarebbe una figura allegorica; per altri, invece, tutta l'opera è una sorta di "gioco" e nasconderebbe i tratti di un giovane allievo di Leonardo, l'amato Salaì, o dello stesso artista. È certo che Leonardo amò tantissimo questo dipinto, al quale lavorò ossessivamente almeno fino al 1510 e assai probabilmente fino alla morte; e sappiamo che non se ne volle mai separare. Infatti, la Gioconda si trovava con lui in Francia negli ultimi anni della sua vita. Fu acquistata dal re Francesco I per una somma assai consistente ed entrò a far parte delle collezioni reali. Per questo, oggi, si trova legittimamente al Louvre. La Gioconda è seduta in una loggia e mostrata di tre quarti ma con il volto praticamente frontale. Indossa una veste scollata all'antica, con le maniche di tessuto diverso. Sul capo, porta un velo che le tiene fermi i capelli. Le mani, delicatissime, sono raccolte sul grembo, in primo piano; lo sguardo è rivolto all'osservatore. Alle spalle della donna, al di la di un parapetto, si distende un ampio paesaggio montano, attraversato da corsi d'acqua. Questo paesaggio non è completamente inventato ma riproduce, a memoria, la zona in cui l'Arno supera le campagne di Arezzo e riceve le acque della Val di Chiana; lo dimostrerebbe la presenza, a destra, del ponte Buriano, un ponte medievale sopra il quale passava la via Cassia. La bella signora presenta uno sguardo vivo e un sorriso enigmatico, un po' ironico e un po' malinconico; in effetti, osservando attentamente il dipinto si ha quasi l'impressione che Monna Lisa muti espressione davanti ai nostri occhi. Da profondo conoscitore dei meccanismi della visione, Leonardo aveva compreso che l'esattezza del disegno può conferire alle immagini una certa durezza. Pertanto, egli lasciò allo spettatore qualcosa da indovinare, come concedendo un margine alla sua fantasia, attraverso l'uso dello sfumato (qui, magistralmente utilizzato), che non definisce i contorni in maniera netta e lascia confluire una forma nell'altra. Chiunque osserva un volto si concentra infatti sugli occhi e sulla bocca, i cui angoli definiscono l'espressione; e sono proprio questi particolari della Gioconda che Leonardo lasciò più indefiniti, immergendoli in una morbida penombra. In tal modo, l'espressione della donna sembra sfuggente ogni qual volta la si osservi e pare piuttosto riflettere, come in uno specchio, il momentaneo stato d'animo dell'osservatore. Studiando più attentamente il quadro, poi, ci si può accorgere che le due parti del paesaggio alle spalle della donna non sono corrispondenti, poiché l'orizzonte è più basso a sinistra che a destra, e anche le due metà del volto non si accordano. Ciò conferisce all'immagine una certa instabilità; del resto tali artifici avrebbero reso il quadro troppo cerebrale se Leonardo non li avesse compensati con un'osservazione meticolosa dei particolari: i capelli, l'arricciatura dello scollo, le pieghe delle maniche e soprattutto le mani, la cui bellezza e la cui naturalezza continuano ad incantare da secoli.