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LA VITA L'autore del Satyricon viene chiamato nei manoscritti che ce l'hanno tramandato, con il nome di Caius (o Titus o Publius) Petronius Arbiter, così pure lo designano alcuni grammatici del III secolo d. C. che citano passi dell'opera. Oggi si tende abbastanza concordemente a riconoscere nell'autore Gaio Petronio Nigro che fu console nel 62 o nel 63 e che per ordine di Nerone si suicidò nel 66. A lui accennano Plutarco, Plinio il Vecchio e soprattutto Tacito che lo definisce elegantiae arbiter. La coincidenza con il cognomen tramandato dai manoscritti ben difficilmente potrà dirsi casuale. Tacito dedica a Petronio un excursus nel quadro della dura repressione che seguì la scoperta (65 d.C.) della congiura di Pisone e ne risulta una personalità molto originale: passava le giornate dormendo, la notte la riservava agli affari e ai piaceri della vita. Passava per un raffinato uomo di mondo. I suoi gesti erano apparentemente semplici. Come proconsole di Bitinia e poi come console si rivelò energico e all'altezza dei compiti. Tornato poi ai suoi vizi, o meglio alla loro ostentazione, fu ammesso nella ristretta cerchia degli intimi di Nerone, come arbitro di eleganza. Da qui la gelosia di Tigellino che spinse Nerone a considerare Petronio coinvolto nella congiura di Pisone e a gettarlo in carcere. Petronio non volle protrarre oltre l'attesa della condanna a...
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morte: si fece aprire le vene, per poi, a capriccio, chiuderle e poi riaprirle ancora, intrattenendosi con gli amici ma non su temi seri, quelli che gli procurassero gloria di fermezza. Ascoltava solo poesie leggere e versi giocosi. Ad alcuni servi distribuì doni, ad altri frustate. Sedette a banchetto, indulse al sonno, poiché la sua morte, benché imposta, apparisse accidentale. Neppure nel suo ultimo scritto adulò Nerone e Tigellino o qualche potente, ma scrisse dettagliatamente le infamie del princeps, con i nomi del suoi amanti e delle sue amanti e con specifica eccentrica novità di ogni rapporto sessuale, e mandò il testo, con tanto di sigillo, a Nerone. Poi spezzò l'anello del sigillo, perché non servisse in seguito a danneggiare altre persone. IL SATYRICON Del Satyricon possediamo un frammento. Ogni giudizio su quest'opera deve essere dunque molto prudente, tanto più che la mancanza dell'epilogo lascia aperto lo spazio a ipotesi contrastanti sul messaggio dell'opera. Quanto del Satyricon è giunto fino a noi è inoltre pregiudicato da numerose lacune testuali, spesso vaste. Il termine Satyricon è in greco un genitivo plurale neutro dell'aggettivo satyricós; va dunque associato a un sostantivo libri sottinteso: il titolo dell'opera suonerebbe dunque "libri di cose riguardanti i satiri". Secondo altri la forma più probabile del titolo sarebbe Satyrica, al plurale "cose riguardanti i satiri". Nel titolo vi è anche il riecheggiamento del genere letterario della satira e in particolare della satura Menippea, con il suo misto di prosa e versi: nel tessuto narrativo dell'opera entrano infatti con una certa frequenza brani in versi. Il racconto del Satyricon, narrato in prima persona dal protagonista Encolpio, concerne la movimentata storia d'amore tra lo stesso Encolpio e Gitone, continuamente insidiato da altri personaggi, che svolgono la funzione di antagonisti. All'interno di questa vicenda fondamentale si dispongono molteplici episodi che si accavallano talvolta in successione frenetica l'uno dopo l'altro, altrove invece riassunti con scarna rapidità. Il lettore si imbatte ora in gesti e situazioni comuni (il vagabondare per le vie, la consumazione disinibita di rapporti sessuali, l'espletamento dei bisogni fisiologici), ora in eventi più squisitamente narrativi, caratteristici del romanzo greco, come separazioni e ritrovamenti, risse e naufragi, letture di testamenti e riti magici. Il tutto si mescola in momenti più alti, quali discussioni di retorica e poetica, descrizioni di opere d'arte ecc. Il filo narrativo generale del romanzo è però assai esile, mobile e incoerente, come la personalità delle figure che lo abitano. Encolpio, il protagonista, scacciato come capro espiatorio dalla sua città e perseguitato dal dio Priapo, intraprende un lungo viaggio attraverso il Mediterraneo in particolare lungo le coste dell'Italia meridionale - che diventa occasione di incontro e di scontro con molti altri personaggi; suoi compagni di avventura sono per gran parte della narrazione altri due giovani, Ascilto e Gitone, suo amante Encolpio, il protagonista, rappresentante di una gioventù colta e anticonformista, è una figura enigmatica: appare perennemente incerto, è un perdente, uno che subisce gli eventi, venendone condizionato; se tenta una iniziativa si può star certi che fallirà; e se con sincerità ama Gitone, tuttavia ne ricava più delusioni che soddisfazioni. È simpatico perché è un ingenuo e a suo modo un generoso; ma è anche un depravato privo di ideali. Cerca il piacere ma, quando lo trova, l'eccesso di voluttà lo fa ritrarre disgustato. Trama Ricostruire la struttura e il contenuto del romanzo non è semplice perché il testo del Satyricon non è conservato integralmente; è probabile che originariamente l'opera comprendesse venti o ventiquattro libri (come i poemi omerici), ma nelle edizioni moderne viene ripartita in 141 capitoli, che possono a grandi linee essere suddivisi in tre sezioni: Le vicende iniziali e la persecuzione di Priapo (capp. 1-26) · La cena di Trimalchione (capp. 27-78) L'incontro con Eumolpo, il viaggio e il naufragio a Crotone (capp. 79-141). - Capitoli 1-26. Encolpio, in una scuola di retorica con l'amico Ascilto, discute con il maestro Agamennone delle cause della decadenza dell'oratoria; Ascilto però a un certo punto scompare per andare da Gitone, che è amante anche di Encolpio. Costui allora si insospettisce e lo segue verso l'albergo, ma si perde e si ritrova in un bordello. Arrivato finalmente in albergo, Encolpio litiga con Ascilto perché geloso di Gitone e del triangolo amoroso che si è venuto a creare; in seguito i due, riappacificatisi, si recano al mercato, dove compiono alcuni loschi traffici per impadronirsi di una tunica dentro cui sono nascoste delle monete d'oro. Tornati a casa, dove li aspetta Gitone, arriva una sacerdotessa di Priapo, Quartilla, che, con la scusa di purificare i tre da una colpa commessa contro il dio guarire Encolpio dall'impotenza, li coinvolge in pratiche sessuali di ogni genere. Uscita di scena Quartilla, uno schiavo del retore Agamennone li invita a cena dal liberto Trimalchione. Capitoli 27-78. Dopo essere stati alle terme, i giovani arrivano a casa di Trimalchione (o Trimalcione), il cui portico è affrescato con scene della vita del proprietario e contiene una teca dove viene conservata come reliquia la sua prima barba. Una volta entrati nella sontuosa sala del banchetto i tre si sdraiano sui triclini: dopo ricchi antipasti, fa il suo ingresso a suon di musica Trimalchione, tutto agghindato di gioielli. Durante la cena sfarzosa, con stoviglie d'argento e portate appariscenti che creano sui piatti quadri o sculture, il padrone di casa si esibisce in abili discorsi retorici su vari temi (l'astrologia, la caducità della vita, la volubilità del destino, la condizione degli schiavi) e anche gli altri convitati, per lo più liberti, discorrono di numerosi argomenti, riflettendo su tematiche d'attualità o intrattengo gli altri ospiti con racconti sorprendenti. La cena è inoltre allietata da rappresentazioni comiche e giochi circensi, e non mancano momenti in cui alcuni convitati si accoppiano con i propri amanti (gli amasi). Durante la cena i tre giovani sono stupiti dall'ostentazione quasi comica del padrone di casa, tanto che Gitone a un certo punto si mette a ridere e viene duramente redarguito da uno dei commensali. La serata si conclude con il finto funerale di Trimalchione e con l'arrivo delle forze dell'ordine per l'eccessivo schiamazzo: del trambusto approfittano i tre ragazzi, che fuggono in albergo. Capitoli 79-141. Una volta a casa, ricominciano le liti per gelosia e Gitone, messo alle strette, sceglie come amante Ascilto. Encolpio, disperato, inizia perciò a vagare per la città: entra dapprima in una pinacoteca, dove incontra il poeta Eumolpo, con cui parla delle proprie vicende e delle cause della decadenza dell'arte. Encolpio si reca poi alle terme, dove ritrova Gitone, che gli dice voler tornare con lui. I due si recano quindi a cena con Eumolpo, il quale si invaghisce a sua volta di Gitone, scatenando di nuovo l'ira di Encolpio. Sulla scena arriva infine anche Ascilto e, tornata la pace dopo alcuni momenti di tensione, decidono di salpare tutti insieme su una nave per riprendere il viaggio. Nonostante problemi con Lica, li proprietario della nave, con cui Encolpio e Gitone hanno dei conti in sospeso, il viaggio prosegue serenamente e viene allietato dai racconti di Eumolpo, che narra anche la celebre novella della matrona di Efeso, fino a quando una tempesta non fa naufragare la nave presso le coste di Crotone. A differenza dei padroni della nave, i quattro amici si salvano ed escogitano un piano per racimolare del denaro: Eumolpo si fingerà un vecchio possidente per incastrare i cacciatori di eredità che pullulano in città e sono disposti a comprare il testamento di qualunque persona ricca di una certa età. Arrivati in città con l'accompagnamento poetico di Eumolpo, che intona un poema sulle guerre civili, Encolpio scopre di essere ancora impotente: si reca allora nel tempio di Priapo e si sottomette invano a un rituale di purificazione; egli riacquista la propria virilità solo grazie all'intervento di Mercurio. Eumolpo, intanto, vende la sua eredità con la clausola che il beneficiario del testamento sia disposto a cibarsi del suo cadavere. Il graffiante affresco della cena di Trimalchione L'episodio meglio conservato del Satyricon è quello della cosiddetta cena di Trimalchione, 52 capitoli nei quali è raccontato un incredibile banchetto offerto da un ricchissimo liberto di origine greca. È una delle pagine più sorprendenti e nuove della letteratura latina. Siamo di fronte al variopinto affresco di una umanità minore, colta nelle sue peculiarità, nei suoi tic, anche linguistici. I commensali si sono tutti fatti da sé, sono ex schiavi arricchiti. Il denaro è lo strumento indispensabile per poter imitare l'inarrivabile stile dei ceti aristocratici. Trimalchione è il ritratto più grottescamente riuscito della parte del testo giunta fino a noi. È il personaggio più rappresentativo dei vorticosi mutamenti sociali in atto, che sembrano condannare al tramonto i tradizionali ideali aristocratici, per far spazio all'emergere di individui mediocri, impegnati in una inarrestabile ascesa sociale. Intorno a lui si raccoglie il mondo degli invitati alla cena: un'umanità meschina, il cui adattarsi all'ipocrisia e all'adulazione e il trascorrere la vita fra banali passatempi rappresentano il vuoto interiore di cui soffre senza rendersene conto. Petronio denuncia il vuoto di una cultura esibita ma inesistente, puntellata da assurde superstizioni, da volgari sgrammaticature e rozze imitazioni dell'autentica poesia. La cena è ostentazione della ricchezza come vanto di ciò che per natura non può essere che precario. Uno dei messaggi dell'opera è la presa di posizione di Petronio contro il degrado che la cultura subisce nel momento in cui penetra fra i ceti in precedenza emarginati e si corrompe. Sopra tutto non può che aleggiare il pensiero della morte. Un acuto senso di instabilità mina alle radici l'orgoglioso compiacimento della ricchezza conquistata non importa a quale prezzo. La morte appare uno dei temi strutturali del romanzo, accanto al motivo dell'apparire e subito sparire di ogni cosa: il gioco illusionistico dell'ostentazione, del mostrarsi agli altri, anima la spasmodica ricerca di novità che ossessiona i personaggi e che può durare un attimo. Il realismo Alcuni critici hanno avvicinato il Satyricon al romanzo greco, soprattutto per il suo intreccio imperniato su personaggi esposti a mutevoli esperienze e avventure all'interno di un'ambientazione contemporanea. Altri hanno messo in evidenza le affinità che sussistono tra il mondo basso e non di rado osceno del Satyricon e la tradizione di narrativa popolare che ci è documentata dai Milesiaká di Aristide di Mileto: una raccolta di novelle dal contenuto erotico-licenzioso databile alla fine del II secolo a. C., due delle quali sono presenti nei frammenti superstiti dell'opera di Petronio. Certamente il Satyricon si avvicina alla satira latina per la rappresentazione realistica e ironica del costume sociale e alla satura Menippea per il misto di prosa e versi e la compresenza di toni e linguaggi diversi, con continua mescolanza di alto e basso. Altri critici ancora hanno messo in evidenza l'elemento parodistico: alcune parti del Satyricon sembrano mettere in ridicolo episodi o personaggi dell'Iliade, dell'Odissea, dei dialoghi platonici o dell'Eneide, o ancora, riti cristiani ed episodi dei Vangeli; la prevalenza dell'amore omosessuale e l'assenza di ideali come la verginità o la fedeltà coniugale sembrano operare un consapevole rovesciamento delle pure storie d'amore dei romanzi greci. Il Satyricon è una delle pochissime opere della letteratura classica caratterizzate da una sincera vena di realismo. Con le sue frequenti escursioni verso il plebeo e il sordido, anche dal punto di vista tematico, il racconto ci restituisce un'immagine viva e credibile della società romana media, riguardo ad aspetti (come il cibo, il sesso, il denaro) quasi sistematicamente ignorati dalle opere della letteratura alta. Nel romanzo il mondo romano viene ritratto nei suoi luoghi tipici (a differenza dell'ambientazione un po' astratta dei romanzi greci), quali le terme, un tempio, la scuola di retorica, una pinacoteca, la piazza del mercato, un bordello, una locanda di basso rango, le umili abitazioni di povere megere o la sfarzosa dimora di un liberto arricchito (la maggior parte del frammento a noi giunto si svolge in una città dell'Italia meridionale, forse Napoli); entriamo così in contatto con cuochi e pescatori, studenti e vecchie maliarde, portinai e venditori, matrone e prostitute, camerieri e marinai. La realtà prima di Petronio era apparsa già nella satira, nella commedia e nel mimo, ma lui realizza una sintesi ben più mossa e articolata, in cui il realismo si combina con l'invenzione fantastica. Petronio in effetti non persegue un fine propriamente realistico, non scrive cioè allo scopo di restituire un ritratto davvero credibile di una particolare epoca o di un determinato ambiente sociale: gli manca un'attitudine storico-sociologica. Accanto al realismo nel Satyricon opera la libertà fantastica con la quale l'autore miscela i mille aspetti, ambiente e livelli della realtà. Tale dimensione fantastica si rivela anzitutto nella forte presenza di superstizioni, riti equivoci, racconti di lupi mannari e magie che gettano sull'esistente un'ombra inquietante, straniante. La trama è anch'essa fantasiosa, dinamicissima e altamente improbabile. L'invenzione narrativa di Petronio segue percorsi irrazionali, le vicende dei personaggi sono incoerenti e inconcludenti: è la fortuna a reggere dall'inizio alla fine le loro sorti. I complessi livelli della narrazione sono nel Satyricon costantemente filtrati attraverso lo sguardo dei personaggi. Perciò la narrazione non è mai oggettiva: quello di Petronio è un realismo sempre soggettivo. I personaggi comunque non rappresentano in modo esauriente il punto di vista di Petronio: anzi l'autore in più momenti ne prende le distanze, coprendoli di ridicolo. Il racconto è infatti sempre attraversato dall'ironia dell'autore, dal distacco con cui guarda ai personaggi e alla sua stessa creazione artistica. La dimensione realistica coinvolge nel Satyricon anche il piano linguistico. L'opera e soprattutto la cena ci danno una preziosa testimonianza di modi di dire, vocaboli e costrutti relativi agli aspetti del vivere quotidiano, assenti negli altri testi latino giunti fino a noi. Soprattutto il linguaggio parlato dai liberti durante durante il convito offerto da Trimalchione appare profondamente diverso dal latino letterario a cui siamo abituati, espressione di uno strato "basso" della lingua, vicino comunque non lontano dal latino dei graffiti ritrovati sui muri di Pompei, anche se forse, più che di vero sermo vulgaris, si tratta di una posa, come se Petronio, da autentico snob, volesse rifare il verso, esagerando, alla gente di ceto più basso del suo. Ben diverse e molto curate artisticamente appaiono le parti narrative, quelle ascritte al narratore Encolpio. In sostanza Petronio usa con rara maestria la lingua dei personaggi, rendendoli ciascuno emblematico di un certo ambiente o categoria sociale. Il significato del Satyricon Una rispettabile linea critica guarda al Satyricon come a una divertita rappresentazione della società contemporanea, condotta a scopo di intrattenimento e/o finalizzata a denunciare il pericolo insito nelle trasformazioni del costume e della mentalità. Altri preferiscono sottolineare invece la straordinaria libertà compositiva di Petronio, la sua audacia "sperimentale". Petronio si appropria di un genere dimesso come il romanzo per sottoporlo a un'impegnativa elaborazione; rimette in gioco i canoni letterari preesistenti per farne l'oggetto di una divertita, irriverente parodia; in tal modo dà voce al bisogno, tipico dell'età neroniana, di sperimentare vie nuove, facendo della sua composizione satirica, così nuova e anticonformista, lo strumento più adeguato per ritrarre una realtà sociale in impetuosa trasformazione, che si prestava ormai male a essere espressa nelle forme consuete. Ma forse il significato ultimo del Satyricon coincide con la mobile rappresentazione che in esso si attua di un mondo incoerente, contraddittorio, inafferrabile; un mondo che pare proteso solo a pulsioni basse e materiali. Sempre presenti sono la presa di distanza da ogni valore, l'irrisione, la dissacrazione. Nascono da qui la disarmonia, l'inquietudine, l'acuto senso di vuoto che dal Satyricon promanano, secondo modalità e intensità del tutto sconosciute alla letteratura tradizionale.
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Appunti su Petronio
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Appunti su Petronio, seguendo il libro “luminis orae 3”
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vita + Satyricon + cena di Trimalchione + la matrona di Efeso + un manifesto programmatico
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Biografia - Satyricon - genere letterario - realismo petroniano
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biografia e opera di Petronio. Il Satyricon: trama, analisi e collegamenti con la letteratura greca.
14
Sintesi di vita, pensiero, temi e opere di Petronio
5
Potete trovare la figura misteriosa di Petronio, il Satyricon e la sua struttura+ trama e la Cena di Trimalcione (psicologia personaggio)
LA VITA L'autore del Satyricon viene chiamato nei manoscritti che ce l'hanno tramandato, con il nome di Caius (o Titus o Publius) Petronius Arbiter, così pure lo designano alcuni grammatici del III secolo d. C. che citano passi dell'opera. Oggi si tende abbastanza concordemente a riconoscere nell'autore Gaio Petronio Nigro che fu console nel 62 o nel 63 e che per ordine di Nerone si suicidò nel 66. A lui accennano Plutarco, Plinio il Vecchio e soprattutto Tacito che lo definisce elegantiae arbiter. La coincidenza con il cognomen tramandato dai manoscritti ben difficilmente potrà dirsi casuale. Tacito dedica a Petronio un excursus nel quadro della dura repressione che seguì la scoperta (65 d.C.) della congiura di Pisone e ne risulta una personalità molto originale: passava le giornate dormendo, la notte la riservava agli affari e ai piaceri della vita. Passava per un raffinato uomo di mondo. I suoi gesti erano apparentemente semplici. Come proconsole di Bitinia e poi come console si rivelò energico e all'altezza dei compiti. Tornato poi ai suoi vizi, o meglio alla loro ostentazione, fu ammesso nella ristretta cerchia degli intimi di Nerone, come arbitro di eleganza. Da qui la gelosia di Tigellino che spinse Nerone a considerare Petronio coinvolto nella congiura di Pisone e a gettarlo in carcere. Petronio non volle protrarre oltre l'attesa della condanna a...
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morte: si fece aprire le vene, per poi, a capriccio, chiuderle e poi riaprirle ancora, intrattenendosi con gli amici ma non su temi seri, quelli che gli procurassero gloria di fermezza. Ascoltava solo poesie leggere e versi giocosi. Ad alcuni servi distribuì doni, ad altri frustate. Sedette a banchetto, indulse al sonno, poiché la sua morte, benché imposta, apparisse accidentale. Neppure nel suo ultimo scritto adulò Nerone e Tigellino o qualche potente, ma scrisse dettagliatamente le infamie del princeps, con i nomi del suoi amanti e delle sue amanti e con specifica eccentrica novità di ogni rapporto sessuale, e mandò il testo, con tanto di sigillo, a Nerone. Poi spezzò l'anello del sigillo, perché non servisse in seguito a danneggiare altre persone. IL SATYRICON Del Satyricon possediamo un frammento. Ogni giudizio su quest'opera deve essere dunque molto prudente, tanto più che la mancanza dell'epilogo lascia aperto lo spazio a ipotesi contrastanti sul messaggio dell'opera. Quanto del Satyricon è giunto fino a noi è inoltre pregiudicato da numerose lacune testuali, spesso vaste. Il termine Satyricon è in greco un genitivo plurale neutro dell'aggettivo satyricós; va dunque associato a un sostantivo libri sottinteso: il titolo dell'opera suonerebbe dunque "libri di cose riguardanti i satiri". Secondo altri la forma più probabile del titolo sarebbe Satyrica, al plurale "cose riguardanti i satiri". Nel titolo vi è anche il riecheggiamento del genere letterario della satira e in particolare della satura Menippea, con il suo misto di prosa e versi: nel tessuto narrativo dell'opera entrano infatti con una certa frequenza brani in versi. Il racconto del Satyricon, narrato in prima persona dal protagonista Encolpio, concerne la movimentata storia d'amore tra lo stesso Encolpio e Gitone, continuamente insidiato da altri personaggi, che svolgono la funzione di antagonisti. All'interno di questa vicenda fondamentale si dispongono molteplici episodi che si accavallano talvolta in successione frenetica l'uno dopo l'altro, altrove invece riassunti con scarna rapidità. Il lettore si imbatte ora in gesti e situazioni comuni (il vagabondare per le vie, la consumazione disinibita di rapporti sessuali, l'espletamento dei bisogni fisiologici), ora in eventi più squisitamente narrativi, caratteristici del romanzo greco, come separazioni e ritrovamenti, risse e naufragi, letture di testamenti e riti magici. Il tutto si mescola in momenti più alti, quali discussioni di retorica e poetica, descrizioni di opere d'arte ecc. Il filo narrativo generale del romanzo è però assai esile, mobile e incoerente, come la personalità delle figure che lo abitano. Encolpio, il protagonista, scacciato come capro espiatorio dalla sua città e perseguitato dal dio Priapo, intraprende un lungo viaggio attraverso il Mediterraneo in particolare lungo le coste dell'Italia meridionale - che diventa occasione di incontro e di scontro con molti altri personaggi; suoi compagni di avventura sono per gran parte della narrazione altri due giovani, Ascilto e Gitone, suo amante Encolpio, il protagonista, rappresentante di una gioventù colta e anticonformista, è una figura enigmatica: appare perennemente incerto, è un perdente, uno che subisce gli eventi, venendone condizionato; se tenta una iniziativa si può star certi che fallirà; e se con sincerità ama Gitone, tuttavia ne ricava più delusioni che soddisfazioni. È simpatico perché è un ingenuo e a suo modo un generoso; ma è anche un depravato privo di ideali. Cerca il piacere ma, quando lo trova, l'eccesso di voluttà lo fa ritrarre disgustato. Trama Ricostruire la struttura e il contenuto del romanzo non è semplice perché il testo del Satyricon non è conservato integralmente; è probabile che originariamente l'opera comprendesse venti o ventiquattro libri (come i poemi omerici), ma nelle edizioni moderne viene ripartita in 141 capitoli, che possono a grandi linee essere suddivisi in tre sezioni: Le vicende iniziali e la persecuzione di Priapo (capp. 1-26) · La cena di Trimalchione (capp. 27-78) L'incontro con Eumolpo, il viaggio e il naufragio a Crotone (capp. 79-141). - Capitoli 1-26. Encolpio, in una scuola di retorica con l'amico Ascilto, discute con il maestro Agamennone delle cause della decadenza dell'oratoria; Ascilto però a un certo punto scompare per andare da Gitone, che è amante anche di Encolpio. Costui allora si insospettisce e lo segue verso l'albergo, ma si perde e si ritrova in un bordello. Arrivato finalmente in albergo, Encolpio litiga con Ascilto perché geloso di Gitone e del triangolo amoroso che si è venuto a creare; in seguito i due, riappacificatisi, si recano al mercato, dove compiono alcuni loschi traffici per impadronirsi di una tunica dentro cui sono nascoste delle monete d'oro. Tornati a casa, dove li aspetta Gitone, arriva una sacerdotessa di Priapo, Quartilla, che, con la scusa di purificare i tre da una colpa commessa contro il dio guarire Encolpio dall'impotenza, li coinvolge in pratiche sessuali di ogni genere. Uscita di scena Quartilla, uno schiavo del retore Agamennone li invita a cena dal liberto Trimalchione. Capitoli 27-78. Dopo essere stati alle terme, i giovani arrivano a casa di Trimalchione (o Trimalcione), il cui portico è affrescato con scene della vita del proprietario e contiene una teca dove viene conservata come reliquia la sua prima barba. Una volta entrati nella sontuosa sala del banchetto i tre si sdraiano sui triclini: dopo ricchi antipasti, fa il suo ingresso a suon di musica Trimalchione, tutto agghindato di gioielli. Durante la cena sfarzosa, con stoviglie d'argento e portate appariscenti che creano sui piatti quadri o sculture, il padrone di casa si esibisce in abili discorsi retorici su vari temi (l'astrologia, la caducità della vita, la volubilità del destino, la condizione degli schiavi) e anche gli altri convitati, per lo più liberti, discorrono di numerosi argomenti, riflettendo su tematiche d'attualità o intrattengo gli altri ospiti con racconti sorprendenti. La cena è inoltre allietata da rappresentazioni comiche e giochi circensi, e non mancano momenti in cui alcuni convitati si accoppiano con i propri amanti (gli amasi). Durante la cena i tre giovani sono stupiti dall'ostentazione quasi comica del padrone di casa, tanto che Gitone a un certo punto si mette a ridere e viene duramente redarguito da uno dei commensali. La serata si conclude con il finto funerale di Trimalchione e con l'arrivo delle forze dell'ordine per l'eccessivo schiamazzo: del trambusto approfittano i tre ragazzi, che fuggono in albergo. Capitoli 79-141. Una volta a casa, ricominciano le liti per gelosia e Gitone, messo alle strette, sceglie come amante Ascilto. Encolpio, disperato, inizia perciò a vagare per la città: entra dapprima in una pinacoteca, dove incontra il poeta Eumolpo, con cui parla delle proprie vicende e delle cause della decadenza dell'arte. Encolpio si reca poi alle terme, dove ritrova Gitone, che gli dice voler tornare con lui. I due si recano quindi a cena con Eumolpo, il quale si invaghisce a sua volta di Gitone, scatenando di nuovo l'ira di Encolpio. Sulla scena arriva infine anche Ascilto e, tornata la pace dopo alcuni momenti di tensione, decidono di salpare tutti insieme su una nave per riprendere il viaggio. Nonostante problemi con Lica, li proprietario della nave, con cui Encolpio e Gitone hanno dei conti in sospeso, il viaggio prosegue serenamente e viene allietato dai racconti di Eumolpo, che narra anche la celebre novella della matrona di Efeso, fino a quando una tempesta non fa naufragare la nave presso le coste di Crotone. A differenza dei padroni della nave, i quattro amici si salvano ed escogitano un piano per racimolare del denaro: Eumolpo si fingerà un vecchio possidente per incastrare i cacciatori di eredità che pullulano in città e sono disposti a comprare il testamento di qualunque persona ricca di una certa età. Arrivati in città con l'accompagnamento poetico di Eumolpo, che intona un poema sulle guerre civili, Encolpio scopre di essere ancora impotente: si reca allora nel tempio di Priapo e si sottomette invano a un rituale di purificazione; egli riacquista la propria virilità solo grazie all'intervento di Mercurio. Eumolpo, intanto, vende la sua eredità con la clausola che il beneficiario del testamento sia disposto a cibarsi del suo cadavere. Il graffiante affresco della cena di Trimalchione L'episodio meglio conservato del Satyricon è quello della cosiddetta cena di Trimalchione, 52 capitoli nei quali è raccontato un incredibile banchetto offerto da un ricchissimo liberto di origine greca. È una delle pagine più sorprendenti e nuove della letteratura latina. Siamo di fronte al variopinto affresco di una umanità minore, colta nelle sue peculiarità, nei suoi tic, anche linguistici. I commensali si sono tutti fatti da sé, sono ex schiavi arricchiti. Il denaro è lo strumento indispensabile per poter imitare l'inarrivabile stile dei ceti aristocratici. Trimalchione è il ritratto più grottescamente riuscito della parte del testo giunta fino a noi. È il personaggio più rappresentativo dei vorticosi mutamenti sociali in atto, che sembrano condannare al tramonto i tradizionali ideali aristocratici, per far spazio all'emergere di individui mediocri, impegnati in una inarrestabile ascesa sociale. Intorno a lui si raccoglie il mondo degli invitati alla cena: un'umanità meschina, il cui adattarsi all'ipocrisia e all'adulazione e il trascorrere la vita fra banali passatempi rappresentano il vuoto interiore di cui soffre senza rendersene conto. Petronio denuncia il vuoto di una cultura esibita ma inesistente, puntellata da assurde superstizioni, da volgari sgrammaticature e rozze imitazioni dell'autentica poesia. La cena è ostentazione della ricchezza come vanto di ciò che per natura non può essere che precario. Uno dei messaggi dell'opera è la presa di posizione di Petronio contro il degrado che la cultura subisce nel momento in cui penetra fra i ceti in precedenza emarginati e si corrompe. Sopra tutto non può che aleggiare il pensiero della morte. Un acuto senso di instabilità mina alle radici l'orgoglioso compiacimento della ricchezza conquistata non importa a quale prezzo. La morte appare uno dei temi strutturali del romanzo, accanto al motivo dell'apparire e subito sparire di ogni cosa: il gioco illusionistico dell'ostentazione, del mostrarsi agli altri, anima la spasmodica ricerca di novità che ossessiona i personaggi e che può durare un attimo. Il realismo Alcuni critici hanno avvicinato il Satyricon al romanzo greco, soprattutto per il suo intreccio imperniato su personaggi esposti a mutevoli esperienze e avventure all'interno di un'ambientazione contemporanea. Altri hanno messo in evidenza le affinità che sussistono tra il mondo basso e non di rado osceno del Satyricon e la tradizione di narrativa popolare che ci è documentata dai Milesiaká di Aristide di Mileto: una raccolta di novelle dal contenuto erotico-licenzioso databile alla fine del II secolo a. C., due delle quali sono presenti nei frammenti superstiti dell'opera di Petronio. Certamente il Satyricon si avvicina alla satira latina per la rappresentazione realistica e ironica del costume sociale e alla satura Menippea per il misto di prosa e versi e la compresenza di toni e linguaggi diversi, con continua mescolanza di alto e basso. Altri critici ancora hanno messo in evidenza l'elemento parodistico: alcune parti del Satyricon sembrano mettere in ridicolo episodi o personaggi dell'Iliade, dell'Odissea, dei dialoghi platonici o dell'Eneide, o ancora, riti cristiani ed episodi dei Vangeli; la prevalenza dell'amore omosessuale e l'assenza di ideali come la verginità o la fedeltà coniugale sembrano operare un consapevole rovesciamento delle pure storie d'amore dei romanzi greci. Il Satyricon è una delle pochissime opere della letteratura classica caratterizzate da una sincera vena di realismo. Con le sue frequenti escursioni verso il plebeo e il sordido, anche dal punto di vista tematico, il racconto ci restituisce un'immagine viva e credibile della società romana media, riguardo ad aspetti (come il cibo, il sesso, il denaro) quasi sistematicamente ignorati dalle opere della letteratura alta. Nel romanzo il mondo romano viene ritratto nei suoi luoghi tipici (a differenza dell'ambientazione un po' astratta dei romanzi greci), quali le terme, un tempio, la scuola di retorica, una pinacoteca, la piazza del mercato, un bordello, una locanda di basso rango, le umili abitazioni di povere megere o la sfarzosa dimora di un liberto arricchito (la maggior parte del frammento a noi giunto si svolge in una città dell'Italia meridionale, forse Napoli); entriamo così in contatto con cuochi e pescatori, studenti e vecchie maliarde, portinai e venditori, matrone e prostitute, camerieri e marinai. La realtà prima di Petronio era apparsa già nella satira, nella commedia e nel mimo, ma lui realizza una sintesi ben più mossa e articolata, in cui il realismo si combina con l'invenzione fantastica. Petronio in effetti non persegue un fine propriamente realistico, non scrive cioè allo scopo di restituire un ritratto davvero credibile di una particolare epoca o di un determinato ambiente sociale: gli manca un'attitudine storico-sociologica. Accanto al realismo nel Satyricon opera la libertà fantastica con la quale l'autore miscela i mille aspetti, ambiente e livelli della realtà. Tale dimensione fantastica si rivela anzitutto nella forte presenza di superstizioni, riti equivoci, racconti di lupi mannari e magie che gettano sull'esistente un'ombra inquietante, straniante. La trama è anch'essa fantasiosa, dinamicissima e altamente improbabile. L'invenzione narrativa di Petronio segue percorsi irrazionali, le vicende dei personaggi sono incoerenti e inconcludenti: è la fortuna a reggere dall'inizio alla fine le loro sorti. I complessi livelli della narrazione sono nel Satyricon costantemente filtrati attraverso lo sguardo dei personaggi. Perciò la narrazione non è mai oggettiva: quello di Petronio è un realismo sempre soggettivo. I personaggi comunque non rappresentano in modo esauriente il punto di vista di Petronio: anzi l'autore in più momenti ne prende le distanze, coprendoli di ridicolo. Il racconto è infatti sempre attraversato dall'ironia dell'autore, dal distacco con cui guarda ai personaggi e alla sua stessa creazione artistica. La dimensione realistica coinvolge nel Satyricon anche il piano linguistico. L'opera e soprattutto la cena ci danno una preziosa testimonianza di modi di dire, vocaboli e costrutti relativi agli aspetti del vivere quotidiano, assenti negli altri testi latino giunti fino a noi. Soprattutto il linguaggio parlato dai liberti durante durante il convito offerto da Trimalchione appare profondamente diverso dal latino letterario a cui siamo abituati, espressione di uno strato "basso" della lingua, vicino comunque non lontano dal latino dei graffiti ritrovati sui muri di Pompei, anche se forse, più che di vero sermo vulgaris, si tratta di una posa, come se Petronio, da autentico snob, volesse rifare il verso, esagerando, alla gente di ceto più basso del suo. Ben diverse e molto curate artisticamente appaiono le parti narrative, quelle ascritte al narratore Encolpio. In sostanza Petronio usa con rara maestria la lingua dei personaggi, rendendoli ciascuno emblematico di un certo ambiente o categoria sociale. Il significato del Satyricon Una rispettabile linea critica guarda al Satyricon come a una divertita rappresentazione della società contemporanea, condotta a scopo di intrattenimento e/o finalizzata a denunciare il pericolo insito nelle trasformazioni del costume e della mentalità. Altri preferiscono sottolineare invece la straordinaria libertà compositiva di Petronio, la sua audacia "sperimentale". Petronio si appropria di un genere dimesso come il romanzo per sottoporlo a un'impegnativa elaborazione; rimette in gioco i canoni letterari preesistenti per farne l'oggetto di una divertita, irriverente parodia; in tal modo dà voce al bisogno, tipico dell'età neroniana, di sperimentare vie nuove, facendo della sua composizione satirica, così nuova e anticonformista, lo strumento più adeguato per ritrarre una realtà sociale in impetuosa trasformazione, che si prestava ormai male a essere espressa nelle forme consuete. Ma forse il significato ultimo del Satyricon coincide con la mobile rappresentazione che in esso si attua di un mondo incoerente, contraddittorio, inafferrabile; un mondo che pare proteso solo a pulsioni basse e materiali. Sempre presenti sono la presa di distanza da ogni valore, l'irrisione, la dissacrazione. Nascono da qui la disarmonia, l'inquietudine, l'acuto senso di vuoto che dal Satyricon promanano, secondo modalità e intensità del tutto sconosciute alla letteratura tradizionale.