Il Patto Gentiloni e l'Evoluzione del Sistema Elettorale Italiano
Il Patto Gentiloni rappresenta uno dei momenti più significativi dell'età giolittiana, segnando una svolta fondamentale nei rapporti tra Stato e Chiesa nell'Italia di inizio Novecento. Giovanni Giolitti, consapevole della necessità di ampliare la propria base elettorale, intraprese un'abile manovra politica per coinvolgere i cattolici nella vita politica nazionale, fino ad allora esclusi dal voto a causa del "non expedit" papale.
Definizione: Il "non expedit" era il divieto imposto dalla Chiesa cattolica ai fedeli di partecipare alla vita politica del Regno d'Italia, in vigore dal 1874 come conseguenza della questione romana.
Nel 1913, attraverso le trattative con il conte Vincenzo Ottorino Gentiloni, presidente dell'Unione Elettorale Cattolica, si giunse alla definizione del Patto Gentiloni, un accordo che prevedeva il sostegno dei cattolici ai candidati liberali che si impegnavano a rispettare alcuni principi fondamentali della dottrina cattolica. Le conseguenze del Patto Gentiloni furono immediate e profonde: permise ai cattolici di rientrare gradualmente nella vita politica nazionale e rafforzò significativamente la posizione di Giolitti.
Il significato del Patto Gentiloni va oltre il mero accordo elettorale: rappresentò un primo passo verso la riconciliazione tra Stato e Chiesa, anticipando future evoluzioni come il Concordato del 1929. La strategia di Giolitti dimostrò una notevole capacità di mediazione politica, caratteristica distintiva del suo modo di governare, che mirava all'integrazione delle diverse componenti sociali nella vita dello Stato liberale.