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Promessi Sposi capitolo 3
Promessi Sposi capitolo 3, Alessandro Manzoni
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Riassunto terzo capitolo de “I promessi sposi”
sintesi del terzo capitolo
40
759
2ªl
Terzo CAPITOLO Promessi Sposi
Sintesi/appunti
3
104
2ªl/3ªl
promessi sposi cap 3
riassunto
46
936
2ªl/3ªl
capitolo 5 dei Promessi Sposi
trama e particolari del quinto capitolo
155
2803
2ªl
promessi sposi capitolo 3
sintesi
Il 3 Capitolo dei Promessi Sposi Il capitolo si apre con la confessione di Lucia che racconta l'accaduto con Don Rodrigo, alla madre Agnese e a Renzo, in preda alle lacrime e grande rossore. Un giorno, infatti, mentre la giovane stava rientrando a casa si imbatte in don Rodrigo e un altro signore (che successivamente si scoprirà essere il conte Attilio, il cugino di Don Rodrigo) e don Rodrigo le rivolge le sue attenzioni, mostrando un forte interesse. Lucia, dopo essersi allontanata dai due uomini sente pronunciare loro la parola "SCOMMETTIAMO", come sarà chiarito nel capitolo 5, Don Rodrigo aveva scommesso di sedurre Lucia entro il giorno di San Martino (l'II novembre). Lucia scappa a casa e poi racconta in confessione a Fra' Cristoforo. Agnese, saputo ciò, si arrabbia perché la figlia non si è confidata con la madre. Lucia si giustifica con la madre dicendo che non voleva farla preoccupare. Tra l'altro Manzoni ci dice che Lucia aveva anche paura che Agnese sarebbe andata in giro a raccontare questa storia. Per questo motivo, Lucia, ha chiesto a Renzo di accelerare le nozze. Raccontando ciò Lucia arrossisce tutta, ciò evidenzia la pudicizia della giovane. Lucia, inoltre, non è una figura debole. La fede le conferisce forza e sicurezza. L'IDEA DI AGNESE... Agnese è sinceramente legata a due...
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Stefano S, utente iOS
Susanna, utente iOS
ragazzi, è una popolana concreta e propone una sua soluzione: quella di rivolgersi ad un avvocato, quindi ad un uomo di cultura. La donna parla attraverso modi di dire ed espressioni popolari e pensa che basti rivolgersi ad un avvocato per risolvere il problema. Suggerisce, quindi, a Renzo di recarsi a Lecco dall'avvocato Azzeccagarbugli, per chiedere se ci sia una grida che possa condannare don Rodrigo. La donna spiega al giovane che quello di "Azzecca-garbugli" è un soprannome (allude alla presunta capacità di sbrogliare le questioni giudiziarie), mentre il vero nome dell'avvocato non viene mai fatto. Spesso e volentieri aiuta i Bravi, poiché, come don Abbondio, preferisce stare dalla parte del più forte, per evitare una brutta fine. La madre di Lucia, vedendo l'approvazione dei due giovani, prende quattro capponi (polli castrati per raggiungere maggiore peso e conferire morbidezza alla carne) e li consegna a Renzo. Renzo si incammina allora verso Lecco. Lungo la strada, agitato e incollerito, dà continui strattoni ai capponi che ha in mano: le povere bestie, pur accomunate da un triste destino, si beccano tra loro. Ciò dà l'occasione all'Autore per riflettere sulla mancanza di solidarietà tra gli uomini, anche quando questi sono accomunati dalle sventure ("i quali intanto s'ingegnavano a beccarsi l'una con l'altra, come accade troppo sovente tra compagni di sventura"). Questo è un esempio di ironia manzoniana. Il dottor Azzeccagarbugli è un uomo servile, corrotto e ipocrita abituato a servire i potenti e a sottomettersi pur di non avere problemi. Può essere paragonato a Don Abbondio perché entrambi dovrebbero essere uomini dalla parte della giustizia e dei deboli ma che cedono facilmente al ricatto dei ricchi e dei potenti. È un personaggio secondario ed è descritto come un uomo alto, magro, con la testa pelata, il naso rosso (ciò è dovuto probabilmente al vizio del bere) e una voglia di lampone sulla guancia. LO STUDIO DI AZZECCA-GARBUGLI Giunto alla casa dell'Azzecca-garbugli e consegnati i capponi a una serva, Renzo viene fatto accomodare nello studio: uno stanzone disordinato, polveroso e un po' decadente in cui spiccano, alle pareti, ritratti degli imperatori romani (i dodici Cesari), simbolo del potere assoluto. Da questa visione possiamo trarre un'idea di Manzoni di disappunto a causa di una giustizia piena di confusione e disorganizzazione, comandata dai più forti e che di giustizia in se ne ha ben poca. L'EQUIVOCO Azzecca-garbugli scambia Renzo per un bravo e, per intimorirlo, legge confusamente una grida che annuncia pene severissime per chi impedisce un matrimonio. Ha qui inizio il tragicomico equivoco tra Renzo e l'Azzecca-garbugli che, credendo che il giovane si sia camuffato tagliandosi il ciuffo che contraddistingue i bravi, si complimenta con lui per la sua astuzia. L'avvocato comincia dunque a spiegandogli poi come farà a tirarlo fuori dai guai (ovvero subornando testimoni, minacciando le vittime e invocando la protezione dei potenti); in questa occasione viene citata la grida datata 15 ottobre 1627 in cui sono previste pene per chi minaccia un curato, documento che diede a Manzoni l'idea base per il romanzo. Nel dialogo tra Renzo e l'avvocato viene portato in scena un "mondo alla rovescia", nella quale le posizioni di vittime e colpevoli si invertono. L'avvocato infatti è disposto ad aiutare i potenti ingiusti e i loro dipendenti colpevoli, che violano le leggi sancite con tanta inutile precisione, non coloro che ne subiscono i soprusi. All'inizio dell'incontro quindi l'avvocato sembra disposto a soccorrere il giovane e accentua la gravità della situazione per indurre Renzo a fidarsi di lui. La situazione sembra capovolta poiché queste gride che legge Azzeccagarbugli sono utilizzate non per la giustizia, ma contro la giustizia, proteggendo il colpevole e portando la vittima dalla parte del torto. Quando Renzo fa il nome di don Rodrigo, l'avvocato va su tutte le furie e caccia via malamente il giovane, restituendogli i capponi che aveva portato in dono e non volendo sentire ragioni. LA VISITA DI FRA GALDINO Intanto Lucia e Agnese si consultano nuovamente tra loro e decidono di chiedere aiuto anche a fra Cristoforo. In quel momento giunge fra Galdino, un umile frate laico, in cerca di noci per il convento di Pescarenico, lo stesso dove vive il padre Cristoforo. La "cerca delle noci", una pratica usuale in quell'epoca, consisteva nel raccogliere le noci come offerta per poi portarle in convento. In questa situazione Lucia si rivela decisa, dotata di un'autonoma personalità e capace di imporsi alla madre: prima intima la madre di non fare accenno quanto successo. Mentre Lucia era via per prendere le noci, per eludere le domande del frate circa il mancato matrimonio si porta il discorso sulla carestia; Galdino racconta allora un aneddoto riguardante un miracolo avvenuto in Romagna. In un convento di frati cappuccini in Romagna viveva Padre Macario. Un giorno vide in un campo dei braccianti che si accingevano ad abbattere una pianta di noce; il frate esortò il proprietario a non farlo, nonostante quella pianta non producesse più frutti da diversi anni e gli promise che quell'anno l'albero avrebbe prodotto più frutti che foglie. Il benefattore, che si fidava del frate, ordinò ai braccianti di risparmiare l'albero e promise a Padre Macario metà del suo raccolto di noci. Purtroppo, però, quell'uomo morì prima di vedere lo straordinario raccolto di quell'anno, lasciando come erede il figlio, che era egoista e pensava solo a divertirsi e sperperare. Quando il frate tornò da lui per riscuotere il dovuto, egli si rifiutò di onorare la promessa fatta dal padre e lo cacciò. Un giorno, però, mentre si vantava della vicenda davanti ai suoi amici, li invitò a vedere la sua incredibile provvista di noci nel granaio, ma con enorme sorpresa vi trovò solamente un mucchio di foglie secche. La notizia del miracolo si diffuse rapidamente e quell'anno il convento ricevette così tante elemosine in noci che poté ridistribuirle ai poveri. Lucia dona a fra Galdino una gran quantità di noci affinché egli, non dovendo continuare la ricerca, possa recarsi subito al convento ed esaudire la sua richiesta di inviare presso di loro fra Cristoforo.