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Promessi Sposi, personaggi

7/10/2022

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PROMESSI SPOSI
PERSONAGGI:
Renzo e Lucia:
Nella versione primitiva avevano il nome di "Fermo e Lucia".
Si tratta di due giovani innamorati,

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PROMESSI SPOSI PERSONAGGI: Renzo e Lucia: Nella versione primitiva avevano il nome di "Fermo e Lucia". Si tratta di due giovani innamorati, di circa venti anni, entrambi orfani di padre. La coppia vive umilmente, guadagnando quel poco che gli basta per vivere con il proprio lavoro: Renzo Tramaglino è un filatore di seta, Lucia (il cui cognome è Mondella) lavora alla filanda oppure sbriga le faccende domestiche. La condizione dei due ragazzi è quindi modesta ma decorosa. Il loro sogno è di sposarsi e di metter su famiglia. Lo scrittore attribuisce subito, già nell'incipit del romanzo, alcune caratteristiche ai due personaggi principali, delineando due personalità abbastanza diverse tra loro. Renzo, per esempio, è descritto come un giovane pacifico e idealista, che crede fermamente nella giustizia e che si infiamma dinanzi ad un torto subito, visto che il suo obiettivo è comportarsi in maniera giusta con tutti. Insomma, un giovane esuberante ed irruente ma nell'accezione positiva del termine. Lucia, invece, solo all'apparenza più fragile e debole, di fronte ad un'offesa subita si chiude in se stessa e sfoga la sua rabbia nel pianto. Entrambi professano la religione cristiana e cercano di metterne in pratica i dettami nella vita di tutti i giorni. Renzo lo oviam nei seguenti capitoli: II,III,V Mentre Lucia nei seguenti: II-X,XVIII,XX-XXII,XXIV-XXVII,XXXVI-XXXVIII VII,XXVI,XXVII,XXXIII-XXXVIII Don Abbondio. Curato del paese, vocazione non spirituale,...

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Didascalia alternativa:

ma di convenienza (non è benestante). Don Abbondio è succube del suo tempo, della sua epoca e delle ingiustizie presenti in essa; non riuscendo ad affrontarle tenta di scansarle; viene paragonato a un vaso di terracotta che viaggia su un carro insieme ad altri vasi di ferro; egli risulta vittima della società perché non possiede un carattere forte e determinato ("non era nato con un cuor di leone"). Principale, per codardia si trasforma in aiutante dell'antagonista (simboleggia chi, pur investito di responsabilità istituzionali, si piega al più forte), personaggio meschino e reietto, un succube che tenta di avere il minor danno a discapito dei più poveri. Il personaggio è descritto dal punto di vista fisico: ha due occhi grigi, una bassa statura e una costituzione corpulenta, "Due folte ciocche di capelli, (...), due folti sopraccigli, due folti baffi, un folto pizzo, tutti canuti, e sparsi su quella faccia bruna e rugosa, potevano assomigliarsi a cespugli coperti di neve" (cap. VIII). La sua età non viene precisata, ma nel cap. I si dice che "il pover'uomo era riuscito a passare i sessant'anni, senza gran burrasche". Il curato è dunque nato prima del novembre 1568. Il casato del personaggio, come dice il Manzoni stesso, non è citato nel manoscritto da cui l'autore dichiara di aver tratto la vicenda romanzesca. Lo ritroviamo nei capitoli: I,II,VIII,XI,XXIII,XXIV-XXVI,XXIX,XXX,XXXIII,XXXVII,XXXVIII Perpetua: Personaggio minore (simboleggia la sincerità e la genuinità). Domestica di don Abbondio; aveva passato l'età sinodale dei quarant'anni, rimanendo nubile, per aver rifiutato tutti i partiti che le si erano offerti, come diceva lei, o per non aver mai trovato un cane che la volesse, come dicevano le sue amiche. Sa ubbidire e comandare, tollerare e imporre, non sa mantenere i segreti, poiché ha un animo abbastanza semplice e "rozzo": termine scurrile usato nel primo capitolo contro don Rodrigo: "Oh che birbone". La ritroviamo nei capitoli: I,II, VII, VIII,XI,XXIX,XXX,XXXIII Monaca di Monza: La storia della Monaca di Monza è ispirata ad una storia vera di una ragazza, nata con il nome di Marianna de Leyva. Manzoni ha ripreso la sua storia modificandone alcuni tratti, descirtti nei capitoli 9 e 10, quando Lucia incontra la Monaca di Monza perché è a lei che deve chiedere protezione. In questa occasione la Monaca racconta la sua tragica storia. Nata in una famiglia benestante con il nome di Gertrude, figlia di un gentiluomo milanese feudatario di Monza, per volere del padre che aveva deciso il destino di sua figlia prima della nascita, è costretta ad entrare in convento per non intaccare il patrimonio di famiglia. Inizia a frequentare le suore di Monza sin da piccola per essere educata alla vita monastica. Crescendo, tenterà di comunicare al padre il suo dissenzo a diventare suora con una lettera, che viene accolta con freddezza e disappunto da tutta la famiglia che la costringerà a riprendere la sua vita in convento. Relegata alla vita del chiostro, ha una relazione con un uomo di nome Egidio. Oltre allo scandalo causato da questa relazione, a rendere più grave la situazione è il fatto che il suo amante, già accusato di omicidio, si trova ad uccidere per nascondere questa storia d'amore. Questo suo intento non è stato utile a coprire i fatti, perché alla fine sono stato scoperti. La Monaca viene condannata dall'arcivescovo Federico Borromeo ad essere murata viva in una stanzetta senza contatti con il mondo esterno, fornita solo del necessario per sopravvivere. E' qui che passerà tutto il resto della sua vita. Questo personaggio è forse il più intrigante dell'intera narrazione. La Monaca di Monza viene PROD descritta da Lucia come una ragazza sui 25 anni, molto bella ma offuscata dal suo vissuto e dalla tristezza celata nei suoi occhi. Lucia utlizzerà queste parole: "bellezza sbattuta, sfiorita, quasi scomposta". Già dai primi dialoghi con Lucia, possiamo scoprire che la Monaca ha un atteggiamento non conforme a quello religioso, infatti sotto il velo porta i capelli lunghi invece che corti così come la tonaca è più attillata rispetto a come viene portata dalle sue consorelle. Questo suo atteggiamento ribelle si giustifica con il fatto che lei si sia sempre opposta all'imposizione del padre di vederla suora, mentre lei avrebbe voluto vivere liberamente e sposarsi. Possiamo quindi inquadrarla come il personaggio che si oppone alla figura di Fra Cristoforo, simbolo della dedizione alla vita religiosa senza alcun pentimento. Gertrude è quindi vittima della mentalità del suo tempo ed è il ritratto di una persona che ha condotto due vite opposte: una imposta e l'altra libera, senza appartenere veramente a nessuna delle due. Azzecca- Garbugli Viene chiamato così dai popolani per la sua capacità di sottrarre dai guai, non del tutto onestamente, le persone disoneste e potenti. Spesso e volentieri aiuta i Bravi, poiché, come don Abbondio, preferisce stare dalla parte del più forte, per evitare una brutta fine. Renzo Tramaglino giunge da lui, nel capitolo III, per chiedere se ci sia una grida che possa condannare don Rodrigo. Inizialmente, l'avvocato crede che Renzo sia un bravo (infatti gli domanda che fine abbia fatto il suo ciuffo, ed il giovane gli risponde di non aver portato ciuffo in vita sua), e che sia stato proprio lui a commettere il torto, e cerca di rassicurarlo sulla sua abilità nel tirarlo fuori dai guai; però, chiarito l'equivoco e sentendo nominare il potente signore, respinge il giovane perché non avrebbe potuto contrastare la sua potente autorità. Egli rappresenta quindi un uomo la cui coscienza meschina è asservita agli interessi dei potenti. Compare anche nel capitolo V quando fra Cristoforo va al palazzotto di don Rodrigo e lo trova, così come il Conte Attilio, fra gli invitati al banchetto che si sta tenendo a casa appunto di don Rodrigo. Apparentemente, è un uomo di legge molto erudito e nel suo studio è presente una notevole quantità di libri, il cui ruolo principale è, però, quello di elementi decorativi piuttosto che di materiale di studio. Il suo tavolo invece è cosparso di fogli che impressionano gli abitanti del paese che vi si recano. Fisicamente è definito dal Manzoni come un uomo di media età, alto, asciutto, pelato, col naso rosso e una voglia di lampone sul viso, noto simbolo del vizio del bere. Porta una toga che funge da veste da camera. Questa descrizione mette in luce una connotazione negativa e allo stesso tempo ridicola dell'avvocato. Il suo nome Azzecca-garbugli è dovuto al fatto che «azzeccare» significa "indovinare" e «garbugli» "cose non giuste", quindi: indovinare cose non giuste. Lo ritroviamo nei seguenti capitoli: III,V,XI,XXV,XXXVIII Fra Pristoforo Figlio di un commerciante, prima di ricevere la vocazione e diventare frate cappuccino, si chiamava Lodovico; Manzoni non fornisce alcun cognome a questo personaggio. Grazie alla fortuna paterna cercava di introdursi negli ambienti della nobiltà ma rifiutato da questa come irrimediabilmente inferiore per nascita (il suo ultimo avversario lo definisce sprezzantemente vile meccanico), si immedesima nel ruolo di paladino dei più poveri. Lodovico, dopo essersi scontrato con un nobile e averlo ucciso in un duello provocato da cause banali, si rifugia in un convento di Cappuccini della sua città. Nello scontro rimane ucciso Cristoforo, fedele servitore di Lodovico, che riceve su di sé la spada destinata al padrone. Le due tragiche morti (il nobile arrogante con cui aveva duellato si pente amaramente e perdona Lodovico tramite il cappuccino accorso ad assisterlo) avviano alla fine un processo già incominciato di conversione e portano il giovane al cambiamento di vita cui aveva già altre volte pensato. Chiede quindi di essere accolto come postulante al convento stesso dove si è rifugiato. La sua decisione permette ai Cappuccini di evitare il prevedibile imbarazzo di difendere il diritto di asilo di un nemico di una potente famiglia, e alla famiglia dell'ucciso, che lo scrittore mantiene anonima, l'imbarazzo di scontrarsi con la Chiesa per ottenere vendetta. Nella soddisfazione generale Lodovico viene quindi rivestito del saio. In memoria del suo vecchio e amato servitore, come nome religioso Lodovico sceglierà il nome di Cristoforo, nome peraltro con una forte valenza religiosa significante "portatore di Cristo". Lo ritroviamo nei seguenti capitoli: III-VIII,XVIII,XIX,XXXV-XXXVII Don Rodrigo: Don Rodrigo (1590-1630) appare nell'opera ottocentesca di Manzoni come antagonista principale in quanto si oppone al matrimonio di due umili personaggi quali Renzo e Lucia, colei che ama. Incarna lo specchio del suo tempo, di quel Seicento di cui il Manzoni ci ha lasciato il quadro più vasto, multiforme e completo che sia mai stato fatto. Egli viene per la prima volta descritto indirettamente nel V capitolo dell'opera in cui fra Cristoforo giunge al suo "palazzotto". Lo ritroviamo nei seguenti capitoli: III,V-VII,XI,XVIII-XX,XXV,XXXIII,XXXV,XXXVIII Griso È il capo dei bravi al servizio di Don Rodrigo, del qual gode la massima fiducia e di cui è complice in molti crimini e malefatte. Il personaggio del Griso viene tratteggiato come un essere amorale, incapace di moti di compassione, a differenza de il Nibbio dell'Innominato nei confronti della rapita Lucia. Pur godendo della fiducia del padrone, il Griso non esita a tradirlo quando Don Rodrigo si ammalerà di peste: chiamati i monatti affinché lo portino al lazzaretto, il Griso deruberà il padrone per poi fuggire ma, ammalatosi a sua volta di peste, morirà prima di Don Rodrigo. Lo ritroviamo nei seguenti capitoli: VII, VIII,XI,XVIII-XX,XXXIII Conte Zio Potente rappresentante della famiglia, membro del Consiglio Segreto e zio del conte Attilio (cugino aiutante dell'antagonista don Rodrigo, cinico e amorale). Lo ritroviamo nei seguenti capitoli: XI,XVIII,XIX,XXXV L'Innominato: L'Innominato è una delle figure psicologicamente più complesse e interessanti del romanzo. Figura malvagia, è il potente signore a cui don Rodrigo si rivolge per attuare il piano di rapire Lucia Mondella. In preda a una profonda crisi spirituale, che lo porta a non riconoscersi più nelle sue malefatte, l'Innominato coglie nell'incontro con Lucia un segno, una luce che lo porta alla conversione; solo in un animo simile, senza vie di mezzo, una crisi interiore può portare a una trasformazione completa. Durante la notte in cui Lucia è prigioniera nel castello, la disperazione dell'Innominato è talmente forte da fargli desiderare il suicidio, ma ecco che la Divina Provvidenza e le parole di Lucia lo salvano e gli mostrano la via della misericordia e del perdono. La sua conversione giunge dopo la notte angosciosa, infatti quel giorno arriva nel suo paese il cardinale Federico Borromeo, personaggio storico. La scelta di Manzoni del personaggio per attuare la conversione non è certamente casuale: infatti solo un uomo di una grandissima bontà come il cardinale può redimere l'Innominato.