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3ªm/1ªl
I pronomi
tipi di pronomi e spiegazione
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2ªl/3ªl
Le proposizioni latine+grammatica latina
Le proposozioni latine + grammatica
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spiegazione semplice di un complemento
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Il verbo
appunti sul verbo
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1953
3ªm
Analisi del Periodo
Analisi del Periodo fino a proposizione Finale
1761
9286
3ªm/1ªl
complementi
complementi analisi logica
Grammatica Italiana Morfologia La morfologia è quella branca della grammatica che studia le regole che presiedono alla formazione delle parole e alla loro flessione. Le parole, per quanto riguarda l'aspetto morfologico, possono essere classificate in nove categorie, dette comunemente parti del discorso. Le parole appartenenti a cinque di queste categorie sono variabili, cioè soggette a mutamenti di desinenza, mentre le altre quattro sono invariabili, cioè non soggette a variazioni di desinenza. Le cinque parti variabili del discorso sono: l'articolo, il nome, l'aggettivo, il pronome e il verbo. Le quattro parti invariabili sono: l'avverbio, la preposizione, la congiunzione e l' interiezione. Le parole possono, però, essere studiate e classificate anche in base alla funzione logica che svolgono in una frase. La branca della grammatica che studia le regole che presiedono alla collocazione e combinazione delle parole in base alla funzione logica che assumono in una frase si definisce sintassi. Quando si studiano le parole di un testo, classificandole sul piano morfologico si parla di analisi grammaticale. Quando si studiano le parole dal punto di vista sintattico si parla di analisi logica. Le parti variabili del discorso L'articolo È la parte variabile del discorso che si premette al nome, può variare in base al genere (maschile e femminile) e al numero (singolare o plurale). Es.: ho visto un...
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gatto; ho comprato il giornale; ho scritto la lettera. Esistono due tipi di articoli: determinativo e indeterminativo. Alcuni studiosi della lingua italiana hanno di recente aggiunto un terzo tipo di articolo, derivandolo dalla grammatica francese: l'articolo partitivo. ■ L'articolo determinativo, premesso ad un nome, precisa che esso indica qualcosa di determinato, di già definito, conosciuto a chi parla e a chi ascolta. Es.: ho comprato il libro; ho visto gli zii. L'articolo indeterminativo, premesso ad un nome, indica che questo non è qualcosa di ben definito, ma che resta sconosciuto a chi parla e a chi ascolta. Es.: ho comprato un giornale (cioè uno qualsiasi, non uno in particolare). L'articolo partitivo si usa invece per esprimere quantità indefinite. Es.: ho preso dell'acqua; ho visto degli amici. Tipologia Determinativo Indeterminativo singolare plurale singolare Numero Genere maschile: il, lo femminile: la maschile: i, gli femminile: le maschile: un, uno femminile: una Dalla presenza davanti a un nome di un oppure di un', si comprende se si tratta di un nome maschile oppure femminile: un artista è maschile, un'artista è femminile; un amico è maschile, un'amica è femminile. L'articolo indeterminativo non ha plurale; come tale si può usare il già ricordato articolo partitivo (Es. un amico, degli amici). È la parte variabile del discorso che indica una o più persone, uno o più animali, uno o più oggetti, ma anche idee, stati d'animo, sentimenti, attività. Es.: Marco è uscito; il giardino è pieno di fiori; un cane abbaia; ho provato una grande gioia. I nomi possono essere distinti in concreti e astratti. ■ I nomi concreti: indicano persone o oggetti che noi possiamo vedere e toccare, che cioè hanno una reale consistenza e cadono sotto i nostri sensi. Si distinguono, a loro volta, in nomi propri (che designano particolari individui di una specie o di una categoria; possono essere di persona, di animale o di cosa. Es.: Mario studia, Fido abbaia, l'Arno attraversa Firenze), nomi comuni (che indicano in modo generico uno o più individui di una specie o di una categoria e possono distinguersi in nomi comuni di persona, di animale o di cosa. Es.: i bambini, i gatti, le borse), nomi collettivi (pur essendo al singolare, indicano un gruppo di persone, animali o cose della stessa specie. Es.: il popolo, una mandria, una scolaresca, la flotta). I nomi astratti: sono quelli che indicano sentimenti, attività, idee, colori, determinazioni temporali, cioè qualcosa che non ha una consistenza materiale e che pertanto non si può vedere o toccare. Es.: la bontà, l'astuzia, il giorno, la mattina, la lezione, la gioia. Per quanto riguarda il genere, i nomi possono essere maschili o femminili, quando invece non c'è alcuna variazione si parla di nomi di genere comune, che presentano un'unica forma sia per il maschile sia per il femminile. Es.: il musicista, la musicista; l'artista (sia un uomo sia una donna); il nipote, la nipote. Per quanto riguarda il numero, vale in genere il seguente schema: Generalmente i nomi che: al singolare finiscono in -a (rosa, poeta) -o (mano) -e (monte) Esistono tuttavia delle eccezioni. al plurale terminano in -e/-i (rose, poeti) -i (mani) -i (monti) Alcuni nomi maschili che terminano in a, nel passaggio dal singolare al plurale non cambiano (Es. il vaglia/i vaglia; il gorilla/i gorilla). Alcuni nomi che al singolare sono maschili, diventano femminili al plurale, terminando in a (Es. il miglio/le miglia; il lenzuolo/le lenzuola). Alcuni nomi sono indeclinabili, hanno cioè la stessa forma al singolare ed al plurale (Es. gas, re, specie). Alcuni nomi mancano di singolare e sono pertanto usati solo al plurale; si dicono nomi difettivi (Es. le nozze, le esequie, i posteri). Alcuni nomi possono avere due singolari e due plurali (Es. orecchio/orecchia/orecchi/orecchie); un singolare e due plurali (Es. lenzuolo/lenzuola/lenzuoli); alcuni hanno due plurali con significato diverso (Es. osso/ossi (per gli animali)/ossa (per gli uomini). Si parla in questi casi di nomi sovrabbondanti. Esistono tipologie particolari di nomi. Tra queste ricordiamo le seguenti. I nomi primitivi: non derivano da nessun altro nome. ■ ■ ■ ■ I nomi derivati: derivano da un nome primitivo di cui conservano la radice (Es. osteria da oste). I nomi alterati: attraverso l'aggiunta di una desinenza acquistano significato diminutivo, vezzeggiativo, dispregiativo, accrescitivo. L'aggettivo È la parte variabile del discorso che si aggiunge ad un nome per meglio qualificarlo o determinarlo; si divide in due grandi gruppi: aggettivi qualificativi e aggettivi determinativi. I nomi composti: nascono dall'unione di due nomi (Es. capostazione), un nome ed un aggettivo (Es. terracotta), un verbo e un nome (Es. batticarne), due verbi (Es. lasciapassare). ■ Gli aggettivi qualificativi: accompagnano un nome per esprimerne una qualità o una caratteristica. Es.: una grande casa, un uomo gentile, un libro interessante, un vestito rosso. Gli aggettivi qualificativi possono essere di grado positivo se esprimono una qualità in misura normale; se invece vengono adoperati per fare un confronto, allora si dicono di grado comparativo; se esprimono la qualità in grado massimo, allora si dicono superlativi. Il grado superlativo può essere assoluto, se la qualità è espressa in sé al massimo grado, o relativo, se la qualità è posseduta al massimo grado rispetto ad altri. Buono, cattivo, grande, piccolo, alto, basso, oltre alle consuete forme del comparativo di maggioranza e del superlativo più buono, buonissimo; più cattivo, cattivissimo, ecc., hanno anche le seguenti forme: migliore, ottimo; peggiore, pessimo; maggiore, massimo; minore, minimo; superiore, supremo o sommo; inferiore, infimo. Gli aggettivi determinativi: si aggiungono al nome per meglio determinarlo. Essi si distinguono in: aggettivi possessivi, che indicano a chi appartiene qualcosa: mio, mia, miei, mie; tuo, tua, tuoi, tue, ecc.; per la terza persona plurale si usa loro, invariabile. Es.: i miei libri, i vostri quaderni, le loro matite; aggettivi dimostrativi, che indicano la posizione dove si trova qualcosa rispetto a chi parla: questo, che indica vicinanza a chi parla; codesto, che indica vicinanza a chi ascolta (ma oggi è caduto in disuso); quello, che indica lontananza e da chi parla e da chi ascolta. Es.: questa perla; mi rivolgo a codesto ufficio; vedi quell’uomo? ■ aggettivi indefiniti, che esprimono una determinazione generica, vaga, non bene definita: ogni, qualche, ciascuno, ognuno, certi, molto, poco, tanto. Es.: alcuni alunni; ho letto qualche libro; ho visto una certa persona; ogni abitante del villaggio, ecc.; ■ aggettivi numerali, che indicano il numero delle persone o degli animali o delle cose, oppure il loro posto in ordine progressivo. Si distinguono in cardinali: uno, due, tre, quattro, ecc.; ordinali: primo, secondo, terzo, quarto, quinto, ecc.; aggettivi interrogativi ed esclamativi, che sono utilizzati per introdurre un'interrogazione o un'esclamazione: che?, che!; quale?, quale!; quanto?, quanto! Es.: che libro hai preso?; che bella giornata!; quale giornale hai comprato?, ma quale aiuto mi hai dato! Sono aggettivi possessivi anche proprio (variabile) e altrui (invariabile). Es.: tutti amano la propria terra; non desiderare la roba altrui. In particolare, l'aggettivo proprio si deve usare nelle frasi impersonali. Es.: si deve compiere sempre il proprio dovere. Il pronome È una parte variabile del discorso che, come dice la parola stessa (dal latino pronomen), sta al posto del nome. I pronomi si distinguono in personali, possessivi, relativi, dimostrativi, indefiniti, interrogativi, esclamativi. I pronomi personali si adoperano per indicare persone: se si tratta della persona che parla, si ha il pronome di prima persona (io, plur. noi); se si tratta della persona a cui si parla, si ha il pronome di seconda persona (tu, plur. voi); se si tratta della persona di cui si parla, si ha il pronome di terza persona (egli o ella, plur. essi o esse) e possono essere usati in funzione di soggetto o di complemento. I pronomi egli ed ella si usano riferiti a persone, non a cose, mentre i pronomi esso ed essa sono in genere riferiti a cose o ad animali. I pronomi gli e le si usano, rispettivamente, in riferimento a una persona di genere maschile e a una di genere femminile e sostituiscono a lui e a lei. Es.: ho visto Marco e gli (a lui) ho restituito il libro; ho visto Anna e le (a lei) ho chiesto una cortesia. Persona 1a 2a ga Pronomi personali - Complemento Singolare me. mi te, ti lui, gli, sé, si lei, la, le sé, si, ne Plurale ce, ci ve, vi loro, li, sé, si, ne loro, le, sé, si, ne voi essi, loro esse, loro I pronomi possessivi: come gli aggettivi possessivi, tali pronomi indicano un possesso, un'appartenenza, ma, diversamente dagli aggettivi che accompagnano un nome, questi pronomi sostituiscono un nome. Essi sono: mio, tuo, suo, nostro, vostro, proprio, con le corrispondenti forme femminili mia, tua, nostra, vostra, propria; e plurali miei, mie, tuoi, tue, suoi, sue, nostri, nostre, vostri, vostre, propri, proprie, nonché loro e altrui. Es.: la mia casa è piccola, la tua è grande; il nostro viaggio è noioso, il vostro interessante. Bisogna saper distinguere il che pronome relativo dal che congiunzione e dal che aggettivo o pronome interrogativo o esclamativo: quando è un pronome relativo, può essere sostituito da il quale, la quale, ecc.; quando è un aggettivo interrogativo o esclamativo, accompagna sempre un nome e dà alla frase un tono rispettivamente interrogativo e esclamativo; analogamente, quando è un pronome interrogativo o esclamativo, sostituisce un nome non accompagnandolo. Es.: ho detto che non sono d'accordo (cong.); ho ritrovato il libro che (il quale, pron. rel.) avevo smarrito; che hai fatto? (pron. inter.); che sciagura! (agg. escl.). ■ I pronomi relativi: sostituiscono un nome, evitandone una fastidiosa ripetizione, e nel contempo congiungono due proposizioni che sono in stretta relazione tra loro. Es.: ho visto Maria, che è una mia amica (dove il pronome che evita di ripetere il nome Maria e, nel contempo, unisce le due proposizioni ho visto Maria e Maria è una mia amica). I pronomi relativi sono: che, il quale, la quale, i quali, le quali, cui, nonché le forme usate con le preposizioni al quale, alla quale, dei quali, delle quali, a cui, di cui, in cui, ecc. Es.: il libro che è sul tavolo è mio; la persona di cui ti ho tanto parlato è qui. Anche l'avverbio di luogo dove può essere usato con valore di pronome relativo. Es.: la città dove (nella quale) viviamo, è molto grande. ■ I pronomi dimostrativi: come i corrispondenti aggettivi dimostrativi, indicano persone o cose vicine a chi parla (questo) o vicine a chi ascolta (quello). Essi sono: questo, quello, stesso, medesimo, le rispettive forme per il femminile e per il plurale, questa, quella, questi, costui, costei, quegli, colui, colei, costoro, coloro. Es.: questo libro l'ho comprato, quello l'ho ricevuto in prestito. Ad essi va aggiunto il pronome dimostrativo invariabile ciò. I pronomi indefiniti: come i corrispondenti aggettivi indefiniti, indicano persone, animali o cose in modo vago o generico, ma, diversamente dai corrispondenti aggettivi che accompagnano un nome, questi pronomi sostituiscono un nome. I pronomi indefiniti, simili ai corrispondenti aggettivi indefiniti, sono: alcuno, altro, ciascuno, molto, nessuno, parecchio, poco, tanto, troppo, quanto, tutto e le corrispondenti forme per il femminile e il plurale. Alcuni indefiniti sono invece soltanto pronomi: ognuno, qualcuno, qualcheduno, chiunque, chicchessia (usati in riferimento a persone); qualcosa, alcunché, niente, nulla (usati in riferimento a cose). Es.: ciascuno sa il fatto suo; molti hanno preferito restarsene a casa; hai visto entrare qualcuno? Nessuno, niente e nulla nelle frasi negative rifiutano la negazione non se sono collocati prima del verbo, altrimenti la richiedono. Es.: nessuno mi ha cercato, non mi ha cercato nessuno. Pronomi interrogativi ed esclamativi: sono quei pronomi che, come i corrispondenti aggettivi interrogativi ed esclamativi, introducono delle proposizioni interrogative o esclamative, che sono chiuse, è bene ripeterlo, da un punto interrogativo o esclamativo. Sono: che, quale (quali), quanto (quanta, quanti, quante), analoghi ai corrispondenti aggettivi, nonché chi, usato solo come pronome. Es.: che hai visto?; chi è venuto a trovarti?; a quanti ti sei rivolto?; quanto ce n'è voluto! Il verbo È una parte variabile del discorso che indica un'azione, un modo di essere o uno stato. Es.: Mario partì per Milano; quel ragazzo è intelligente; quell'uomo versava in condizioni pietose. I verbi variano la desinenza a seconda del modo e del tempo, del numero (singolare o plurale) e della persona (prima, seconda o terza). Le modalità di queste variazioni costituiscono la coniugazione. A seconda delle modalità della coniugazione, i verbi si dividono in tre gruppi: prima coniugazione (quelli che all'infinito presente terminano in -are), seconda coniugazione (quelli che all'infinito presente terminano in -ere), terza coniugazione (quelli che all'infinito presente terminano in -ire). I due verbi avere ed essere non appartengono ad alcuna di queste tre coniugazioni, ma vengono definiti ausiliari, cioè sono utilizzati per coniugare tutti gli altri verbi in alcuni modi e tempi. Verbi transitivi e intransitivi: una grande distinzione che occorre fare è quella tra verbi transitivi e verbi intransitivi. I primi sono quei verbi che indicano un'azione che, dal soggetto che la compie, transita su un oggetto che la subisce o la riceve. Es.: Mario mangia un frutto; Gianni guida l'automobile; il professore interrogherà lo studente. I verbi intransitivi sono quelli che indicano azioni ben definite che non transitano su un oggetto, ma restano nel soggetto che le compie. Es.: il treno parte; il bambino gioca; Lucio scherza. Un modo rapido, ma efficace per distinguere i verbi transitivi da quelli intransitivi consiste nel porsi la domanda chi?, che cosa? Se il verbo in questione risponde a questa domanda, è un verbo transitivo; altrimenti, se risponde ad altre domande (per dove?, da dove?, per che cosa?), è un verbo intransitivo. Es.: Carlo scrive una lettera (scrive che cosa? Una lettera, allora è un verbo transitivo); Maria ritorna dall'ufficio (da dove?, allora è un verbo intransitivo). ■ Forme attiva, passiva e riflessiva: i verbi transitivi possono avere una forma attiva, se l'azione che indicano transita dal soggetto su un oggetto; passiva se l'azione che indicano è subita dal soggetto; riflessiva se l'azione che indicano non transita su un oggetto, né viene subita dal soggetto, ma, compiuta dal soggetto, si riflette sullo stesso. Es.: Lucia scrive una lettera (forma attiva); la lettera è scritta da Lucia (forma passiva); Lucia si pettina (forma riflessiva). I verbi intransitivi possono avere soltanto la forma attiva, in quanto l'azione che essi indicano si esaurisce nel soggetto che la compie. I verbi impersonali: sono quei verbi che si trovano coniugati soltanto alla terza persona singolare di ogni tempo e modo perché l'azione da essi indicata non può attribuirsi ad alcun soggetto. Sono generalmente verbi impersonali quelli indicanti fenomeni atmosferici, come piovere, nevicare, grandinare, tuonare; quelli che indicano necessità, occorrenza, convenienza, accadimento, come bisognare, convenire, occorrere, accadere, avvenire; quelli che indicano apparenza, piacere, dispiacere, come sembrare, parere, piacere, dispiacere, rincrescere. Il corretto uso degli ausiliari avere ed essere: i verbi avere ed essere sono detti ausiliari perché "aiutano" gli altri verbi nella coniugazione dei tempi composti. In particolare, il verbo avere funge da ausiliare per i verbi transitivi attivi e per alcuni verbi intransitivi usati in modo transitivo (ho ascoltato la sua voce; abbiamo salito i gradini uno alla volta). Inoltre l'ausiliare avere è usato nella coniugazione dei tempi composti di alcuni verbi intransitivi che esprimono un'attività fisica o morale, es.: abbiamo lavorato abbastanza; abbiamo riso, ha pianto. Invece l'ausiliare essere è generalmente usato nella coniugazione dei tempi composti della maggior parte dei verbi intransitivi (es.: è partito per Milano; siamo giunti ieri), nella coniugazione dei tempi semplici e composti dei verbi passivi (es.: sono stato premiato; siamo lodati; Carlo è interrogato), nella coniugazione dei ■ tempi composti dei verbi riflessivi (es.: si è pettinato; ci siamo lavati le mani), nella coniugazione dei tempi composti dei verbi impersonali (es.: è piovuto; è grandinato; è stato giusto). Persone, tempi e modi verbali: la coniugazione di un verbo consiste nella variazione della desinenza, che si aggiunge ad una parte fissa, detta radice, a seconda della persona, del tempo e del modo. I modi sono sette: indicativo, congiuntivo, condizionale, imperativo, infinito, participio, gerundio (i primi quattro sono detti finiti, mentre gli altri tre indefiniti). Le persone sono tre singolari (aventi per soggetto rispettivamente io, tu, egli o ella) e tre plurali (aventi per soggetto rispettivamente noi, voi, essi o esse). ■ I tempi si distinguono in semplici e composti: i tempi semplici sono costituiti da una sola parola; quelli composti sono costituiti dal participio passato del verbo che si vuole coniugare più il verbo ausiliare richiesto. ■ presente imperfetto Il modo indicativo è il modo della certezza e della realtà; è composto da quattro tempi semplici e quattro composti. passato remoto futuro semplice Tempi semplici indica un'azione che avviene nel momento in cui si parla (io ascolto, essi scrivono); indica un'azione che si è prolungata o ripetuta nel passato (io lavoravo, essi ascoltavano); indica un'azione compiuta nel passato, finita, cioè senza ite- razioni (partii per Milano, scrivemmo una lettera); indica un'azione che avverrà (partirò per Milano, usciremo più tardi). Il congiuntivo indica possibilità, dubbio, incertezza, ed ha i tempi presente, imperfetto, passato e trapassato. Il condizionale indica il compimento di un'azione in presenza di determinate condizioni o circostanze a cui si fa riferimento in un'altra proposizione ed ha i tempi presente e passato. L'imperativo esprime un comando ed ha il solo tempo presente (il cosiddetto imperativo futuro, in realtà, è l'indicativo futuro usato per esprimere un comando). I modi infiniti, o meglio indefiniti, in quanto non definiscono la persona del verbo, sono l'infinito, il participio e il gerundio. L'infinito indica la pura azione in riferimento soltanto al tempo, che può essere presente o passato. Il participio può avere non solo funzione di verbo ma anche di aggettivo o nome ed ha i tempi presente e passato. Il gerundio indica un'azione in relazione ad un'altra espressa dal verbo di un'altra proposizione ed ha i tempi presente e passato. Di seguito è riportata una sintetica tabella della coniugazione dei verbi regolari, distinti nei tre fondamentali gruppi dei verbi di prima coniugazione (desinenza dell'infinito presente in -are), seconda coniugazione (desinenza dell'infinito presente in -ere) e terza coniugazione (desinenza dell'infinito presente in -ire). 1ª coniugazione Presente io lodo tu lodi egli loda noi lodiamo voi lodate essi lodano 1ª coniugazione Imperfetto io lodavo tu lodavi egli lodava ecc. Passato remoto io lodai tu lodasti egli lodò ecc. Futuro semplice io loderò tu loderai egli loderà ecc. Passato prossimo io ho lodato tu hai lodato egli ha lodato ecc. Trapassato prossimo io avevo lodato tu avevi lodato egli aveva lodato ecc. Trapassato remoto io ebbi lodato tu avesti lodato egli ebbe lodato ecc. Futuro anteriore io avrò lodato tu avrai lodato egli avrà lodato ecc. Verbi regolari lodare, temere, partire CONIUGAZIONE ATTIVA 2ª coniugazione MODO INDICATIVO Presente io temo tu temi egli teme noi temiamo voi temete essi temono 2ª coniugazione Verbi regolari lodare, temere, partire CONIUGAZIONE ATTIVA Imperfetto io temevo tu temevi egli temeva ecc. Passato remoto io temei o temetti tu temesti egli temé o temette ecc. Futuro semplice io temerò tu temerai egli temerà ecc. Passato prossimo io ho temuto tu hai temuto egli ha temuto ecc. Trapassato prossimo io avevo temuto tu avevi temuto egli aveva temuto ecc. Trapassato remoto io ebbi temuto tu avesti temuto egli ebbe temuto ecc. 3ª coniugazione Futuro anteriore io avrò temuto tu avrai temuto egli avrà temuto ecc. Presente io parto tu parti egli parte noi partiamo voi partite essi partono 3ª coniugazione Imperfetto io partivo tu partivi egli partiva ecc. Passato remoto io partii tu partisti egli partì ecc. Futuro semplice io partito tu partirai egli partirà ecc. Passato prossimo io sono partito tu sei partito egli è partito ecc. Trapassato prossimo io ero partito tu eri partito egli era partito ecc. Trapassato remoto io fui partito tu fosti partito egli fu partito ecc. Futuro anteriore io sarò partito tu sarai partito egli sarà partito ecc. 1ª coniugazione Presente lodante Passato lodato Presente lodando Passato avendo lodato Verbi regolari lodare, temere, partire CONIUGAZIONE ATTIVA 2ª coniugazione MODO PARTICIPIO Presente temente Passato temuto MODO GERUNDIO Presente temendo Passato avendo temuto 3ª coniugazione Presente partente Passato partito Presente partendo Passato essendo partito 1ª coniugazione Presente che io lodi che tu lodi che egli lodi ecc. Imperfetto che io lodassi che tu lodassi che egli lodasse ecc. Passato che io abbia lodato che tu abbia lodato che egli abbia lodato ecc. Trapassato che io avessi lodato che tu avessi lodato che egli avesse lodato ecc. Presente io loderei tu loderesti egli loderebbe ecc. Passato io avrei lodato tu avresti lodato egli avrebbe lodato ecc. Presente loda (tu) lodi (egli) lodiamo (noi) ecc. Presente lodare Passato avere lodato ■ Verbi regolari lodare, temere, partire CONIUGAZIONE ATTIVA 2ª coniugazione MODO CONGIUNTIVO Presente che io tema che tu tema che egli tema ecc. Imperfetto che io temessi che tu temessi che egli temesse ecc. Passato che io abbia temuto che tu abbia temuto che egli abbia temuto ecc. Trapassato che io avessi temuto che tu avessi temuto che egli avesse temuto ecc. MODO CONDIZIONALE Presente io temerei tu temeresti egli temerebbe ecc. Passato io avrei temuto tu avresti temuto egli avrebbe temuto ecc. MODO IMPERATIVO Presente temi (tu) tema (egli) temiamo (noi) ecc. MODO INFINITO Presente temere Passato avere temuto 3ª coniugazione Presente che io parta che tu parta che egli parta ecc. Imperfetto che io partissi che tu partissi che egli partisse ecc. Passato che io sia partito che tu sia partito che egli sia partito ecc. Trapassato che io fossi partito che tu fossi partito che egli fosse partito ecc. Presente io partirei tu partiresti egli partirebbe ecc. Passato io sarei partito tu saresti partito egli sarebbe partito ecc. Presente parti (tu) parta (egli) partiamo (noi) ecc. Presente partire Passato essere partito Quando si hanno più soggetti di persona differente, se tra questi soggetti c'è una prima persona singolare, la voce verbale andrà alla prima persona plurale. Es.: tu, Mario ed io partiremo stasera. Se invece i soggetti sono di seconda e terza persona singolare, la voce verbale andrà alla seconda persona plurale. Es.: Tu e Lucio partirete domani. I verbi irregolari. Molti verbi seguono una coniugazione irregolare, cambiando la desinenza in modo diverso dai verbi modello delle coniugazioni regolari e talvolta cambiando anche la radice. Tra quelli di più frequente uso ricordiamo, per la prima coniugazione, andare, dare, stare; per la seconda, bere, chiedere, conoscere, crescere, decidere, dire, dovere, fare, piacere, potere, prendere, sapere, scrivere, tenere, togliere, vedere, volere; per la terza coniugazione, aprire, salire, uscire, venire. I verbi difettivi. Alcuni verbi sono detti difettivi perché mancano di alcune voci. Le forme più usate di alcuni verbi difettivi sono le seguenti: ■ · aggradare si usa la terza persona singolare dell'Indicativo Presente: aggrada fungere si usa solo nei tempi semplici ostare si usa solo alla terza persona singolare nelle frasi: nulla osta, nulla ostava, nulla ostò solere si usa nelle seguenti forme: Ind. Pres.: io soglio, tu suoli, egli suole, noi sogliamo, voi solete, essi sogliono; Ind. Imperf.: io solevo, tu solevi, egli soleva, ecc.; Cong. Pres.: che io soglia, che tu soglia, ecc.; Cong. Imperf.: che io solessi, ecc.; Part. Pass.: solito; Ger. Pres.: solendo urgere si usa nelle seguenti voci: Ind. Pres.: urge, urgono; Ind. Imperf.: urgeva, urgevano; Cong. Pres.: che urga, che urgano; Imperf.: che urgesse, che urgessero; Cond. Pres.: urgerebbe, urgerebbero; Part. Pres.: urgente; Ger. Pres.: urgendo vertere si usa nelle seguenti voci: Ind. Pres.: verte, vertono; Ind. Imperf.: verteva, vertevano; Pass. Rem.: verté, verterono; Fut. Sempl.: verterà, verteranno; Cong. Pres.: che verta, che vertano; Cong. Imperf.: che vertesse, che vertessero; Cond. Pres.: verterebbe, verterebbero; Part. Pres.: vertente; Ger. Pres.: vertendo Le parti invariabili del discorso L'avverbio L'avverbio è una parte invariabile del discorso che si colloca accanto ad un'altra parola, generalmente un verbo, un aggettivo o anche un altro avverbio, per precisarne o modificarne il significato. Es.: oggi restiamo a casa; ormai è troppo tardi; abbiamo lavorato molto. Gli avverbi si classificano in base alla forma (semplici, composti, derivati, locuzioni avverbiali) e al significato (modo, tempo, luogo, quantità, valutazione, interrogativi). Avverbi in relazione alla forma Semplici: non derivano da altre parole Composti: sono formati dalla fusione di due o più parole bene male molto poco Derivati: originati da un'altra parola Le locuzioni avverbiali sono gruppi di due o più parole, che svolgono la stessa funzione degli avverbi di modo: precisano il significato del termine cui si riferiscono di tempo: indicano il momento, la cir- costanza, la durata di un'azione Avverbi in relazione al significato di quantità: indicano una quantità ge- nerica, non ben definita Avverbio nel grado positivo di valutazione: esprimono un giudizio interrogativi: introducono una frase interrogativa diretta forse, mai, sempre, troppo, assai, qui, là, non, etc. soprattutto, che deriva da sopra + tutto; invero, che deriva da in + vero, almeno, che deriva da al + meno; frattanto, che deriva da fra+ tanto, etc. solennemente deriva da un aggettivo (solenne) più l'aggiunta del suffisso -mente; l'avverbio tastoni da un verbo (tastare) più il suffisso -oni etc. di luogo: indicano dove si svolge un'a- dietro, sopra, vicino zione o dove si trova qualcuno o qual- cosa di modo (nel complesso, in pratica, con attenzione); di tempo (fra poco, subito); di luogo (qui, dovunque, là); di quantità (all'incirca, di più, di meno); di giu- dizio (senza dubbio, di certo, di sicuro) meglio peggio più meno comunemente, visibilmente, volentieri, estremamente I gradi dell'avverbio Alcuni avverbi possono esprimere con un diverso grado d'intensità ciò che significano. Si hanno, quindi, un grado positivo, un grado comparativo e un grado superlativo, proprio come gli aggettivi qualificativi. Nel caso del grado comparativo, questo può essere di maggioranza, di minoranza o di uguaglianza; nel caso del superlativo, questo può essere assoluto o relativo. Es.: esco volentieri (grado positivo); Simone esce più volentieri con Mirko che con Paolo (grado comparativo di maggioranza); ho studiato meno di quanto pensassi (grado comparativo di minoranza); uscirò tardi come ieri (grado comparativo di uguaglianza); ho mangiato malissimo (grado superlativo assoluto); arriverò il più presto possibile (grado superlativo relativo). Alcuni avverbi formano il comparativo di maggioranza e il superlativo in modo particolare: tardi, presto, stasera molto, poco, alquanto, assai, abbastanza, parecchio proprio, sicuramente, neppure, quasi, circa, davvero Perché, Quando?, Quanto?, Come?, Dove? Avverbio nel grado comparativo di maggioranza Avverbio nel grado superlativo assoluto benissimo o ottimamente malissimo o pessimamente moltissimo pochissimo La preposizione è una parte invariabile del discorso che collega parole, gruppi di parole o frasi, mettendole in relazione tra di loro. Essa può precedere nomi e verbi, ma anche pronomi ed avverbi: es. la casa di Mario (precede un nome proprio) ha le pareti verdi; farò di tutto per vederti (precede un verbo); giocherò con lei (precede un pronome); studierò la lezione per domani (precede un avverbio). Es.: uscirò per recarmi a teatro (introduce un'intera frase). Le preposizioni possono essere distinte, in base alla forma, in proprie, improprie e locuzioni prepositive. Schema riassuntivo delle preposizioni Preposizioni proprie: hanno solo la funzio- ne di congiungere, collegare diverse parole e si distinguono in semplici e articolate semplici sono nove: di, a, da, in, con, su, per, tra, fra articolate sono formate da una preposizio- ne semplice più un articolo determinativo: del (de + il), al (a + il), dal (da + il), nel (ne + il), col (con+il), sul (su + il); con i generi ma- schile e femminile dello/della, allo/alla, etc. e plurale degli, agli, dagli, etc. Preposizioni improprie: sono degli avverbi, degli aggettivi o dei verbi che per la funzione che svolgono all'interno di un periodo assu-verbio) la sedia mono la forma di preposizioni Locuzioni prepositive: gruppi di parole che svolgono all'interno del periodo una funzio- ne prepositiva. In genere sono formate da una preposizione impropria più una propria, oppure due preposizioni proprie con in mez- zo un sostantivo Es. Durante (verbo) l'intervallo prenderemo un caffè. Il gatto si è accovacciato dietro (av- Es. insieme a, dietro a, insieme con, per mezzo di, a favore di, nell'intento di La congiunzione La congiunzione è una parte invariabile del discorso che mette in collegamento due o più parole di una frase o due o più frasi di un periodo, permettendo di esporre un pensiero in modo complesso e articolato.La congiunzione può unire due nomi che in una frase si trovano sullo stesso piano logico (es.: Paolo e Franco sono colleghi), può coordinare tra loro due frasi che svolgono la stessa funzione logica (es.: Paolo è anche simpatico, invece Franco è solo bello), può collegare tra loro due frasi di cui una è subordinata all'altra (es.: Paolo va allo stadio quando ci va Franco, in cui la frase introdotta dalla congiunzione, cioè “ci va Franco", è retta, quindi dipende, dalla frase “Paolo va allo stadio"). Le congiunzioni si possono distinguere in relazione alla forma, cioè per come si presentano, e alla funzione logica che svolgono tra gli elementi della frase o tra più frasi. Forma semplici: sono formate da una sola parola composte: sono formate dall'unione di due o più parole locuzioni congiuntive: sono formate da due o più parole distinte Funzione della congiunzione Coordinanti: uniscono parole che in una frase hanno la medesima funzione logica e gram- maticale (es. Giorgio è antipatico ma carino), oppure due frasi che sono sullo stesso piano logico sintattico (es. Lo critico ma gli voglio bene). Si dividono in: Copulative affermative/negative Disgiuntive Avversative Conclusive Esplicative Correlative Schema riassuntivo della congiunzione Finali Causali Temporali Consecutive Condizionali Concessive Avversative Modali Comparative e, o, ma, né, però, anche, quando oppure, sebbene, perché, affinché, poiché anche se, ogni volta che, anche quando quindi, pertanto cioè, ossia, infatti non solo/ma anche, né/né Subordinanti: collegano tra loro due o più frasi, stabilendo una relazione in cui la frase intro- dotta dalla congiunzione (detta subordinata) dipende dall'altra (reggente). Es. Non riesco a stu- diare (reggente), perché ho sonno (subordinata). Le congiunzioni subordinanti possono essere: Dichiarative che, come e, anche, inoltre, né, neppure, nemmeno o, oppure, altrimenti ma, però, tuttavia affinché, perché, in modo che poiché, giacché, siccome mentre, finché, quando così che, in modo che, tanto che qualora, se, perché benché, sebbene, anche se laddove, mentre come se, come piuttosto che, così come La congiunzione e, per ragioni di eufonia, diventa ed quando precede una parola che comincia con la vocale e (es.: ho giocato con Luca ed Emma) ed è sempre seguita dalla virgola in presenza di un'incidentale o di una frase di valore diverso (es.: siamo andati a casa di Marco e, come sempre, ci siamo divertiti). La congiunzione ma deve essere necessariamente preceduta dalla virgola solo quando contrappone due frasi (es.: è domenica, ma devo andare lo stesso a lavorare) e non può essere usata insieme ad altre congiunzioni avversative: non si dice ma però, ma invece, ma bensì, ecc.). L'interiezione o esclamazione L'interiezione, detta anche esclamazione, è la parte invariabile del discorso mediante la quale si esprime una sensazione, un sentimento di vario genere (gioia, paura, dolore, ecc.). L'interiezione è sintatticamente staccata dalla frase, cioè non è indispensabile al significato della stessa. Ad esempio, nella frase "ahi, mi sono fatto male al piede" l'interiezione esprime una sensazione di dolore, ma potrebbe anche essere omessa senza pregiudicare il significato della frase stessa.Le interiezioni si distinguono in: proprie, improprie e locuzioni interiettive. Schema riassuntivo delle interiezioni Proprie: svolgono la sola funzione esclamativa Uffà!, Ah!, Ehi!, Perbacco!, Suvvia!, Orsù! Improprie: sono costituite da parole che pos- Forza!, Avanti!, Dai! sono essere nomi, aggettivi, verbi, avverbi Locuzioni interiettive: sono costituite da Povero me!, Santo cielo!, Dio mio! gruppi di parole o brevi frasi Le onomatopee, parole che riproducono suoni e rumori, possono essere considerate simili alle interiezioni e sono spesso utilizzate nei fumetti: crash!, sob!, splash!, ecc. Alcune di esse derivano da verbi della lingua inglese: ad esempio, boom deriva da to boom (esplodere). Sintassi Un insieme di parole aventi un senso compiuto, che generalmente si conclude con un punto, è chiamato periodo. Un periodo è composto da una o più proposizioni, che sono degli insiemi di parole tra le quali necessariamente c'è un verbo. Per sapere quante proposizioni compongono un periodo, basta individuare i verbi. Analisi della proposizione Ogni proposizione è formata da diverse parti: tra queste alcune sono essenziali, come il soggetto e il verbo che, in analisi logica, si chiama predicato; altri sono secondari e perciò si dicono complementi. Il soggetto È il nome o pronome, che indica una persona, un animale o una cosa, che fa l'azione o di cui si parla o anche, in caso di un verbo passivo, che subisce l'azione. Esempi: Mario studia; la mela sta sul tavolo. Il soggetto può essere anche sottinteso, es.: ho letto un giornale (soggetto sottinteso io). Il predicato Il predicato è costituito dal verbo della frase. Si ha il predicato verbale quando il verbo esprime in sé un senso compiuto, cioè una precisa azione o una particolare condizione. Invece, quando la voce verbale, ad esempio del verbo essere, ha bisogno, per esprimere un senso compiuto, di essere accompagnata da un nome o da un aggettivo, insieme a quest'ultimo costituisce il predicato nominale, in cui la voce verbale si chiama più precisamente copula e il nome o l'aggettivo che l'accompagna si chiama nome del predicato. Es.: Gianni legge il giornale, Maria studia, il bambino gioca, la relazione è redatta dall'impiegato (dove i verbi in corsivo sono predicati verbali); Luigi è bravo, lo scolaro è negligente, voi siete volenterosi (dove i verbi, con gli aggettivi, anche questi in corsivo, costituiscono dei predicati nominali). L'attributo e l'apposizione Nell'analisi logica ogni aggettivo, sia qualificativo sia determinativo, che accompagna un nome si chiama attributo. Esso concorda sempre in genere e numero con il sostantivo che accompagna. Es.: ho indossato il vestito rosso; abbiamo letto un romanzo poliziesco; la mia automobile è nuova. Se ad accompagnare un sostantivo, allo scopo di precisarne meglio il significato, è un altro sostantivo, allora si ha un'apposizione. Molte apposizioni sono costituite da nomi indicanti determinazioni geografiche (il fiume Po, il lago Trasimeno), gradi di parentela (la sorella Giovanna, lo zio Alberto), professioni (il dottor Rossi, l'avvocato Bianchi), la nazionalità (il cartaginese Annibale), soprannomi (Scipione l'Africano). L'apposizione può essere preceduta anche da parole come da, come, già, in quanto, in qualità di, nella funzione di (esempi: Antonio, da bambino, giocava poco; Manzoni, in quanto poeta, scrisse gli “Inni sacri”; il Bianchi, nella funzione di presidente, diresse i lavori assembleari). I complementi Sono elementi della proposizione che, come dice la parola, svolgono una funzione complementare, indicando la persona, l'animale o la cosa su cui si compie l'azione espressa dal verbo, oppure il mezzo, la causa, il fine, il luogo per cui si compie o dove si compie tale azione. I complementi si distinguono innanzitutto in complemento oggetto (o diretto) e complementi indiretti. Il primo, che indica direttamente l'oggetto su cui transita l'azione espressa dal verbo, risponde alla domanda chi?, che cosa?. I complementi indiretti indicano invece persone, animali o cose su cui l'azione si ripercuote indirettamente, in quanto rappresentano il luogo dove si svolge l'azione, lo scopo, il fine, il mezzo dell'azione stessa, e sono generalmente introdotti da preposizioni, per cui rispondono a domande del genere: con chi?, con che cosa?, a chi?, a che cosa?, di chi?, di che cosa?, ecc. Complemento Preposizione Agente Argomento Causa Causa effi- ciente Compagnia e unione Concessione Fine o scopo Luogo: stato in luogo Luogo: moto a luogo Luogo: moto da luogo Luogo: moto per luogo Schema riassuntivo dei complementi indiretti Risponde Esempi alla domanda o locuzione che regge il complemento da di, su, circa, intorno a, riguardo a, ecc. Denominazione di per, da, a, in, a cau- sa di, ecc. da con, insieme con con, nonostante, malgrado, ecc. a, in, su, sotto, da, presso a, da, in, per, verso da, di da chi? (solo perso- ne o animali) per, da, attraverso (parlare, discutere) di che? su che cosa? per che cosa?, a causa di che? da che cosa? con chi?, con che cosa? nonostante, che cosa? a, da, in, per, al fine per che cosa?, allo di, allo scopo di scopo di che? di che nome?, quale nome o soprannome? dove? per dove?, verso dove? Mio zio è stato derubato da un ladro. Lo Stato di San Marino è nella pe- nisola italica. Nel mese di giugno si chiudono le scuole. Lavorano per lo stipendio. Abbiamo agito a fin di bene. È un gioco da bambini. Sono orgoglioso di essere nato a Napoli. Vivo in un quartiere di poveri. Sono andato dal mio amico Gianni. Parto per Milano. È ora di dirigerci verso casa. Mi recai a Firenze. Sono ritornato ieri da Londra. Usciremo di casa nel pomeriggio. per dove?, attraver- Ho camminato a piedi attraverso i so dove? boschi. Durante il nostro viaggio passere- mo per Bologna. Entriamo dalla porta principale. da dove? Carlo Magno fu incoronato impe- ratore dal papа. Non abbiamo discusso abbastanza riguardo a quell'affare. Abbiamo parlato molto di sport. Piansero dalla gioia. Non si sentiva bene a causa del raffreddore. Fu colpita da una scheggia. È uscita con il fidanzato. Vado a scuola con la cartella. Continuo a volerti bene, nonostan- te tutto. Con tutti i suoi difetti riesce simpa- tico. Materia Mezzo Modo o maniera Origine o provenienza Paragone Predicativo del soggetto Predicativo dell'oggetto Qualità Separazione o allontanamento Tempo determinato Tempo continuato Termine di Vocativo a, con, di, per, mediante, per mezzo di, ecc. a, con, di, in, per Schema riassuntivo dei complementi indiretti di che?, di quale materia? da Specificazione di da che?, da dove? come, di, che, quanto, rispetto a che cosa?, in confronto a che cosa? ecc. come, da, per, in qualità di, senza preposizione da con che cosa?, per mezzo di che? a, di, da, con, senza come? preposizione a, di, in, durante, prima, dopo, senza preposizione come?, in quale modo? per, senza preposizione come, da, in qualità come?, in qualità di Mi diedero come regalo un famoso di, per, senza preposizione che cosa? romanzo. Lo ebbero per professore. Lo elessero senatore. o, direttamente senza alcun con- nettivo Calzava sempre scarpe di cuoio. L'anello che porto al dito è d'oro. Vado a scuola con la bicicletta. Chiudere la porta a chiave. Si nutrono di ortaggi. La spedizione fu effettuata per corriere. da chi?, da che cosa? Ho parlato a voce alta. Sbriga le sue faccende con lentezza. Ho svolto quel lavoro di buon come?, in qualità di Luigi da bambino balbettava. che cosa? È stato eletto senatore. Lui fu conosciuto come padre di Antonio. grado. Tutti quegli errori furono compiu- ti in rapida successione. Discendo da una nobile stirpe. Il Po nasce dal Monviso. quando? Il tuo viso è rosso come un pomodoro. Mario è più alto di Antonio. Mario è alto quanto Antonio. Trovo in te più ingenuità che fur- bizia. E una ragazza dagli occhi verde smeraldo. È un atleta di grande agilità. Un uomo con i capelli corti. Non riuscivo a separarmi dal mio maglione rosso. Soltanto un giorno li separava an- cora dall'evento fatidico. Fu allontanato dall'aula. di chi?, di che cosa? La casa di Paolo è molto graziosa. I soldati del reggimento pattugliaro- no la città. Ti passerò a prendere dopo le venti. Festeggeremo giovedì prossimo. Alle ore venti comincia il telegior- nale. per quanto tempo? Ha piovuto per tre giorni consecutivi. L'anno scolastico dura nove mesi. Schema riassuntivo dei complementi indiretti a chi?, a che cosa? Abbiamo offerto il nostro aiuto ad un anziano in difficoltà. Ho restituito il libro al mio amico. O Carlo, ti prego, fammi questo favore. Signore, per cortesia, mi indica la strada? Per individuare il complemento bisogna considerare, più che la preposizione che lo regge, l'azione indicata dal verbo. Infatti una stessa preposizione può svolgere funzione logica diversa, a seconda dell'azione indicata dal verbo. Ad esempio, nelle frasi "parto per Torino" e "passo per Torino" vi sono due complementi diversi: nel primo caso, si ha un complemento di moto a luogo, nel secondo un complemento di moto per luogo. Altri esempi: vado a Milano (complemento di moto a luogo), vivo a Milano (complemento di stato in luogo). Analisi del periodo Il periodo è costituito da un insieme di proposizioni che possono essere principali o secondarie. Le prime sono delle proposizioni indipendenti, che potrebbero benissimo stare anche da sole in quanto hanno un senso compiuto (es.: ho comprato finalmente un'automobile nuova; presto visiterò mia zia ammalata). Si dicono invece secondarie quelle proposizioni che esprimono un senso che ha bisogno d'integrarsi con quanto espresso da altre proposizioni e, pertanto, dipendono dalla proposizioni principale o da qualche altra proposizione secondaria. Possono, a loro volta, reggere qualche altra proposizione (es.: usciamo in auto perché dobbiamo percorrere un tragitto molto lungo; molti sostengono che il linguaggio della politica è incomprensibile). Può tuttavia essere formato da una sola proposizione: in tal caso si dice che il periodo è semplice (es.: stasera andrò a teatro). Nel caso che il periodo sia formato da più proposizioni, si può avere un periodo composto o complesso. Si dice periodo composto quello costituito da più proposizioni principali (es.: stasera andrò a teatro, poi cenerò al ristorante e infine ritornerò a casa in taxi); il periodo complesso è quello costituito da una o anche da più proposizioni principali che reggono una o più proposizioni secondarie (es.: stasera andrò a teatro per vedere una commedia di Pirandello che mi interessa particolarmente). Inoltre un periodo può essere anche ellittico, nel caso la proposizione principale sia sottintesa (es.: perché sei andato a teatro? Per vedere una commedia di Pirandello). Il periodo ipotetico. L'unione di una proposizione principale con una proposizione subordinata condizionale costituisce un particolare costrutto chiamato periodo ipotetico (Es. Se vieni a Venezia, chiamami; se non piove, uscirò). Interrogativa indiretta Relativa Consecutiva Concessiva Schema riassuntivo delle proposizioni subordinate esprime una domanda o un dubbio in forma indiretta è introdotta da un pronome o da un avverbio relativo indica la con- seguenza di ciò che è espresso nella reggente indica una situazione nono- stante la quale si compie quanto espresso nella reggente Condizionale indica la condi- zione necessa- ria affinché si realizzi quanto espresso nella reggente aggettivo, pronome, con- aggettivo, pronome, avverbio, giunzione, avverbio inter- congiunzione interrogativa + ver- rogativo + verbo all'ind., bo all'infinito al cong. o al cond. Es.: Fammi sapere se stase- ra sarai con noi. Es.: Non so se andarci. Mi chiedo perché andare da loro. Non ricordo dove abbia messo quell'oggetto. che, cui, il quale, la quale, a, da, che, cui, il quale, dovunque + dove, dovunque + verbo verbo all'inf. oppure senza con- all'indicativo, al con- nettivo con il verbo al part. pres. giuntivo o al condizio- o passato. nale. Es.: È un'occasione da non perdere. Es.: Ho restituito il libro che avevo ricevuto in pre- stito. Sei una persona alla quale poter di- re tutto. Il lavoro, svolto alla perfezione, era stato apprezzato da tutti. Dovunque tu sia fammelo sapere. che, sicché, cosicché+ verbo all'indicativo o al condi- zionale Es.: È così stanco che non riesce a far nulla. Non ha studiato cosicché è stato bocciato. da+verbo all'infinito. Es.: È così bravo da meritare un pre- mio. benché, sebbene, quantun- pur, benché + verbo al gerundio o que, nonostante che, per al part. passato quanto, anche se + verbo Es.: Pur essendogli amico, non lo all'indicativo, al con- aiutò. Benché saputolo, non lo riferì a nes- suno. giuntivo o al condizio- nale. Es.: Sebbene abbia lavorato tanto, non ho guadagna- to abbastanza. Benché gli fossi antipatico, ti ha trattato con riguardo. Anche se tu lo volessi, non l'otterresti. se, quando, qualora, purché, a, a condizione di + verbo all'infini- a patto che, a condizione che + verbo all'indicativo o al congiuntivo. Es.: Se vieni a trovarmi, fammelo sapere prima. A condizione che tu studi, sarai promosso. to oppure senza connettivo al ge- rundio presente o al part. passato Es.: A sentirlo, non c'era da illudersi. Osservata da lontano, sembrava una bella casa. Modale Strumentale Avversativa Schema riassuntivo delle proposizioni subordinate indica il modo in cui si svolge l'azione espressa dalla reggente indica la circo- stanza attraverso cui si verifica quanto espresso dalla reggente svolgendo una funzione analo- ga a quella svolta dal complemen- to di mezzo nella frase ■ esprime qual- cosa di opposto rispetto a quan- to espresso nella reggente Comparativa stabilisce un confronto con quanto affer- mato nella reg- gente come, come se, nel modo in a, con + verbo all'infinito oppure cui + verbo all'indicativo, senza connettivo al gerundio pre- al congiuntivo o al con- sente. dizionale. Es.: A correre così, ti stancherai pre- Es.: Si è comportato come gli sembrava giusto. Spende come se fosse ric- chissimo. quando, invece, mentre, laddove + verbo all'indi- cativo o al condizionale. Es.: L'italiano non mi piace, mentre preferisco la matematica. Lavora, invece dovrebbe ri- posarsi. più... che, più... di, quello che, meno... che, meno... di quello che, meno... di quan- to, così... come, tanto... quanto + verbo all'indica- tivo, al congiuntivo o al ondizionale Es.: Sei più bravo di quan- to pensassi. Hai lavorato meno di quanto fosse necessario. sto. Ci venne incontro urlando come un matto. con, a furia di, a forza di + verbo all'infinito oppure senza connet- tivo al gerundio presente. Es.: Con lo sbagliare s'impara. Studiando assiduamente si otterrà la promozione. invece di, anziché+verbo all'infinito. Es.: Invece di oziare, dovrebbe lavo- rare. che, più che, più di, piuttosto che, piuttosto di + verbo all'infinito Es.: Piuttosto che studiare, continua a distrarsi. Il discorso diretto e il discorso indiretto Quando si riportano direttamente le parole pronunciate da una persona si ha il cosiddetto discorso diretto. È consuetudine racchiudere le parole testuali tra virgolette oppure farle precedere da un trattino. Inoltre il discorso diretto comincia per lettera maiuscola ed è introdotto con il segno d'interpunzione dei due punti. Es.: Giovanni e Maria annunciarono ai presenti: "Presto ci sposeremo". Si definisce discorso indiretto la modalità di riportare le parole pronunciate da una persona in modo indiretto, cioè nella forma narrativa. In questo caso, le parole che sono state pronunciate da un altro vengono introdotte dalla congiunzione che. Ovviamente si può passare dal discorso diretto a quello indiretto (e anche viceversa), ma ciò comporta alcuni cambiamenti: si aboliscono i due punti e il trattino o le virgolette tra la proposizione introduttiva e il discorso diretto; ■ ■ ■ ■ ■ La frase Mario afferma: “A me piace il calcio" diventa: Mario afferma che a lui piace il calcio; Maria disse: "Verrò a Roma" diventa: Maria disse che sarebbe venuta a Roma; il presidente annunciò: "Abbiamo vinto le elezioni" diventa: il presidente annunciò che avevano vinto le elezioni; Carlo disse: "Andrò a lavorare quando saranno partiti gli ospiti" diventa: Carlo disse che sarebbe andato a lavorare quando sarebbero partiti gli ospiti. Alcune regole di ortografia G L'uso della maiuscola Si usa la lettera maiuscola nei seguenti casi: ■ i pronomi di prima e di seconda persona diventano di terza persona e gli avverbi qui e qua diventano lì e là; ■ il complemento vocativo si trasforma in complemento di termine; il pronome dimostrativo questo diventa quello; infine bisogna prestare attenzione al tempo verbale in quanto, se nella proposizione introduttiva c'è un tempo al passato, il presente del discorso diretto diventa imperfetto, il passato sia prossimo che remoto diventa trapassato prossimo, il futuro semplice diventa condizionale passato o congiuntivo imperfetto e il futuro anteriore diventa congiuntivo trapassato; nel caso invece in cui nella preposizione introduttiva ci sia un tempo presente o futuro, i tempi del discorso diretto non cambiano passando nel discorso indiretto. nei nomi propri di persona e animale, nei cognomi, nei soprannomi; all'inizio di ogni frase; dopo il punto, il punto esclamativo, il punto interrogativo; all'inizio del discorso diretto aperto da virgolette; nei nomi di località (geografici o topografici); nei nomi dei popoli antichi (quindi si scriverà gli Etruschi, i Romani, i Greci); nei nomi di associazioni, partiti, istituzioni, ditte commerciali; nei nomi che indicano cariche o titoli se non sono accompagnati dal nome proprio; nei titoli di libri, giornali, opere teatrali e d'arte; nei nomi che indicano festività civili o religiose, epoche ed eventi storici, nomi di secoli; nei nomi dei corpi celesti; ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ nelle lettere quando si usano aggettivi e pronomi personali riferiti al destinatario della lettera (maiuscola reverenziale); nelle parole Stato (quando indica l'organizzazione politica di un popolo), Paese (quando indica tutta la nazione), Costituzione (quando indica la legge fondamentale di uno Stato); nei nomi che si riferiscono alla divinità o al culto (ad esempio Chiesa, Dio, Vergine) volendo attribuire un significato di maggiore importanza; nei nomi Mezzogiorno, Nord, Est, Ovest, Occidente, Oriente quando indicano aree geopolitiche. Quando si segna l'accento Si segna l'accento nei seguenti casi: sulle parole tronche che terminano per vocale, ad esempio città, tribù, carità, pietà; sui monosillabi che terminano con dittongo, ad esempio ciò, già, giù, più, può, con le eccezioni di qui e qua; sui composti di tre, re, blu, su, che (esempio: ventitré, viceré, rossoblù, lassù, perché, poiché); con i nomi della settimana che terminano in dì (lunedì, martedì, mercoledì, giovedì, venerdì); sui monosillabi che potrebbero confondersi con altri di significato diverso. Esempi: Da (preposizione): il treno che ho preso proveniva da Roma. Dà (verbo dare): mi dà fastidio arrivare tardi agli appuntamenti. Di (preposizione): sono uscito con l'auto di mio padre. Dì (= giorno): La sera del dì di festa. [Leopardi] Che (congiunzione e pronome relativo): il giorno che verrà. Ché (= perché): non chiedermi di uscire, ché sono stanco. E (congiunzione): Luca e Fabio sono colleghi di lavoro. È (verbo essere): Michele è una persona onesta. La (articolo): la sorella di Giulio è molto carina. Là (avverbio di luogo): sono tornato là, dove sono nato. ■ ■ Li (particella pronominale): possono anche urlare, ma io non li sento. Lì (avverbio di luogo): ti aspetterò lì, sotto quell'albero. Ne (particella pronominale): non ne dubito che mi vuoi bene. ■ Né (= neppure): Fabio non è antipatico, né brutto. Si (riflessivo): Maria si tinge sempre i capelli di rosso. Sì (affermazione): sì, è vero ciò che dici. Se (congiunzione e particella pronominale): se non fai tardi, ti aspetto. Sé (pronome riflessivo): lavorava sodo per sé e per i figli. È opportuno ricordare che il pronome personale riflessivo sé unito con stesso e medesimo si può scrivere senza accento: se stesso, se medesimo, poiché in questo caso non c'è possibilità di confonderlo con se congiunzione. Attenzione, non si accentano: 1) le note musicali (do, re, mi, fa, sol, la, si); 2) le forme verbali fa (terza persona singolare del verbo fare); sto, sta (prima e terza persona singolare del verbo stare); va (terza persona singolare del verbo andare); so, sa (prima e terza persona singolare del verbo sapere); i monosillabi come fu, qui, qua, tra, re, su, tre, Po (il fiume). L'apostrofo Quando una parola, non tronca e terminante per vocale, è seguita da un'altra che inizia anch'essa per vocale, si può produrre un suono sgradevole (cacofonia). Esempio: lo amico. In questo caso, la prima delle due vocali consecutive viene eliminata (elisione) e viene sostituita con un segno grafico (') che si chiama apostrofo, per cui si scriverà l'amico. Poiché questa regola grammaticale non è sempre obbligatoria (in qualche caso infatti l'elisione è facoltativa, in altri addirittura non consentita), è bene riepilogare quali sono i modi corretti dell'uso dell'apostrofo, onde evitare errori nella scrittura. L'elisione e, quindi, il segno dell'apostrofo sono obbligatori: con gli articoli lo, la e con le preposizioni articolate da essi formate (es. dello, della, allo, alla): l'amico, l'erba, dell'asino, dell'acqua, all'ultimo; con l'articolo indeterminativo una e le parole da esso derivate (alcuna, nessuna): un'anima, nessun'amica; attenzione: l'articolo indeterminativo un costituisce una forma a sé stante, non la forma elisa di uno; per tale motivo non deve essere mai apostrofato: si scrive un uomo e non un'uomo, un anno e non un'anno, un altro e non un'altro; dopo questo, quello, bello, santo: quest'uomo, quell'oblò, bell'albero, sant'Erminio; con gli avverbi ci e vi seguiti dal verbo essere che inizia per e; esempio: c'è, c'ero, v'è. L'elisione invece è facoltativa: ■ ■ ■ con l'articolo gli e le preposizioni articolate da esso derivate (es. agli, dagli, sugli), purché la parola seguente cominci con i: gli Italiani oppure gl'Italiani, quegli imbroglioni oppure quegl'imbroglioni; con la preposizione di: di estate oppure d'estate; ■ con le particelle mi, ti, si, ne: mi insegnò oppure m'insegnò, si incontrarono oppure s'incontrarono; con le particelle ci, vi: ci illuse oppure c'illuse, vi incolpò oppure v'incolpò; con la congiunzione anche, quando questa è seguita da pronomi personali: anche io o anch'io. L'elisione non è consentita: dopo la preposizione da: da allora e non d'allora, da affittare e non d'affittare; fanno eccezione le locuzioni: d'altra parte, d'altronde, d'ora in poi, d'ora innanzi; con l'articolo femminile le (plurale di la) e le preposizioni articolate formate con esso, specialmente se sono seguite da parole che iniziano per e: le erbe e non l'erbe (abbiamo visto che invece al singolare l'erba si apostrofa), dalle origini e non dall'origini; dopo l'articolo gli e le preposizioni articolate formate con esso, quando la parola inizia per a, e, o, u: gli alberi e non gl'alberi, gli eleganti e non gl'eleganti, gli orsi e non gl'orsi, gli uomini e non gl'uomini; davanti ai nomi che hanno il plurale invariabile: queste analisi e non quest'analisi, queste estasi e non quest'estasi poiché non si distinguerebbero dal singolare; con le parole inizianti con la i semiconsonantica (quando cioè la i precede un'altra vocale con cui forma dittongo): lo iodio, lo lonio, la iena. Parlando di apostrofo, ricordiamo che esso viene usato anche per abbreviare una data: i moti del '48, la rivolta del '68. Bisogna prestare molta attenzione a non confondere il segno dell'apostrofo (che indica la caduta di una vocale o di una sillaba) con quello dell'accento: po' = poco di' = dici (imperativo del verbo dire) va' = vai (imperativo del verbo andare) da' = dai (imperativo del verbo dare) fa' = fai (imperativo del verbo fare) La punteggiatura La punteggiatura è costituita dai segni di interpunzione: questi sono il punto (.), la virgola (,), il punto e virgola (;), i due punti (:), i puntini sospensivi (…..), il punto interrogativo (?), il punto esclamativo (!). La punteggiatura indica le pause, le intonazioni della voce, le domande e le risposte, in modo che chi legge abbia una comprensione chiara ed efficace del testo e sappia darvi anche la giusta intonazione espressiva. Solo in parte esistono regole rigide per l'uso della punteggiatura. Molto spesso l'uso della punteggiatura è del tutto personale ed è funzionale alla creazione di effetti espressivi particolari. Nella scrittura giornalistica, ad esempio, si tende a far uso di frasi brevi, chiuse dal punto fermo per dare un andamento veloce ed incalzante all'articolo. In ogni caso, un uso corretto dei segni d'interpunzione è fondamentale per una chiara e completa comprensione del testo. Con la virgola si è soliti indicare le pause più piccole e le sfumature del nostro discorso. La virgola, per questo motivo, è anche il segno più abusato e fonte di errori. Ed è proprio da questi che si partirà, ricordando che la virgola non deve mai essere posta: tra il soggetto ed il predicato (verbo); non si scrive: Franco, partì per Roma; ■ tra il predicato ed il complemento; non si scrive: Franco partì, per Roma; ■ dopo la congiunzione che, quando questa introduce una proposizione soggettiva o oggettiva; non si scrive: si dice che, Mario è un bravo ragazzo; tra la proposizione reggente e una proposizione interrogativa indiretta; non si scrive: non mi ricordo, che ora è. La virgola è, invece, usata: per separare nomi, aggettivi, avverbi o anche verbi elencati in una frase; in questo caso l'ultimo elemento è introdotto dalla congiunzione e al posto della virgola: nella stanza ci sono un tavolo, quattro sedie, un divano e una poltrona; per separare il complemento di vocazione: ragazzi, torniamo a casa; per separare un'apposizione: Del Piero, famoso calciatore, gioca nella Juventus; per racchiudere un inciso (in questo caso tra due virgole): Marco, dopo una lunga passeggiata, tornò a casa molto tardi; per separare le varie proposizioni di un periodo: la domenica mi alzo tardi, non studio, ascolto musica e guardo la televisione; davanti alle congiunzioni ma, però, tuttavia, bensì, anzi, che introducono una proposizione coordinata avversativa: vorrei uscire con te, ma ho un altro impegno; non parlo il francese, tuttavia ho compreso lo stesso ciò che hai detto; per separare la proposizione relativa dalla sua reggente: Mario uscì con l'auto, che era parcheggiata nel garage. Il punto indica una pausa lunga e viene usato per terminare una frase: sono andato a cena con Giulia. Si usa anche per abbreviare una parola: avv. / prof. / spett. Oppure si utilizza nelle sigle: O.N.U. (Organizzazione delle Nazioni Unite), O.M.S. (Organizzazione Mondiale della Sanità). Il punto e virgola indica una pausa maggiore di quella indicata dalla virgola; con questo segno si separano due o più proposizioni di un periodo: Franco e Mario sono laureati in Sociologia; Gianni e Maurizio in Giurisprudenza. I due punti esprimono una pausa che serve ad introdurre un chiarimento o una spiegazione di quanto si è affermato prima e si usano: ■ ■ per introdurre un'enumerazione: il professore spiegò i seguenti argomenti di geografia: i fiumi, i mari, le isole, i vulcani; per introdurre il discorso diretto: Fabio le chiese: "Stasera vuoi uscire con me?"; per introdurre la spiegazione di una parola o di una frase: è: voce del verbo essere. Il punto interrogativo si usa per concludere le domande dirette ed è posto quindi alla fine della domanda stessa: quando ti sposi? Il punto esclamativo, posto dopo una parola o alla fine della frase, serve ad esprimere meraviglia, stupore, gioia, dolore, ecc.: oh, che bella giornata!; ahimè!; che gioia!; che tristezza! I puntini sospensivi, espressi graficamente con tre puntini, indicano una pausa o addirittura una sospensione del discorso. Dopo i puntini sospensivi non deve essere usata la lettera maiuscola, tranne nel caso in cui essi concludono definitivamente un periodo: avrei dovuto studiare di più... Così si rammaricava Giorgio. I puntini (in genere inseriti tra parentesi quadre) sono usati anche per segnalare, in una citazione, una parte omessa del testo: [...] Pinocchio, tra i suoi amici e compagni di scuola ne aveva uno carissimo... [Collodi]. Le figure retoriche Con l'espressione figure retoriche s'intendono quei procedimenti stilistici per cui vocaboli o costrutti vengono utilizzati, sul piano grammaticale e lessicale, in modo diverso dal consueto per rendere più efficace il discorso. Sono particolarmente presenti nei testi poetici. Le figure retoriche possono distinguersi in figure foniche, in figure sintattiche e in figure semantiche (dette anche traslati o tropi). Le figure foniche, dette anche figure di suono, particolarmente rilevanti nei testi poetici, modificano o privilegiano determinati suoni. Le figure sintattiche modificano la struttura grammaticale di una frase, ad esempio invertendo l'ordine delle parole, per aumentarne l'efficacia. Le figure semantiche modificano, ad esempio arricchendolo o invertendolo, il significato di una parola o di un'intera frase. Le figure foniche Le figure foniche più importanti sono la rima, l'assonanza, la consonanza, l'llitterazione, la paronomasia e l'onomatopea. La rima è l'omofonia tra le ultime parole di due o più versi, ottenuta mediante la ripetizione di una o più sillabe finali di tali parole. Le rime possono essere variamente classificate, per cui si possono avere: ■ la rima baciata, quando due versi consecutivi fanno rima tra loro (AA); ad esempio: O cavallina, cavallina storna, /portavi a casa sua chi non ritorna! [Pascoli] la rima alternata, quando il primo verso fa rima con il terzo, il secondo con il quarto, ecc. (ABAB); ad esempio: Sempre un villaggio, sempre una campagna / mi ride al cuore (o piange), Severino: /il paese ove, andando, ci accompagna/l'azzurra vision di San Marino [Pascoli] la rima incrociata, quando il primo verso fa rima con il quarto, il secondo con il terzo (ABBA); ad esempio: Voi ch'ascoltate in rime sparse il suono / di quei sospiri ond'io nudriva 'l core/in sul mio primo giovanile errore/ quand'era in parte altr'uom da quel ch'i'sono [Petrarca] la rima incatenata, quando, nelle terzine, il primo verso fa rima con il terzo ed il secondo con il primo verso della strofa successiva e così via (ABA BCB); è la rima della terzina dantesca: Nel mezzo del cammin di nostra vita mi ritrovai in una selva oscura ché la diritta via era smarrita. Ahi quanto a dir qual era è cosa dura esta selva selvaggia e aspra e forte che nel pensier rinova la paura! L'assonanza si differenzia dalla rima perché consiste nella ripetizione soltanto delle vocali in due parole vicine o in fine di verso. Ad esempio, sono assonanze mare-sale; dolore-forte. ■ La consonanza consiste nell'identità di consonanti in due parole vicine o in fine di verso. Ad esempio: alquanto-talento; sale-solo. L'allitterazione consiste nella ripetizione di una lettera o di una sillaba, soprattutto ad inizio parola, in più parole successive; ad esempio: Di me medesimo meco mi vergogno [Petrarca]. Il bisticcio o paronomasia consiste nell'accostamento di due parole foneticamente somiglianti, ma diverse nel significato; ad esempio: Ch'i' fui per ritornar più volte volto [Dante]. L'onomatopea, infine, è la riproduzione di suoni non verbali mediante una parola o un fonema linguistico; tante sono le "parole onomatopeiche" che confermano un significato imitando un suono naturale ad esso collegato: miagolio, tintinnio, cinguettio, boato, ecc. Le figure sintattiche · ■ · L'ipèrbato: è un particolare costrutto in cui viene rovesciato l'ordine consueto delle parole; ad esempio: questa / bella d'erbe famiglia e d'animali [Foscolo]. L'ellissi: è un costrutto in cui si ha l'omissione di frasi o concetti importanti, che vengono lasciati all'intuizione del lettore; è usata per evitare, con inutili ripetizioni, di appesantire l'espressione. Ad esempio: Tu pensoso in disparte il tutto miri; / non compagni non voli [Leopardi]. Il parallelismo: è la corrispondenza di parole e/o costrutti sintattici. Es.: Eccomi un uomo / uniforme /eccovi un'anima / deserta [Ungaretti]. L'anastrofe o inversione: è il capovolgimento dell'ordine delle parole e/o delle proposizioni; ad esempio: O anime affannate/venite a noi parlar [Dante]. Il chiasmo: è la corrispondenza incrociata di parole e/o proposizioni. Es.: Or ride, or piange, or teme, or s'assecura [Petrarca]; Pace non trovo, et non ho da far guerra [Petrarca]. L'anàfora: è la ripetizione di una o più parole o di un'espressione all'inizio di versi o di frasi; ad esempio: Per me si va nella città dolente, / per me si va nell'etterno dolore, /per me si va tra la perduta gente [Dante]. Serve non solo ad accentuare un significato, ma anche a scandire il ritmo della poesia. L'antitesi: è l'accostamento, per mezzo di un parallelismo sintattico, di parole o frasi di significato opposto, allo scopo di sottolinearne il contrasto. Può definirsi una similitudine rovesciata. Ad esempio, nel verso Ali hanno late, e colli e visi umani [Dante], gli aspetti animaleschi (ali) sono I · · · · I · accostati a quelli umani (colli e visi). Particolarmente efficace è pure l'esempio seguente, tratto ancora una volta dalla "Divina Commedia" di Dante: Non fronda verde, ma di color fosco;/non rami schietti, ma nodosi e ʼnvolti; / non pomi v'erano, ma stecchi con tosco. ■ L'asìndeto: consiste nella coordinazione senza l'uso di congiunzioni; ad esempio: Le donne, i cavallier, l'arme, gli amori, / le cortesie, l'audaci imprese io canto [Ariosto]. La figura contraria è il polisindeto. Il polisindeto: è una varietà di anafora, consistente nella coordinazione per mezzo di ripetute congiunzioni; ad esempio: O selva o campo o stagno o rio / o valle o monte o piano o terra o mare [Ariosto]. L'anacoluto: consiste in una frase in cui la seconda parte non è unita alla prima in modo corretto sintatticamente; ad esempio: Come si dice di Ermotimo che l'anima gli usciva [Leopardi]. L'anadiplosi o riduplicatio: consiste nella ripetizione della/e parola/e con cui si conclude una frase all'inizio della frase successiva; ad esempio: Noi assistiamo, infermieri a volta a volta pazienti, impazienti, ai nostri grandi malati: malati di quella strana e talora paurosa malattia che è appunto la loro grandezza [Gadda]. L'apostrofe: consiste nel rivolgersi direttamente, attraverso un complemento vocativo, a persona o cosa assenti o diverse dal destinatario del messaggio poetico; ad esempio: O natura, o natura, / perché non rendi poi/ quel che prometti allor? [Leopardi]. Il climax: consiste in una successione di parole secondo un ordine ascendente di significato sempre più intenso o secondo un ordine discendente verso un significato sempre meno intenso. Esempi: Fieramente furon avversi / a me e ai miei primi e a mia parte [Dante]; E con virtude e con fortuna molta / l'urta, l'apre, ruina e mette in volta [Ariosto]. L'endiadi: consiste nell'espressione di un concetto per mezzo di due sostantivi coordinati anziché di due termini l'uno subordinato all'altro (nome più aggettivo o nome più complemento di specificazione). Ad esempio: la notte e il buio invece di la notte buia; nella strada e nella polvere invece che nella strada polverosa. La figura etimologica: consiste nella successione di due parole che hanno in comune la stessa radice etimologica; ad esempio: Esta selva selvaggia e aspra e forte [Dante]. Lo zeugma: consiste nel far dipendere da uno stesso verbo, anziché da due verbi distinti, due o più sostantivi o altre parti del discorso; ad esempio: Parlare e lagrimar vedrai insieme [Dante]. La personificazione o prosopopea: consiste nel personificare oggetti o concetti astratti facendoli agire o rivolgendosi ad essi come se fossero delle persone. Ad esempio: Italia mia, benché 'l parlar sia indarno/a le piaghe mortali/che nel bel corpo tuo sì spesse veggio [Petrarca]. La rima è l'omofonia tra le ultime parole di due o più versi, ottenuta mediante la ripetizione di una o più sillabe finali di tali parole. Le rime possono essere variamente classificate, per cui si possono avere: la rima baciata, quando due versi consecutivi fanno rima tra loro (AA); ad esempio: O cavallina, cavallina storna, /portavi a casa sua chi non ritorna! [Pascoli] la rima alternata, quando il primo verso fa rima con il terzo, il secondo con il quarto, ecc. (ABAB); ad esempio: Sempre un villaggio, sempre una campagna / mi ride cuore (o piange), Severino: /il paese ove, andando, ci accompagna / l'azzurra vision di San Marino [Pascoli] la rima incrociata, quando il primo verso fa rima con il quarto, il secondo con il terzo (ABBA); ad esempio: Voi ch'ascoltate in rime sparse il suono / di quei sospiri ond'io nudriva Le figure semantiche L'allegoria, dalle parole greche allos, "altro", e agoreuo, "parlo" ("dico qualcosa per fare intendere altro"): ricorre sovente ad una concatenazione di metafore ed è frequente nel linguaggio poetico. Mediante essa il significato di un termine, di una frase o di un intero testo rinvia a un significato più profondo e nascosto. In pratica, oltre il significato letterale, cioè il significato che si ricava da un testo intendendolo "alla lettera", ce ne può essere un altro, per l'appunto quello allegorico, a cui si perviene attraverso un ragionamento interpretativo. Ad esempio, nella Divina Commedia di Dante, il racconto del viaggio di Dante attraverso i tre regni dell'Oltretomba è l'allegoria del percorso di salvezza che deve compiere l'uomo, una volta caduto nel peccato, per riconquistare la salvezza. In particolare, nella terzina iniziale dell'opera dantesca (Nel mezzo del cammin di nostra vita/mi ritrovai per una selva oscura, / ché la diritta via era smarrita), la selva oscura indica lo stato di peccato in cui il poeta era caduto avendo smarrito la diritta via, che indica a sua volta la vita moralmente sana. A proposito dell'allegoria, bisogna precisare in quale rapporto questa sta con il simbolo. Solo apparentemente simbolo ed allegoria sono equivalenti: il simbolo, se è affine all'allegoria perché evoca qualcosa di "altro" ed il suo significato deriva da un procedimento interpretativo che mette in relazione due ambiti diversi, in realtà se ne differenzia. Infatti, nell'allegoria, l'accostamento fra l'entità reale (un oggetto, un animale, ecc.) e l'idea a cui questa viene accostata è un'operazione del tutto arbitraria, frutto di una convenzione culturale, mentre, nel caso di un simbolo, l'entità reale rimanda ad un'idea in base ad un'osservazione, ad un'esperienza comune. Un esempio servirà a chiarire quanto detto: nel primo canto della "Divina Commedia”, la lupa simboleggia l'avidità, e questo è largamente comprensibile, ma è, nel contempo, anche allegoria della Chiesa di Roma, accusata da Dante di essere avida di beni terreni, e questo risulta incomprensibile se non si conoscono la storia medievale e il pensiero del poeta fiorentino. In ogni modo, simbolo ed allegoria rimandano ad un rapporto che si viene ad instaurare, per mezzo di un processo d'astrazione, tra un'entità concreta ed una particolare idea. Con il simbolo, qualcosa di astratto (idee, passioni, sentimenti) viene concretizzato e reso dinamico: pensiamo, ad esempio, all'astuzia che è simboleggiata dalla volpe ed alla fedeltà che è simboleggiata dal cane. Invece, con l'allegoria, si esprimono idee e significati più nascosti, a volte anche astrusi, che comunque costituiscono una forzatura culturale, ideologica, della realtà. ■ L'analogia: è il confronto di immagini o situazioni prive di un legame logico. In pratica, si tratta di una similitudine fra ambiti della realtà anche molto diversi e senza fare ricorso al come da interporre fra i due termini. Ad esempio, Stamani mi sono disteso / in un'urna d'acqua /e come una reliquia / ho riposato [Ungaretti], è un'analogia che, in pratica, sintetizza la seguente similitudine: stamane mi sono disteso nell'acqua del fiume che mi ha avvolto come se mi fossi disteso in un'urna simile ad una reliquia. L'analogia, che ricorre frequentemente nella poesia di ogni tempo, è stata esaltata, in particolare, da poeti e correnti poetiche del tardo Ottocento e del Novecento (basti pensare ai simbolisti francesi, a Pascoli, ai poeti ermetici). L'ipallage: consiste nell'attribuire un aggettivo a un sostantivo diverso (sebbene contiguo) da quello a cui andrebbe propriamente attribuito; ad esempio: ivi posò Erittonio, e dorme il giusto / cenere d'llo [Foscolo] (dove l'aggettivo giusto è attribuito a cenere, qui di genere maschile e indicante la salma, ma in realtà si riferisce all'eroe troiano llo). ● L'iperbole: è una figura retorica consistente nell'esagerare, oltre la realtà, quanto rappresentato con un concetto. Sovente l'iperbole si ottiene ricorrendo a metafore straordinarie: Uno spirito celeste, un vivo sole / fu quel ch'i'vidi [Petrarca]. Anche nel linguaggio comune si ricorre spesso a delle iperboli: morire di fame, fare cose da pazzi, toccare il cielo con un dito, ecc. La litote: figura contraria all'iperbole, consiste nell'asserire un concetto non direttamente, ma negando il suo contrario; ad esempio: Don Abbondio... non era nato con un cuor di leone [Manzoni] (per significare che Don Abbondio era un vile). Nel linguaggio comune si ricorre spesso a tale figura retorica: non è certo un capolavoro (per dire che è un'opera scadente), non è mica stupido (per dire che è intelligente), non si vive poi tanto male (per dire che si vive bene), ecc. La metafora: è l'associazione di due parole che appartengono a due campi semantici diversi, pur avendo in comune una piccola porzione di significato. In realtà, la metafora è una similitudine in cui è nascosto o sottinteso il paragone; ad esempio, metafore come Achille è un leone, Ulisse è una volpe, occhi di cielo, capelli d'oro non sono che condensazioni, abbreviazioni di similitudini, che corrispondono rispettivamente a queste espressioni: Achille è (coraggioso come) un leone, Ulisse è (furbo come) una volpe, occhi (azzurri dal colore) di cielo, capelli (dal colore) d'oro. La metafora è una figura retorica largamente usata nel linguaggio poetico come pure nel linguaggio comune. Nella poesia ricorre frequentemente perché aggiunge ulteriori significati alle parole; essa è tanto più efficace quanto più è originale. La metonimia: è la sostituzione di una parola con un'altra, contigua o logicamente connessa. La metonimia, a cui si ricorre abbastanza di consueto anche nel linguaggio comune, può presentarsi in vari modi; i più comuni sono i seguenti: 1) quando si sostituisce il contenuto con il contenente: bere un bicchiere (invece di bere il vino contenuto nel bicchiere); 2) quando si sostituisce l'opera con l'autore: leggere Dante (invece di leggere le opere di Dante); 3) quando è espresso lo strumento al posto della persona che lo usa: Inclito studio di scalpelli achei [Foscolo] (dove scalpelli sta per artisti); 4) quando s'indica un luogo al posto di chi lo abita o di ciò che esso rappresenta solitamente: Sai che là corre il mondo ove più versi / di sue dolcezze il lusinghier Parnaso [Tasso] (dove Parnaso, il monte dove risiedeva Apollo, nell'antica mitologia greca, sta per poesia, di cui quello era il dio); 5) quando s'indica l'astratto per il concreto: i privilegi dell'aristocrazia (invece di dire i privilegi dei nobili); 6) quando s'indica il concreto per l'astratto: avere del 7) fegato (invece di dire avere coraggio, che si riteneva avesse la sua sede nel fegato); 8) quando s'indica l'effetto per la causa: sentire le campane (invece di sentire il suono delle campane); le sudate carte [Leopardi] (dove le carte, per essere oggetto di uno studio particolarmente impegnativo, sono causa di uno sforzo intellettuale); 9) quando s'indica la materia per l'oggetto: brandire il ferro (invece di dire brandire un'arma di ferro). L'ossimoro, dall'accostamento delle parole greche oxus (“acuto”) e moròs (“folle"), che vorrebbe significare "acutamente folle": è l'associazione inconsueta o particolarmente ardita di due termini logicamente incompatibili. L'accentuazione del contrasto accresce di significato il testo. Pensiamo, ad esempio, come il Tasso ha definito la bellezza della donna, nel contempo innocente in sé ed insidiosa per l'amante, in questo verso: O bellezza omicida ed innocente. Altri esempi possono essere le seguenti espressioni: una lucida follia, un silenzio eloquente, un'amara dolcezza, lacrime di gioia. ● ● La perifrasi, cioè il giro di parole per evitare ripetizioni ed espressioni troppo forti o che possono apparire sconvenienti. Nell'esempio che segue, una perifrasi che si stende su tre versi è usata da Dante per indicare l'invidia che dominava nella corte del sovrano Federico II di Svevia: 10) La meretrice che mai da l'ospizio 11) di Cesare non torse li occhi putti, 12) morte comune e delle corti vizio. L'eufemismo: è l'espressione che nel linguaggio parlato sostituisce un'altra ritenuta realisticamente cruda oppure moralmente biasimevole. Ad esempio: Quanti dolci pensier, quanto disio/menò costoro al doloroso passo! [Dante]; dove l'espressione doloroso passo indica l'adulterio. La similitudine, dal latino similitudo ("somiglianza"): è il confronto tra cose, situazioni, immagini, persone, per mezzo di avverbi o locuzioni avverbiali (come, alla maniera di), aggettivi (simile a, quale), ecc. È una figura retorica di largo uso in poesia e serve ad estendere o chiarire un significato ricorrendo ad un concetto di più facile comprensione. Ad esempio: Quali colombe dal disio chiamate/...cotali uscir della schiera ov'è Dido [Dante]. La sineddoche: è un caso particolare di metonimia, consistente nell'indicare qualcosa, anziché con un termine appropriato, con un altro termine avente col primo un rapporto di contiguità, ma non di tipo spaziale, temporale o causale, come nella metonimia, bensì quantitativo, cioè di una maggiore o minore estensione del significato. Si può indicare: la parte per il tutto (la vela per la barca, il tetto per la casa); il tutto per la parte (una borsa di coccodrillo per dire una borsa fatta di pelle di coccodrillo); la specie per il genere (il pane quotidiano per dire i mezzi di sostentamento); genere per la specie (i mortali per dire gli uomini); il singolare per il plurale (il nemico per dire i nemici); il plurale per il singolare (le mura domestiche per dire la propria casa). La sinestesia (dal greco, “unione di sensazioni”): è una sorta di metafora mediante la quale si accostano parole indicanti sensazioni appartenenti a sensi diversi. Un esempio, tratto dalla poesia Alle fronde dei salici di Salvatore Quasimodo, può chiarire quanto detto: All'urlo nero / della madre che andava incontro al figlio / crocifisso sul palo del telegrafo. L'urlo nero è una sinestesia perché vengono accostate due percezioni: una relativa all'udito (l'urlo), l'altra alla vista (nero). L'espressione poetica così prodotta rende efficacemente l'idea del dramma straziante di una madre disperata per l'uccisione del figlio. Altri esempi di sinestesia: pigolio di stelle [Pascoli]; l'aria soffiava luce di baleni/silenziosi [Pascoli]. I sinonimi Si parla di sinonimia quando due termini risultano intercambiabili all'interno del medesimo contesto senza apprezzabili variazioni di significato. Gli studi linguistici e psicolinguistici chiariscono che si possono stabilire sinonimie tra i termini secondo diverse regole: possono essere sinonimi due termini che esprimono una diversa generalità, intensità, emotività, moralità, professionalità, colloquialità, specificità dialettale, ecc. Il linguista Ullman (1966) riporta alcuni esempi: caldo e rovente sono sinonimi con diversa intensità, rigettare e declinare sono sinonimi che assumono una diversa coloritura emotiva, decesso è un sinonimo di morte usato maggiormente in un contesto tecnico-professionale, ecc. Il compito di individuare i sinonimi dei termini viene facilitato dal fatto che alle prove si prevede la scelta di un termine tra quattro o cinque alternative, per cui è possibile riconoscere il termine tra quelli proposti anziché recuperarlo dalla memoria senza alcun suggerimento. Verifichiamo ciò direttamente con un esempio: pensate ad un sinonimo di oberato. Alcuni non ricorderanno il significato del termine per cui non si sforzeranno più di tanto nel cercare di recuperarlo dalla memoria, altri proveranno una vaga sensazione di incertezza, altri ancora ce l'avranno "sulla punta della lingua", altri sapranno rispondere con esattezza e infine alcuni saranno convinti erroneamente di sapere la risposta. È evidente che con le alternative fornite dal test possiamo riconoscere il sinonimo grazie al fatto che lo vediamo stampato sulla pagina insieme ad altri termini. In questo caso il rischio di errore deriva più che altro dai distrattori (cioè dai termini alternativi che vengono immessi tra le risposte possibili al solo scopo di indurre in errore). ESEMPIO Indicare qual è il sinonimo di Oberato. A. Avvinazzato B. Impedito C. Aggravato D. Liberato E. Ingrassato In questo esempio, da considerarsi di difficoltà medio-bassa, il distrattore più efficace è la risposta B, Impedito. Infatti alcuni, pur sapendo adoperare appropriatamente il termine in una frase, potrebbero cadere in errore valutando il termine nella sua relazione conseguente: cioè se si pensa all'uso del termine oberato in una frase come "oberato da impegni”, si potrebbe proseguire con “dunque ostacolato o impedito nel fare una certa cosa", da cui potrebbe derivare la risposta errata. Naturalmente la risposta esatta è la lettera C, Aggravato. È stato inserito anche il significato contrario nella risposta D, Liberato. Anche il termine Ingrassato ha una sua logica in questo contesto: il fine è quello di trarre in inganno coloro che, non conoscendo il significato di oberato, si affidano ingenuamente all'ancoraggio per assonanza con una parola nota: obeso. I contrari I test verbali prevedono nella stragrande maggioranza dei casi delle prove di ricerca dei contrari di contenuti verbali, aggettivali, nominali ecc. La ricchezza del lessico è un prerequisito fondamentale per l'ottima riuscita in questo tipo di prove. È di aiuto anche in questo caso mettersi nei panni del redattore del test per evitare di cadere nelle "trappole" che è solito tendere. Il redattore sa che uno degli errori più frequenti in queste prove è dovuto alla pressione del tempo, quindi inserirà, tra le risposte, anche il sinonimo della parola stimolo. Inoltre, inserirà spesso anche un termine analogo al sinonimo e un termine in assonanza (di suono simile). È molto frequente, infatti, che la nostra risposta cada sul sinonimo anziché sul contrario del termine, proprio perché per abitudine è automatica la ricerca di una parola con significato simile anziché contrario a quella data. indicare il contrario di Abiurare. A. Disfarsi B. Convertirsi C. Rifiutarsi D. Cambiarsi E. Affrettarsi Il termine in questione ha una bassa frequenza di uso per cui risulta di difficoltà elevata. Osservando le alternative proposte, notiamo che è stato inserito il sinonimo, risposta C, accanto alla risposta corretta, Convertirsi. Qui, in caso di incertezza, è di aiuto costruire la frase con il termine e il suo contrario, come forma rafforzativa: "ha abiurato il cattolicesimo convertendosi al buddismo". (Si pensi per esempio a quante volte nei libri di storia si è letto che un sovrano ha abiurato una certa religione per abbracciarne un'altra). Prefissi e suffissi I prefissi sono particelle che, poste davanti alla radice di una parola, ne determinano il significato rafforzandolo (prefisso rafforzativo), capovolgendolo (prefisso inversivo) o precisandolo (prefisso illativo). ● I suffissi sono invece delle particelle che, aggiunte alla radice di una parola, concorrono alla formazione di una nuova parola. Il notevole sviluppo dei linguaggi settoriali delle scienze, delle tecnologie, della politica, ecc., ha portato alla proliferazione di una gran quantità di termini, formati da un nome o da una radice nominale che funge da base, sia italiana che straniera o anche latina o greca, e da prefissi e suffissi in gran parte derivati dal greco antico o dal latino. Riportiamo di seguito un elenco dei principali prefissi e suffissi in uso nella lingua italiana. Prefisso Significato del prefisso cino- circum- con- cosmo- crono- de- demo- dia- dis- eco- elio- emi- emo- endo- entro- etero- eu- extra- filo- fisio- fono- foto- geo- gero- gonio- idro- cane intorno insieme universo tempo al contrario popolo attraverso contrario, male ambiente sole metà sangue dentro dentro altro bene, buono al di là che ama, che è amico natura suono luce terra anziano angolo acqua Parole formate con il prefisso cinofilo, cinodromo circumnavigare, circumnavigazione convergere, convenire, consentire, consesso, con- vegno cosmodromo, cosmologia, cosmonauta cronometro, cronografo, cronologia, cronologico dequalificato, dequalificare, demotivato, demoti- vare, delegittimare, delegittimato, destituito, de- stituire, depennare, deportare, deportato democrazia, demografia, demagogia, democratico, demagogo, demografico diacronico disamore, disonore, disonorevole, disprezzo, di- sprezzabile, disarmonia, dismetria, disarmonico, disfunzione, disoccupazione, disoccupato ecologia, ecologico, ecosistema elioterapia, eliocentrico emisfero, emiplegia, emiparesi, emistichio emodialisi, emoderivati, ematico, ematuria endoscopia, endovena, endovenosa entroterra eterodossia, eterosessuale, eterologo, eterogeneo euforico, euforia, eugenetica, eutanasia extraurbano, extraorario, extracomunitario filosofo, filosofia, filantropo, filantropia, filologia, filologo fisioterapia, fisiologia, fisiatria, fisiatra, fisionomia fonografo, fonologia, fonetica, fonico, fonogramma fotografia, fotografo, fotografare, fotone, fotosinte- si, fotoreporter, fotocellula, fotogramma geografia, geologia, geografo, geologo, geocentri- co, geotermia, geotermico, geometria, geometra geriatra, geriatria, geriatrico, gerontocrazia goniometro idrante, idraulico, idraulica, idrico, idrocarburi, idrografia Prefisso Significato del prefisso a-(an-) aero- allo- ambi- ana- ante- anti- antropo- archeo- arci- auto- auto- avan- bibli- bio- cine- senza dell'aria diverso doppio sopra, indietro prima, davanti contro uomo primitivo, antico molto grande da solo, da se stesso automobile davanti, prima libro vita movimento, cinema Parole formate con il prefisso anonimo, analcolico, apolitico, afasico, analfabeta, analfabetismo, apolide aeroporto, aeroplano, aeromodellismo, aeromobi- le, aerostato allomorfo, allogeno ambiguo, ambivalente, ambidestro anacronistico, anamnesi antenato, antiporta, antefatto, anteprima, antipa- sto, anteporre antipatico, antifurto, antisemita, antipapa, antise- mitismo, antitesi, antitetico antropologia, antropologo, antropofago, antropo- morfismo archeologo, archeologia arciprete, arcipelago autoanalisi, autotassazione, autonomo, autonomia, automatico, automatismo autovettura, autoricambi, autostrada, autorimessa avanguardia, avanscoperta, avanspettacolo biblioteca, bibliografia, biblioteconomia, bibliote- cario biologo, biologia, biosfera, bioetica, biomasse cinetica, cinematica, cinematografo, cinefilo, cine- teca Prefisso in (im)- infra- inter- intra- iper- ipo- iso- macro- maxi- mega- meta- micro- mini- miso- mono- morfo- multi- necro- neo- neuro- Significato del prefisso al contrario tra tra dentro molto sotto uguale grande molto grande grande al di là piccolo, minuscolo molto piccolo avverso uno solo forma molto morte nuovo che riguarda i nervi Parole formate con il prefisso intollerabile, infido, implacabile, impossibile, in- successo, insospettabile, insopprimibile, intollera- bile, intolleranza, inappellabile, infallibile, inappli- cabile, insofferenza infrasettimanale, infrastrutture interlinea, intermezzo, internazionale, interplane- tario, interdipendenza, interconnessione intramuscolare iperattivo, ipertonico, iperemia, ipertrofico, iper- mercato iponimo, ipogeo, ipotermico, ipotonico isoterma, isobara, isocrona, isobata, isocrono, iso- dinamica macroscopico, macroeconomia maxiprocesso, maxicappotto, maxistruttura megalomane, megalomania, megawatt, megaohm metafisica, metafisico, metempsicosi microscopio, microscopico, microscheda, micro- processore, microspia, microstazione, microstoria, microonda, Micronesia, micromillimetro minigonna, miniatura, minicomputer, minicalco- latore, minigolf, minibus, minielaboratore, minia- bito, miniassegno, miniappartamento misogino, misoginia, misantropo, misantropia monolocale, monogamia, monogamo, monobloc- co, monoalbero, monoasse, monocamera, mono- colo, monologo, monolito, monolitico, monoplano, monoplegia, monopolio, monopolista, monopoliz- zare, monoposto, monoteismo morfologia, morfogenesi multiproprietà, multilaterale, multicolore, multila- teralità, multimilionario, multinazionale, multime- diale, multiplo, multipolare necrologio, necroforo, necropoli, necrosi, necrofa- gia, necrofago neologismo, neorealismo, neorealista, neoplatoni- co, neonazista, neolitico, neoplasia neurologo, neurologia, neuropatia Prefisso Significato del prefisso dopo, indietro retro- ri-e re- S- semi- sopra- e so- vra- stra- sub- super- sur- tecno- tele- termo- tetra- topo- tra(n)s- ultra- vice- ZOO- di nuovo al contrario (non) metà sopra molto, oltre sotto sopra, più grande troppo tecnica da lontano, a distanza calore quattro luogo oltre oltre, eccessivo in luogo di animale Parole formate con il prefisso retrovisore, retromarcia, retrogrado, retrobottega, retroterra, retroguardia, retrospettiva rifare, revisionare, ritornare, richiamare, rispedi- re, rimando, rimandare, richiamo, restituire, resti- tuzione, riordino, riordinare scontento, sleale, sfavorevole, spietato, smemorato, slegare, spaiato semiserio, semidio, seminfermità soprabito, soprannaturale, sopranazionale, sovrap- porre, sovrapposizione straordinario, straricco, strafacile subcosciente, subconscio, subacqueo, subumano, subalterno superuomo, superstrada, supersfida, superstite, su- perstizione, supersonico surriscaldato, surriscaldamento, surclassare tecnologia, tecnocrazia, tecnocrate, tecnico televisione, telecomunicazione, teleutente, telefe- rica, telegrafo, telefono, telefonia, telematica, tele- spettatore termostato, termosifone, termoregolazione, termi- ca, termoreattore, termonucleare, termoelettrico, termoidraulica tetrarchia, tetrafarmaco, tetraplegia topografia, topografo, toponomastica, toponimo, topografica transalpino, transessuale, transnazionale, trasfor- mazione, trasformare, trasporto, trasportare, tra- sferire, trasferta, trascorrere ultraconservatore, ultrareazionario, ultraricco, ul- trapovero vicepresidente, vicepreside, vicesegretario, viceco- mandante, vicedirettore zoologia, zoologo, zoochimica, zoofilia, zoocultu- ra, zoofilo, zootecnia, zootecnico Suffisso Significato del suffisso che svolge un mestiere che svolge un'attività dolore, sofferenza comando -aio -aiolo -algia -archia -crazia -dromo -eria -fero -filia -filo -fobia -fonia -fono -forme -foro -geno -gino -grafia -iatria -iere -ificio -ista -ite potere -logia corsa dove si svolge un'attività, dove si vende qualcosa che porta amicizia, amore che prova amore, pas- sione paura suono suono -grafo -gramma lettera, testo scritto -iatra medico forma che porta generatore donna scrittura, descrizione che scrive, che descrive cura che svolge un'attività dove si fabbrica che svolge un'attività una malattia discorso, studio Parole formate con il suffisso fioraio, macellaio, birraio, merciaio, calzolaio, pa- staio pizzaiolo, barcaiolo nevralgia, nostalgia, mialgia, lombalgia, sciatalgia monarchia, diarchia, oligarchia, tetrarchia, diar- chia, anarchia democrazia, tecnocrazia, aristocrazia velodromo, autodromo, motodromo acciaieria, birreria, macelleria, drogheria, cartole- ria, libreria, merceria, vineria soporifero, fiammifero, odorifero bibliofilia, pedofilia bibliofilo, cinofilo, cinefilo claustrofobia, agorafobia, sessuofobia, fotofobia sinfonia, polifonia vibrafono, telefono, interfono informe, filiforme, multiforme tedoforo cancerogeno misogino stenografia, geografia, cartografia, topografia, ti- pografia, litografia, serigrafia, ecografia geografo, stenografo, cartografo, topografo, tipo- grafo, ecografo, litografo telegramma, fotogramma, fonogramma geriatra, pediatra, fisiatra, laringoiatra, odontoiatra pediatria, geriatria, fisiatria, laringoiatria, odonto- iatria banchiere, biscazziere, droghiere calzaturificio, mobilificio, tomaificio, suolettificio automobilista, velista, turista, ciclista appendicite, tracheite, laringite, otite, sinusite, ton- sillite, neurite, encefalite, gastrite, laringite antropologia, geologia, biologia, cardiologia, astrologia, epatologia, filologia, psicologia