la poesia siciliana

74

Condividi

Salva

Iscriviti per mostrare il contenuto. È gratis!

Accesso a tutti i documenti

Unisciti a milioni di studenti

Migliora i tuoi voti

Iscrivendosi si accettano i Termini di servizio e la Informativa sulla privacy.

 LA POESIA SICILIANA
La letteratura francese e provenzale nell'Italia centro-settentrionale
Per lungo tempo in Italia si continuerà ad usare
 LA POESIA SICILIANA
La letteratura francese e provenzale nell'Italia centro-settentrionale
Per lungo tempo in Italia si continuerà ad usare
 LA POESIA SICILIANA
La letteratura francese e provenzale nell'Italia centro-settentrionale
Per lungo tempo in Italia si continuerà ad usare
 LA POESIA SICILIANA
La letteratura francese e provenzale nell'Italia centro-settentrionale
Per lungo tempo in Italia si continuerà ad usare
 LA POESIA SICILIANA
La letteratura francese e provenzale nell'Italia centro-settentrionale
Per lungo tempo in Italia si continuerà ad usare
Contenuti simili
Know Guinizelli e Cavalcanti: due poeti toscani del Medioevo thumbnail

3

44

4ªl

Guinizelli e Cavalcanti: due poeti toscani del Medioevo

Un confronto tra i concetti chiave della poesia di Guinizelli e Cavalcanti, due importanti figure letterarie del XIII secolo.

Know Rimatori Siculo-Toscani e Dolcestilnovo thumbnail

19

292

3ªl

Rimatori Siculo-Toscani e Dolcestilnovo

Riassunto con concetti chiave sui rimatori toscani e la nascita del dolce stilnovo

Know Dal medioevo allo stilnovo (=letteratura italiana)  thumbnail

108

1390

3ªl

Dal medioevo allo stilnovo (=letteratura italiana)

Medioevo La lingua--> latino e volgare Società e cultura cortese in Francia La società cortese L’amor cortese LE FORME DELLA LETTERATURA CORTESE, ecc….

Know “Guido, ‘i vorrei che tu e Lapo ed io” di Dante thumbnail

18

211

3ªl

“Guido, ‘i vorrei che tu e Lapo ed io” di Dante

Analisi e parafrasi

Know San Francesco d'Assisi e Jacopone da Todi thumbnail

73

1457

2ªl

San Francesco d'Assisi e Jacopone da Todi

Riassunto e appunti sulla vita e le opere di San Francesco d'Assisi e Jacopone da Todi

Know Poeti siculo-toscani  thumbnail

14

275

3ªl/4ªl

Poeti siculo-toscani

Poeti siculo-toscani, GUITTONE D'AREZZO, polemica di Dante,Dolce Stil novo

LA POESIA SICILIANA La letteratura francese e provenzale nell'Italia centro-settentrionale Per lungo tempo in Italia si continuerà ad usare le lingue originali dei testi (narrativa = francese, lirica= provenzale) poiché le due lingue appaiono insostituibili. In Italia i trovatori (sia provenzali sia italiani) cantano sia l'amor cortese sia i fatti d'attualità politica, con cui i poeti esprimono le aspirazioni di potere dei loro signori. La letteratura francese in Italia a partire dalla fine del XII secolo influenzò l'immaginario popolare, diventando il tema ricorrente di affreschi, sculture, leggende. Persino ai figli vengono attribuiti i nomi degli eroi del ciclo carolingio e arturiano: come dimostrano i registri parrocchiali dei battesimi, nell'Italia settentrionale si moltiplicano i casi di bambini chiamati Artù o di fratelli chiamati Orlando e Olivieri. Nella prima metà del XIII secolo, l'Italia settentrionale si trova ad accogliere i trovatori in fuga dalla Francia meridionale per effetto della violenta crociata indetta dal papa contro gli albigesi. Il regno di Sicilia di Federico II di Svevia Nei primi decenni del XIII secolo il Sud dell'Italia è governato da Federico II di Svevia, il quale, nel suo regno diede impulso a una scrittura poetica autonoma, in volgare siciliano: per dare prestigio culturale al suo progetto statale, il sovrano promuove una poesia in lingua locale. La lingua ufficiale...

Non c'è niente di adatto? Esplorare altre aree tematiche.

Knowunity è l'app per l'istruzione numero 1 in cinque paesi europei

Knowunity è l'app per l'istruzione numero 1 in cinque paesi europei

Knowunity è stata inserita in un articolo di Apple ed è costantemente in cima alle classifiche degli app store nella categoria istruzione in Germania, Italia, Polonia, Svizzera e Regno Unito. Unisciti a Knowunity oggi stesso e aiuta milioni di studenti in tutto il mondo.

Ranked #1 Education App

Scarica

Google Play

Scarica

App Store

Non siete ancora sicuri? Guarda cosa dicono gli altri studenti...

Utente iOS

Adoro questa applicazione [...] consiglio Knowunity a tutti!!! Sono passato da un 5 a una 8 con questa app

Stefano S, utente iOS

L'applicazione è molto semplice e ben progettata. Finora ho sempre trovato quello che stavo cercando

Susanna, utente iOS

Adoro questa app ❤️, la uso praticamente sempre quando studio.
Didascalia alternativa:

del regno rimane il latino, in cui si scrivono i documenti giuridici e politici, le opere carattere storico, i trattati ecc., ma il volgare cessa di essere una lingua soltanto parlata e si eleva a lingua letteraria. Per il fatto di essere composta in volgare dunque, la lirica dei siciliani, insieme con la contemporanea poesia religiosa in volgare umbro, si colloca all'origine della letteratura italiana. La scuola siciliana. Gli autori I rimatori che operano alla corte di Federico II per mecenatismo costituiscono la cosiddetta scuola siciliana. Il termine "scuola" indica un gruppo di poeti uniti da un modo di fare letteratura e si raccolgono intorno alla figura unificante di un promotore (in questo caso Federico II). Gli autori non sono poeti per professione: sono giudici, notai, segretari che fanno parte dell'apparato di governo del sovrano. La loro attività di poeti è secondaria rispetto funzionari dello Stato; ne è prova l'assenza di un termine che li designi in quanto poeti, com'era "trovatore" in Provenza. Nasce con i Siciliani la figura del poeta giurista laico. Il principale autore della scuola siciliana è il «notaro» (notaio) Jacopo da Lentini, che inventa la forma metrica del sonetto Le differenze tra la lirica trobadorica e la poesia siciliana I poeti siciliani leggono e consultano i codici della poesia trobadorica traendo da quel modello i temi, le situazioni e le immagini, che in seguito adattano alle proprie esigenze. Le principali differenze della poesia siciliana rispetto al modello provenzale sono: • i poeti siciliani selezionano tra i temi dei trovatori unicamente quello amoroso, escludendo tutti i riferimenti politici e di cronaca presenti in quella letteratura.; • la trattazione del tema amoroso si sposta dall'"oggetto" dell'amore al "soggetto" che prova la passione, scompare anche il senhal con cui viene indicata la donna; • viene meno lo stretto legame tra poesia e musica: Anche quando traducono nella propria lingua i testi provenzali, i poeti siciliani non trasferiscono nei propri testi la notazione musicale originaria; • viene usato esclusivamente il volgare locale. La trasmissione dei testi e la "rima siciliana" Le poesie della scuola siciliana ci sono giunte attraverso tre codici del tardo Duecento che contengono i testi siciliani tradotti in volgare toscano; ciò non ci consente di ricostruire il carattere originario del volgare letterario siciliano, se non per alcuni frammenti pervenutici in un codice cinquecentesco. La traduzione ha dato origine a un fenomeno di alterazione linguistica chiamato "rima siciliana", in cui rimano tra loro imperfettamente parole che nella lingua originale costituivano rima perfetta. La fine dell'esperienza siciliana L'esperienza della scuola siciliana si esaurisce con la morte di Federico II, nel 1250, effetto del forte legame personale tra la scuola e il suo promotore, che aveva rivestito un ruolo determinante per la nascita di essa. Il centro letterario italiano si sposta in Toscana e il volgare di questa regione, con l'unione di elementi fonetici e lessicali del siciliano, diventa la nuova lingua nazionale della letteratura. Jacopo da Lentini Di Jacopo da Lentini ci sono pervenute scarse notizie biografiche. Per la funzione di notaio rivestita al seguito di Federico Il è citato dai letterati contemporanei con il titolo «il Notaro» (e questo è il nome con cui Dante parla di lui nella Commedia). È considerato il poeta più illustre della scuola siciliana, e anche il probabile inventore del sonetto. Le sue poesie (14 canzoni e 24 sonetti) sono collocate all'inizio di un'antologia dei testi della lirica italiana delle origini, denominata "codice Vaticano Latino 3793", che è conservata nella Biblioteca Vaticana. Il manoscritto, di origine toscana, ordina i testi secondo un'intenzione storico-letteraria, partendo appunto da Jacopo da Lentini per giungere fino alle prime poesie di Dante: perciò il poeta siciliano è considerato l'iniziatore della lirica in volgare delle origini. Il modello a cui Jacopo da Lentini fa riferimento è la poesia dei trovatori provenzali, che egli rielabora, insistendo sull'analisi del sentimento d'amore e sull'esperienza interiore dell'io lirico. L'endecasillabo e il sonetto L'endecasillabo L'endecasillabo (dal greco hendeka, "undici", e syllabė, "sillaba") e il verso principale della tradizione lirica italiana. Si definisce endecasillabo ogni verso che abbia l'accento obbligato sulla decima sillaba. Ciò significa che l'endecasillabo può avere un numero variabile di sillabe: dieci se è TRONCO (e in questo caso l'ictus, ovvero l'accento metrico, coincide con l'accento grammaticale dell'ultima parola del verso, necessariamente tronca); undici se è PIANO; dodici se è SDRUCCIOLO Oltre all'accento principale obbligato vi sono poi altri accenti, sempre in posizione variabile. L'endecasillabo canonico, cioè quello considerato il più corretto dal punto di vista ritmico, prevede ha un accento mobile, che cade o sulla quarta o sulla sesta sillaba metrica, più altri accenti secondari. Nella declamazione del verso, alla parola su cui cade questo accento segue una pausa (cesura), che separa il verso in due parti (dette emistichi). Il sonetto Il sonetto è un componimento poetico costruito in modo regolare. La parola deriva dal provenzale sonet, diminutivo di son, "suono", e genericamente testo accompagnato dalla musica. Si sviluppa nell'ambito della scuola siciliana ma sulla sua origine non tutti gli studiosi concordano; sembrerebbe nato dalla canzone. Le prime attestazioni di questa forma si ritrovano nell'opera di Jacopo da Lentini, a cui si attribuiscono per questo l'ideazione e l'elaborazione del sonetto. I rimatori siculo-toscani La diffusione del modello siciliano nell'Italia centro-settentrionale A seguito della morte di Federico II (1250), si disperde rapidamente il gruppo di poeti che si era radunato intorno alla corte del sovrano. L'esperienza letteraria nata nella Magna Curia, si trasferisce nell'Italia centro- settentrionale, dove i testi siciliani vengono trascritti da copisti toscani e raccolti in canzonieri. Le città della Toscana e Bologna diventano la nuova area di irradiazione della poesia per tre principali ragioni: • le fitte relazioni politiche tra i funzionari-poeti della scuola siciliana e gli amministratori dei Comuni; i legami culturali dei funzionari di Federico II con l'ambiente dell'Università di Bologna, dove alcuni di loro avevano studiato; • il vivace contesto culturale ed economico dei Comuni settentrionali, la cui classe dirigente è costituita da cittadini dotati di cultura giuridica, filosofica e letteraria. Questi rimatori vengono definiti "siculo-toscani" poiché a partire dal modello siciliano elaborino un nuovo tipo di poesia in volgare toscano. Essi non costituiscono propriamente una “scuola”, ma agiscono in modo autonomo, uniti da una somiglianza di modelli tematici e di stile. La novità tematica e linguistica I modi lirici dei Siciliani, influenzano soprattutto l'area toscana, dove i poeti non sono più funzionari dipendenti da un sovrano, ma sono spesso impegnati nell'amministrazione dei Comuni e coinvolti nella lotta tra fazioni. Questa diversa collocazione sociale dei poeti comporta, una ripresa dei temi politici, già presenti nelle canzoni dei provenzali (sirventesi), ma esclusi completamente dalla scuola siciliana. I poeti siculo- toscani spesso accolgono nei propri testi argomenti della contemporaneità, la cronaca delle lotte tra le parti all'interno dei Comuni, il rimpianto per un passato perduto di autonomia cittadina. Questi temi sono per la prima volta espressi in una lingua poetica volgare partita dal siciliano; il volgare toscano si avvia così a diventare la lingua costituente della nostra. Gli autori principali e il caso di Compiuta Donzella Il più importante tra i poeti siculo-toscani è Guittone d'Arezzo, che compone un ricco canzoniere di cinquanta canzoni e oltre duecento cinquanta sonetti. Nel codice Vaticano Latino 3793, che raccoglie la lirica del Duecento, è compreso nel gruppo dei rimatori siculo-toscani anche il nome di una donna, vissuta a Firenze nella seconda metà del XIII secolo. Il suo nome, o pseudonimo, è Compiuta Donzella (che significa "fanciulla perfetta per virtù"); i critici si sono divisi tra chi ritiene che si tratti della prima poetessa della letteratura italiana e chi invece considera il nome femminile come l'invenzione letteraria di poeta maschio. Studi recenti sembrano tuttavia confermare l'identità femminile della poetessa, alla quale si rivolge anche Guittone d'Arezzo in una propria lettera, celebrandone le virtù. La trovatrice nei suoi testi tratta il tema della ribellione femminile all'autorità paterna, dove la fanciulla che non può amare chi desidera sceglie spesso la vita monacale (come Chiara d'Assisi). Guittone d'Arezzo Guittone d'Arezzo è la figura più significativa della poesia siculo-toscana, tanto che nell'Italia centro- settentrionale numerosi rimatori, i cosiddetti "guittoniani", diventano imitatori dei suoi modi poetici. Guittone nasce ad Arezzo intorno alla metà degli anni Trenta del Duecento da nobile famiglia e scrive testi poetici tra il 1260 e il 1294, l'anno della morte. È autore anche di numerose Lettere in prosa, rivolte a illustri personaggi guelfi del tempo, in cui tratta temi politici e morali in una lingua elaborata e artificiosa. Coinvolto direttamente nelle lotte politiche cittadine dalla parte guelfa, è costretto all'esilio a Bologna. Nel 1265 si converte a vita religiosa, lasciando la moglie e tre figli piccoli per entrare nell'ordine dei Cavalieri di Santa Maria, una congregazione religiosa che si proponeva di opporsi alle lotte tra fazioni. Il Canzoniere Il canzoniere che riporta le poesie di Guittone le divide in due parti: quelle che precedono la conversione, su temi prevalentemente amorosi e civili, e quelle successive, di argomento morale e religioso. La lirica amorosa di Guittone si modella su quella dei Siciliani e dei Provenzali; di questi ultimi riprende lo stile difficile e spesso oscuro (il trobar clus). Fanno parte della sua produzione poetica anche diverse canzoni politiche e morali, nelle quali Guittone, è diffidente verso ogni cambiamento e nostalgico del passato. Guittone d'Arezzo <Ahi lasso, or è stagion de doler tanto> La più celebre tra le canzoni politiche di Guittone (<Ahi lasso, or è stagion de doler tanto>) descrive gli effetti della sconfitta subita dai guelfi fiorentini a Montaperti, da parte dei ghibellini; seguendo i modelli poetici provenzali del sirventese (la canzone di tema politico) e del planh ("compianto") il poeta esprime dolore per l'esito della battaglia. La città è chiamata <Fior>, con una antonomasia che allude al giglio del suo stemma araldico, e viene assimilata attraverso la figura della personificazione a una fanciulla bisognosa di soccorso (<ella>). È tale la disperazione del poeta di fronte a tale sventura, che egli giunge a domandare a Dio, con l'amara apostrofe conclusiva, come abbia potuto permetterlo. Lo stile complicato e spigoloso di Guittone sarà oggetto di un giudizio fortemente critico da parte dei poeti della generazione successiva e in particolare di Dante, che lo considererà troppo contorto e chiuso e si proporrà apertamente di superarlo attraverso un linguaggio più nobile, raffinato e musicale, che nominerà <<dolce stil novo», mentre Cavalcanti lo accusa invece di esprimersi male in quanto privo delle adeguate conoscenze LA POESIA COMICO-REALISTICA La divisione degli stili: tragico e comico La differenza tra gli stili è rigidamente marcata nel Medioevo: lo stile alto e sublime, definito "tragico", è tipica di testi che trattano argomenti seri ed elevati (amorosi, eroici, morali), mentre lo stile basso, detto "comico", è adatto alla trattazione di temi legati alla realtà quotidiana e alla vita materiale. Le parole "tragico" e "comico", usate per definire gli stili, non indicano ciò che fa piangere o ridere. Tra il XIII-XIV secolo, si diffonde in Toscana la poesia comico-realistica con caratteristiche opposte rispetto alla poesia provenzale e siciliana, sia per la scelta degli argomenti, realistici, sia per lo stile, umile e quotidiano. Il suo modo espressivo è caratterizzato dal plurilinguismo, cioè dalla presenza di parole che appartengono a diversi livelli della lingua: avviene così che termini alti e nobili, subiscono un capovolgimento di significato (si parla in questo caso di "parodia") per l'accostamento con modi di dire plebei. i contenuti principali della poesia comico-realistica sono: • l'amore carnale per una donna spesso infedele, con espliciti riferimenti al desiderio sessuale; • il contrasto tra due amanti o tra marito e moglie, per gelosia, tradimenti, proposte respinte, come ad esempio accade nel testo di Rustico Filippi (oi dolce mio marito Aldobrandino) dove avviene un tradimento da parte della donna; • la celebrazione della ricchezza e di una vita dominata dai piaceri, e il lamento perché il denaro non basta mai; ● l'esaltazione dei piaceri del vino e del gioco d'azzardo insieme con gli amici nelle taverne; • le invettive contro la povertà, la sfortuna, la vecchiaia, i padri e le madri, le autorità in genere; La tradizione precedente Quando, i poeti comico-realistici cominciano a comporre i loro testi, circolavano già in Europa testi di ispirazione simile, ma scritti in latino. Erano i canti della poesia goliardica, cioè studentesca: la parola "goliardi" indicava infatti i giovani chierici che si spostavano tra le università delle grandi città, dove studiavano e conducevano una vita libera e dedita ai piaceri; il nome in latino di questi studenti era clerici vagantes. I vagantes trattano temi uguali alla poesia comico-realistica con la medesima consapevolezza culturale. La consapevolezza culturale dei poeti comico-realistici I poeti comico-realisti toscani si esprimono, in una lingua composita, stilisticamente di livello "comico" ma studiata negli effetti e con un'alta frequenza di artifici retorici. In quegli stessi anni si afferma in Toscana un orientamento poetico, il «dolce stil novo» (i cui principali esponenti sono Guido Caval canti e Dante Alighieri, con il loro precursore bolognese Guido Guinizzelli), che porta al culmine le caratteristiche dell'amor cortese, trasformando la donna in una creatura nobile e spirituale, che assume con notazioni angeliche. In opposizione a questo modello, i poeti comico-realistici disegnano invece figure femminili corporee e materiali, e dichiarano il proprio servizio al dio del piacere. Una prova del fatto che la poesia comico-realistica non è da intendersi come lo specchio della vita disonesta degli autori ma come una scelta stilistica, è il fatto che anche poeti impegnati nella letteratura "alta" (come appunto Guinizzelli, Cavalcanti e Dante) si cimentano in questo genere testuale. Gli autori principali Tra i principali autori, possiamo ricordare Rustico Filippi, detto «il Barbuto», popolano fiorentino di parte ghibellina, considerato l'iniziatore e il caposcuola della corrente; Cecco Angiolieri, senese, nato da una famiglia dell'agiata borghesia guelfa e morto quasi certamente in miseria. Un caso a parte è quello del siciliano Cielo d'Alcamo. Cielo d'Alcamo Rosa fresca aulentisima ch'apari inver' la state è un lungo componimento poetico che appartiene al genere del contrasto, costituito dallo scambio pungente di battute tra un uomo innamorato e una donna che egli vorrebbe conquistare. Il modello provenzale di riferimento è quello della "pastorella". I nome, Cielo d'Alcamo, è stato oggetto di discussione da parte degli studiosi: "Cielo" sembra sia una versione toscanizzata del siciliano "Miceli" (Michele), mentre sul cognome esistono due ipotesi: "dal Camo" oppure "d'Alcamo". La prima forma sarebbe un nomignolo giullaresco derivato dal termine latino medievale camus (riferimento all'abbigliamento bizzarro dell'autore); la seconda invece, più accreditata tra gli studiosi, sarebbe un'allusione al luogo di proveniente del poeta. Rustico Filippi Rustico Filippi, nato tra il 1230 e il 1240 e morto tra 1291 e 1300, è un popolano fiorentino, di parte ghibellina. Ha lasciato cinquantotto sonetti, divisi quasi simmetricamente tra le due opposte maniere poetiche: l'imitazione "seria" dei rimatori siculo-toscani sul tema dell'amor cortese, da una parte, e la trattazione di temi di carattere comico-realistico, attraverso la rielabora zione di testi goliardici, dall'altra. Rustico Filippi è considerato l'iniziatore del genere comico-realistico in Toscana. Cecco Angiolieri Cecco Angiolieri nasce a Siena verso il 1260, figlio di una potente famiglia guelfa del Comune: sua madre era di stirpe nobile, suo padre, fu per due volte amministratore della città, il nonno, è stato banchiere del papa. Sia il nonno sia il padre sono membri dell'ordine dei Cavalieri di Santa Maria, o “frati gaudenti". Cecco partecipa alle guerre dei guelfi senesi contro i ghibellini e probabilmente durante una di queste campagne militari conosce Dante, a cui invia almeno tre sonetti. Conduce una vita litigiosa e subisce multe e processi. Dopo la morte del padre Cecco dissipa il patrimonio di famiglia e si riduce in miseria. Muore intorno al 1312; un atto notarile testimonia che i suoi cinque figli, per non accollarsi i debiti, preferiscono rifiutare l'eredità. La poesia di Cecco è una manifestazione di sentimenti eccessivi (collera, disgusto, sdegno) e di improvvise crisi di malinconia, in un'alternanza di stati psicologici diversissimi e quindi di opposti registri di stile. I versi di Cecco non rappresentano uno specchio della sua vita sregolata: i suoi testi hanno una dimensione letteraria, obbediscono alle regole della poesia comico-realistica, da cui attingono temi e forme. le poesie di Cecco ribaltano i temi dell'amor cortese e stilnovistico, sostituendo deliberatamente al linguaggio raffinato e allo stile elevato di quella linea poetica un linguaggio popolare e uno stile basso. La loro forza espressiva è affidata all'uso sapiente di artifici retorici: le affermazioni iperboliche, la deformazione caricaturale del linguaggio, il rovesciamento parodistico, l'invettiva, le improvvise battute taglienti. IL DOLCE STIL NOVO Alla fine del Duecento, in Toscana, la poesia usa lo stile di Guittone d'Arezzo. Contro questa maniera di poetare ritenuta artificiosa e intellettualmente inadeguata si schierano all'inizio del Trecento alcuni poeti più giovani, desiderosi di ricongiungere la lirica alle radici della tradizione provenzale e siciliana. Tra questi poeti troviamo i fiorentini Guido Cavalcanti e Dante Alighieri, i quali riconoscono come loro predecessore il bolognese Guido Guinizzelli, e fa certamente parte del gruppo anche Cino da Pistoia. Per designare la poetica di questi rimatori, uniti soprattutto dall'intenzione di allontanarsi con nettezza dallo stile di Guittone, la storiografia letteraria ha scelto di usare, l'espressione "Dolce stil novo" (o Stilnovo), traendola da una formula usata nel Purgatorio dantesco. Inoltre Dante stesso, nel De vulgari eloquentia, traccia un percorso di storia letteraria che disponeva in linea di successione e di eccellenza - i trovatori provenzali, i siciliani e rimatori della nuova maniera toscana, escludendo proprio Guittone, l'indiscusso caposcuola della lirica del Duecento. Tra le forti personalità che costituiscono il ristretto nucleo dei poeti stilnovisti sembra prevalere lo spirito di indipendenza e la volontà di superarsi; lo dimostra l'amicizia tra Dante e Cavalcanti, che si stringe e si spezza definitivamente nel giro di pochi anni in cui dura il loro legame poetico. Le poesie degli stilnovisti furono raccolte nel manoscritto Chigiano L VIII 305, che contiene 543 componimenti e accoglie la sistemazione data da Dante alla storia della lirica in volgare, disponendo le opere dei poeti che oggi chiamiamo "stilnovisti" in successione ideale escludendo i testi di Guittone. Il Dolce stil novo non una vera e propria "scuola letteraria, ma un piccolo insieme di poeti accomunati dallo stesso gusto poetico. Le parole di Dante all'origine del Dolce stil novo Il testo stilnovistico di Dante è la Vita nova; nelle opere successive egli si volge a nuovi temi e nuove forme. Per sottolineare l'eleganza della nuova poesia egli cita se stesso, insieme con Guido Cavalcanti e Cino da Pistoia, come poeti sommi in lingua volgare, e attribuisce a Guido Guinizzelli il primato di iniziatore del nuovo modo di poetare. I caratteri del Dolce stil novo L'amore Il tema unico dei rimatori stilnovisti è l'amore. Essi sono convinti che l'amore sia un sentimento accessibile soltanto alle persone di animo nobile e di raffinata sensibilità e non accessibile alla gente «vile», cioè di coloro che non hanno preparazione culturale, poiché non sanno accogliere nel proprio animo l'elevatezza dei sentimenti e hanno interessi bassi e materiali. Per questi poeti inoltre scrivere d'amore non va inteso come dati autobiografici. Ciò che soprattutto interessa ai nuovi poeti è la fase dell'innamoramento, quello in cui l'amore colpisce all'improvviso e sconvolge l'equilibrio interiore. La rappresentazione di questo assalto è spesso compiuta attraverso metafore guerresche e gli effetti fisici dell'innamoramento sono descritti con il linguaggio della fisiologia: perdita dell'appetito, incapacità di dire parole ecc... La nobiltà spirituale e la rigorosa selezione del pubblico L'aspetto fondamentale dell'ideologia stilnovista è l'identità tra amore e animo nobile («Amore e 'l cor gentil sono una cosa», afferma Dante. È soprattutto per questa ragione che gli stilnovisti riconoscono nel bolognese Guido Guinizzelli, nato trent'anni prima di Dante, il proprio predecessore (nel Purgatorio, Dante lo definisce «padre»), cioè colui che per primo, nella canzone Al cor gentil rempaira sempre amore, ha associato il sentimento amoroso alla gentilezza» (parola che nel linguaggio medievale indica l'insieme di virtù possedute da un animo raffinato, colto e sensibile). Il primo a interessarsi alla poesia di Guinizzelli è Guido Cavalcanti, che individua nei suoi testi le qualità di distinzione e privilegio spirituale in cui si riconoscono i nuovi rimatori: è l'amore infatti per gli stilnovisti l'unica esperienza in cui è possi bile misurare l'eccellenza di un uomo. Essi respingono la concezione feudale della nobiltà di sangue e affermano che non basta nascere in una famiglia nobile per esserlo autenticamente: la vera nobiltà dipende dalle virtù interiori. Il pubblico a cui questa lirica si rivolge deve possedere le stesse doti dei poeti. I destinatari che gli stilnovisti considerano all'altezza della loro poesia sono i loro compagni rimatori, oppure le donne "gentili". Lo scavo interiore Al centro del discorso amoroso dei nuovi rimatori c'è l'analisi degli effetti dell'amore sull'io. Nelle poesie stilnoviste l'ambiente esterno perde importanza. Anche il rapporto diretto con la donna resta escluso: ella compie la propria apparizione. Si tratta di un'analisi dei sentimenti ma anche dei loro riflessi fisici perché, il turbamento psichico si riflette sul corpo marcandolo con segni ben riconoscibili. Caratteristica della poesia stilnovista, e soprattutto di quella di Cavalcanti, è la personificazione degli spiriti (cioè delle facoltà psichiche e vitali), che reagiscono all'attacco di Amore: l'anima, la mente, il cuore e gli organi in cui gli spiriti risiedono, prendono la parola, sospirano, lamentano la propria condizione. L'interiorità dell'io diventa una vera e propria scena teatrale. L'immagine della donna Nella poesia stilnovista la donna ha un'importanza centrale come causa scatenante dell'amore, ma resta sullo sfondo della rappresentazione. È questo un punto su cui gli stilnovisti si allontanano dalla poesia provenzale e siciliana. Scompaiono le figure che nella poesia trobadorica costituivano i possibili ostacoli alla relazione. All'immagine femminile è spesso associata la luce, in un'atmosfera di sacro stupore, ma raramente si incontrano elementi fisici che consentano di immaginarne i tratti. La bellezza della femmina è spiritualizza, divenendo più astratta e assoluta. Gli stilnovisti usano la similitudine della donna-angelo. Nel caso di Dante però, l'immagine acquisisce un valore del tutto originale, Beatrice infatti, non è soltanto bella come un angelo, ma è un angelo vero e proprio, mandato da Dio sulla Terra per salvare gli uomini. Lo stile delle nuove poesie è «dolce», ovvero scorrevole e trasparente. Amicizia e antagonismo Gli stilnovisti risultano sì uniti verso l'esterno, contro i comuni avversari, ma spesso in conflitto tra loro e dominati dal desiderio di superarsi l'un l'altro. Lo studioso dimostra l'esistenza di una vera e propria competizione interna soprattutto attraverso le tenzoni poetiche scambiate dagli stilnovisti. Due concezioni discordanti dell'amore: Cavalcanti e Dante I due principali protagonisti del Dolce stil novo, Cavalcanti e Dante, elaborano visioni dell'amore radicalmente diverse e assumono posizioni sempre più inconciliabili, fino alla definitiva rottura della loro amicizia. Si può seguire questo percorso attraverso la Vita nova di Dante, che si apre nel segno dell'amicizia con Cavalcanti (definito il «primo amico») e si chiude con l'enunciazione di un programma poetico molto distante da quello iniziale. Cavalcanti ha una visione laica e tragica dell'amore e ne evidenzia gli effetti distruttivi su chi non è ricambiato; Dante elabora invece una concezione religiosa e salvifica del sentimento amoroso. La svolta dantesca si attua, in cui il poeta spiega che si può lodare una donna anche se ella non corrisponde al sentimento, perché l'amore costituisce in sé un'occasione di salvezza. L'amore di Cavalcanti è dunque una passione che produce la sofferenza dell'io se non ottiene appagamento, mentre per Dante è un sentimento disinteressato, rivolto a una donna miracolosa che rappresenta sulla Terra l'amore divino. Guido Guinizzelli Guido Guinizzelli, è nato intorno al 1235; suo padre, era un giudice di parte ghibellina che possedeva diverse case in città e nel contado. Guido diventa anche lui giudice. Quando nel 1274 scoppiano disordini politici a Bologna e prevale la parte guelfa, i Guinizzelli vengono esiliati, ma probabilmente Guido muore prima di raggiungere il luogo stabilito per l'espatrio (1276). La novità della poesia di Guinizzelli I testi di Guinizzelli che ci sono stati tramandati, cinque canzoni e quattordici sonetti, trattano prevalentemente di temi amorosi; essi accolgono nell'ambito della lirica profana forme e immagini della poesia sacra. Al centro del discorso poetico c'è la lode della donna, la quale è accompagnata dalla luce e si manifesta come sole, stella, fuoco, fulmine, aria tersa, pietre scintillanti; l'abbaglio di questa luminosità ha un effetto paralizzante per l'innamorato. Dell'amata risaltano soprattutto gli occhi. La bellezza femminile è paragonata alle creature e agli elementi naturali, come avviene nelle preghiere dedicate alla Madonna. Sia le modalità della lode, sia le reazioni di sbigottimento dell'io anticipano i temi delle poesie di Cavalcanti e Dante, ma la vera ragione per cui Guinizzelli sarà considerato un maestro del Dolce stil novo è la canzone Al cor gentil rempaira semore amore, in cui è sostenuta l'identità tra amore e cuore gentile. La canzone La canzone è un componimento introdotto dai trovatori provenzali. Con Petrarca la canzone assume la sua forma definitiva: si parla per questo di "canzone antica" o "petrarchesca". In questa codificazione essa prevede un numero variabile di strofe, solitamente cinque o sette, dette "stanze”, composte di endecasillabi o di endecasillabi misti a settenari, anch'essi in numero variabile. Si divide in due parti simmetriche: • fronte, suddivisa in due "piedi", ciascuno composto da un uguale numero di versi; sirma (o sirima), che può essere “indivisa" o "divisa" in due parti uguali, dette "volte". Talvolta fronte e sirma sono collegate da un verso ("chiave"). Guido Cavalcanti La data di nascita di Guido non è nota, ma si può ricavare per congettura da alcuni documenti successivi, che lo mostrano già adulto e consentono di calcolare più o meno la sua età; in generale si ritiene sia nato tra il 1250 e il 1255. Egli riceve un'educazione elevata, e apprende le norme della cortesia e dell'arte cavalleresca; Alla fine del Duecento, a Firenze, Guido Cavalcanti è un uomo di grande prestigio, considerato una vera e propria autorità intellettuale a cui fare riferimento. Il suo testo più complesso, la canzone Donna me prega, il cui tema è la dottrina amorosa indagata secondo i principi della filosofia aristotelica, si diffonde rapidamente tra i letterati che citano Cavalcanti come uno specialista sommo dell'argomento. Alla fama di Cavalcanti contribuiscono però anche altri fattori. Innanzitutto la famiglia da cui proviene, una delle più importanti e ricche di Firenze. Dai documenti del Duecento si apprende che i Cavalcanti appartengono ai ceti dirigenti della città (i “magnati"). I Cavalcanti appoggiano la parte guelfa contro quella ghibellina e negli ultimi decenni del secolo si schierano dalla parte dei guelfi Bianchi. Cavalcanti è ammirato anche per la sua spiccata personalità: descritto dai contemporanei come un giovane dallo spirito fiero, amante dello studio e della solitudine ma anche facile ad accendersi nelle zuffe con i giovani fiorentini. Giovanni Boccaccio, afferma che Cavalcanti era assai bello, di nobili costumi e somma capacità di parola, e soprattutto agile e scattante. Del temperamento impetuoso e fiero di Cavalcanti abbiamo diverse testimonianze, ad esempio quella di Dino Compagni che racconta un episodio di battaglia cittadina di cui Cavalcanti è l'istigatore. Il giovane un giorno, incontrando per strada Corso Donati, l'odiato capo dei guelfi Neri che aveva cercato di ucciderlo mentre tornava da un pellegrinaggio a Santiago di Compostela, tenta a sua volta di trafiggerlo con un dardo, aizzandogli contro il proprio cavallo. Il colpo tuttavia va a vuoto ei compagni di Corso intervengono inseguendo Guido con le spade, ma poiché non riescono a raggiungerlo tentano vanamente di fermarlo con dei sassi. Compagni giustifica la violenza del suo gesto come legittima risposta al precedente agguato dell'avversario. L'impegno politico, l'esilio, la morte Nel 1267, Cavalcanti si fidanza con Bice, figlia di uno dei capi più in vista della fazione ghibellina. i matrimoni tra fazioni opposte facevano parte della politica di riconciliazione tra le famiglie avversarie. Negli anni successivi Guido continua a partecipare attivamente alla lotta tra le fazioni e ad assumere posizioni pubbliche di rilievo. L'ultima prova del suo spirito bellicoso si ha durante la processione di san Giovanni del giugno 1300, quando Cavalcanti viene coinvolto in uno scontro sanguinoso tra i giovani delle due parti avverse. Per porre fine alle violenze, i Priori del Comune, tra i quali sedeva in quel momento anche Dante Alighieri - stabiliscono di allontanare da Firenze i responsabili dei disordini. Cavalcanti viene esiliato a Sarzana, in una zona malsana e paludosa della Maremma dove si ammala forse di malaria; nell'agosto gli viene consentito di ritornare a Firenze, ma muore subito dopo il suo rientro in città, tra il 27 e il 28 agosto del 1300. La poetica I versi di Cavalcanti appaiono in stretta relazione con quelli degli altri poeti del tempo, con i quali egli intrattiene intensi rapporti soprattutto attraverso le tenzoni. Tra i suoi corrispondenti poetici ci sono Dante Alighieri. Cino da Pistoia, Dino Compagni e numerosi altri rimatori. a Guittone d'Arezzo ad esempio Caval canti indirizza un sonetto polemico in cui, per affermare la propria superiorità filosofica, giunge ad accusarlo apertamente di incompetenza. Nonostante la sua grande fama le sue rime ci sono giunte in modo frammentario, prive di un ordinamento dato dall'autore. L'insieme (il corpus) delle rime dell'autore comprende 52 componimenti, di cui 36 sonetti, 11 ballate, 2 canzoni, 2 stanze isolate di canzone e un mottetto, tramandati dal Chigiano. Poiché non è possibile stabilire una data di composizione che consenta di porre le rime di Cavalcanti in successione cronologica, gli studiosi le hanno ordinate in base ai temi, ai destinatari e allo stile. Il testo su cui si fonda la fama di Cavalcanti tra i contemporanei è la canzone Donna me prega, in cui l'amore viene esaminato nella sua natura e nei suoi effetti con riferimento alla dottrina aristotelica delle passioni. In base alla teoria averroista la felicità suprema consiste nella conoscenza, che eleva l'uomo alla perfezione intellettuale assimilandolo a Dio. Quando l'uomo nasce, I suo intelletto si trova in uno stato primitivo, simile a quello degli altri animali, che progressivamente progredisce nella conoscenza. Le passioni istintive e irrazionali, tra cui l'amore, costituiscono un ostacolo a questo processo. Colui che riesce a realizzare la soggezione delle facoltà sensitive (cioè proprie dei sensi) all'intelletto realizza il culmine della perfezione umana e si eleva a Dio. Si tratta di un percorso interamente umano, che prevede la possibilità di conseguire la suprema beatitudine non nell'aldilà, ma durante la vita sulla Terra; ciò spiega perché la dottrina averroista sia stata ritenuta pericolosa dalla teologia cristiana e formalmente condannata dal vescovo di Parigi nel 1277. L'amore tragico e l'apparizione della donna La teoria dell'amore di Cavalcanti è fortemente influenzata dal pensiero filosofico averroista: in quanto passione smisurata che nasce da un pensiero eccessivo che travolge l'intelletto e lo ottenebra, allontanando l'individuo da se stesso e impedendogli di dedicarsi all'attività speculativa in cui consiste la sua beatitudine. Per Cavalcanti dunque l'amore separa il soggetto dal suo intelletto e gli impedisce l'unica attività degna dell'uomo, quella del pensiero. Questa concezione tragica dell'esperienza amorosa non esclude l'esaltazione della figura femminile, perché è proprio lei che genera lo stato di sbigottimento e di alienazione dell'io. La donna appare all'orizzonte come una luce che si fissa nel pensiero scatenando una serie di drammatiche reazioni interiori. Il movimento degli spiriti nella scena interiore dell'io Una caratteristica propria della poesia di Cavalcanti è la cosiddetta “teatralizzazione degli spiriti", cioè la presenza di dialoghi in cui prendono la parola le facoltà vitali dell'uomo (gli spiriti appunto), che agiscono come veri e propri personaggi su una scena teatrale. Cavalcanti li rappresenta come esseri angosciati, in conflitto, in fuga, prossimi alla morte. Sulla scena dell'interiorità agiscono anche altri attori, come l'anima, il cuore, la mente: l'anima e il cuore sono travolti dall'angoscia amorosa, mentre la mente aspira ad afferrare l'immagine della donna, che però sfugge al suo dominio e appare inconoscibile. Questa situazione di inevitabile sconfitta si ripete di testo in testo. Il dinamismo che si può osservare nei testi riguarda le lotte interiori tra gli spiriti e le loro disfatte e fughe; all'esterno dell'io è invece assente qualsiasi sviluppo poiché manca una relazione con l'amata. Tutta l'attenzione resta concentrata sull'io. Il rapporto con Dante. La discussa incredulità di Cavalcanti Il rapporto tormentato tra Dante e Cavalcanti è la conseguenza della loro dura competizione che ambivano entrambi al ruolo di auctoritas poetica e filosofica della città. Il fatto che Cavalcanti fosse considerato dai suoi contemporanei come l'intellettuale volgare per eccellenza, non poteva andare a genio a Dante. Il rapporto tra i due era iniziato come un'amicizia ma si era progressivamente raffreddato, non soltanto per ragioni di ambizione personale, ma anche per le direzioni differenti prese a un certo punto dal loro pensiero. Da una parte c'è la filosofia averroistica di Cavalcanti, per cui la conoscenza è il sommo bene che assimila l'uomo a Dio; dall'altra c'è il pensiero religioso di Dante, che non crede che la conoscenza possa consentire all'uomo di giungere a Dio. Dante nelle opere successive alla Vita nova sminuisce Cavalcanti accusandolo di epicureismo (cioè di fare consistere la felicità dell'uomo nei piaceri terreni, negando l'immortalità dell'anima), un peccato intellettuale respinto a quel tempo da tutti i filosofi. Cavalcanti è un intellettuale dal pensiero indipendente, nei cui testi si trovano alcune tracce di scetticismo religioso (soprattutto in Donna me prega), ma non ateo come fu dipinto da Dante. Del resto alla sua morte venne seppellito nel duomo di Santa Maria del rio evidente che i contemporanei non lo ritenevano colpevole di ateismo. Le forme della scrittura e i riferimenti ai testi sacri La scrittura di Cavalcanti è ricorsiva: alcune parole chiave si collocano al centro dei testi e ritornano insistentemente, a pochi versi di distanza o in altre poesie. In particolare si ripetono le parole che appartengono al campo semantico della vista, poiché è attraverso gli occhi che inizia l'azione di amore, e a quello della battaglia e del dolore, che raffigura il conto degli spiriti. Tra le parole del dolore spicca per la sua frequenza «sbigottito» (parola introdotta per la prima volta da Cavalcanti nella lirica amorosa), ma anche <<pesanza», così come tutti i termini che hanno a che fare con la morte. La forma dialogica caratteristica della poesia di Cavalcanti è accompagnata dai verbi dichiarativi, come il verbo "dire". I destinatari del dialogo possono essere interni all'io (gli spiriti e le altre facoltà interiori) oppure esterni (la donna o in generale coloro che si intendono d'amore). Nelle invocazioni per ottenere ascolto e compassione spesso Cavalcanti si avvale di modelli biblici, quello ad esempio delle "Lamentazioni" (Lamentationes) di Geremia che esprimono il dolore per la distruzione di Gerusalemme.