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Giovanni Pascoli - maturità

22/12/2022

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GIOVANNI PASCOLI (1855-1912)
1. VITA
Giovanni Pascoli nacque il 31 dicembre 1855 a San Mauro di Romagna, da una piccola famiglia
borghese ru

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GIOVANNI PASCOLI (1855-1912) 1. VITA Giovanni Pascoli nacque il 31 dicembre 1855 a San Mauro di Romagna, da una piccola famiglia borghese rurale agiata ed era una tipica famiglia patriarcale numerosa, lui era il quarto di dieci figli. Il nucleo familiare venne sconvolto da una tragedia che segnò l'esistenza del poeta: il 10 agosto 1867, mentre tornava a casa, il padre Ruggero fu ucciso a fucilate da un rivale che aspirava a prendere il suo posto. I responsabili non furono mai individuati per omertà della gente e inerzia delle indagini. La morte del padre creò difficoltà economiche alla famiglia, che dovette trasferirsi a Rimini, dove il figlio maggiore Giacomo aveva trovato lavoro. Alla morte del padre ne seguirono altre: la madre, la sorella maggiore e due fratelli, tra cui Giacomo. Ricevette una formazione classica nel collegio degli Scolopi ad Urbino. Nel 1871 proseguì gli studi a Firenze e, in seguito, ottenne una borsa di studio presso l'Università di Bologna, dove frequentò la Facoltà di Lettere. Negli anni universitari Pascoli subì il fascino dell'ideologia socialista. Partecipò a manifestazioni contro il governo e fu arrestato nel 1879, trauma che determinò il suo distacco dalla politica militante, rimanendo però fedele all'ideale socialista umanitario. Ripresi con impegno gli studi, si laureò nel 1882 con lode ed iniziò la carriera...

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Didascalia alternativa:

di insegnante liceale a Massa, dove chiamò a vivere con sé le sorelle Ida e Mariù, ricostituendo idealmente il "nido" familiare che i lutti avevano distrutto. Nel 1887 passò ad insegnare a Livorno, dove rimase sino al 1895. Il passato di lutto e dolori ha provocato nel poeta una grande fragilità psicologica, che si può riscontrare nell'attaccamento morboso al "nido" familiare e ai tentativi di ricostruirlo. Le sorelle costituiscono, per lui, una figura materna e, per questo motivo, Giovanni Pascoli percepì il matrimonio di Ida come un tradimento, che gli provocò manifestazioni depressive. La vita amorosa ai suoi occhi ha un fascino torbido, è qualcosa di proibito e misterioso che va contemplato da lontano. Questa situazione ci aiuta a penetrare nella poesia di Pascoli e a cogliere il carattere turbato, tormentato e morboso del poeta che si cela dietro l'apparente innocenza fanciullesca. Nel 1895 Pascoli prese in affitto una casa a Castelvecchio di Barga, dove trascorreva lunghi periodi a contatto con il mondo della campagna, che ai suoi occhi costituiva un Eden di serenità e pace. Nonostante sembrasse esteriormente serena, la sua vita era turbata da oscure angosce e paure per la presenza ossessiva della morte. Nello stesso anno, Pascoli aveva ottenuto la cattedra di Grammatica greca e latina all'Università di Bologna, poi di Letteratura latina all'Università di Messina, dove insegnò fino al 1903. Passò poi a Pisa ed infine, dal 1905, subentrò al suo maestro Carducci nella cattedra di Letteratura italiana a Bologna. All'inizio degli anni Novanta aveva pubblicato una prima raccolta di liriche, Myricae, che si ampliava ad ogni edizione. Tra le altre opere ricordiamo i Poemetti, Canti di Castelvecchio e Poemi conviviali. Dal 1892 al 1904 vinse la medaglia d'oro al concorso di poesia latina di Amsterdam. Negli ultimi anni volle gareggiare col maestro Carducci nella funzione di poeta civile, "vate" dei destini della patria e celebratore delle sue glorie. Al poeta schivo e chiuso, si affiancò il letterato ufficiale, anche tramite una serie di discorsi pubblici, tra i quali La grande proletaria si è mossa. Il poeta, però, era ormai minato dal cancro allo stomaco. Si trasferì a Bologna per le cure, ma morì il 6 aprile 1912. 2. LA VISIONE NEL MONDO La formazione di Pascoli fu positivistica: lo dimostrano la nomenclatura ornitologica e botanica e i temi astrali. In Pascoli, si riflette la crisi della scienza, segnata dall'affermarsi di tendenze spiritualistiche e idealistiche. Insorge sfiducia nella scienza come strumento di conoscenza e si apre all'ignoto, il mistero e l'inconoscibile. Questa tensione non si concretizza in una fede religiosa positiva, del cristianesimo rimane solamente il messaggio morale di fraternità. Il mondo, nella visione pascoliana, appare frantumato e disgregato. Non esistono gerarchie d'ordine fra gli oggetti: ciò che è piccolo si mescola a ciò che è grande. Tutto ciò ha riflessi sulla costruzione formale dei testi, sulle strutture logico-sintattiche e ritmiche, sulle parole scelte per designare gli oggetti, che hanno rilievo fortissimo nella poesia. Inoltre, i particolari fisici e sensibili si caricano di valenze allusive e simboliche e rimandano all'ignoto come messaggi misteriosi e affascinanti. La precisione botanica e ornitologica con cui Pascoli designa fiori, piante e uccelli assume diverse valenze: il termine preciso diviene la formula magica che permette di andare al cuore della realtà. Data questa soggettivazione del reale, può accostarsi una percezione visionaria e onirica: il mondo è visto attraverso il velo del sogno in un gioco di metamorfosi tra apparenze labili e illusorie. La conoscenza del mondo avviene attraverso strumenti interpretativi irrazionali. Tra "io" e mondo esterno non esiste una distinzione: le cose acquistano una fisionomia antropomorfizzata. La visione del mondo pascoliana si colloca entro la cultura decadente e presenta affinità con D'Annunzio. 3. LA POETICA La visione del mondo di Pascoli trova la sua formulazione più compiuta nel saggio Il fanciullino, pubblicato sul Marzocco nel 1897. Al centro di questo saggio vi è il fanciullo che vede tutte le cose come fosse sempre la prima volta, con ingenuo stupore e meraviglia. Inoltre, utilizza un linguaggio che cerca di sottrarsi ai meccanismi mortificanti della comunicazione abituale. L'atteggiamento irrazionale e intuitivo che adotta gli permette di cogliere direttamente l'essenza delle cose e di creare una trama di corrispondenze misteriose tra le presenze del reale. In questo saggio si colloca anche la poesia pura, cioè la poesia che per Pascoli non deve avere fini estrinseci né pratici. La poesia deve, infatti, essere completamente spontanea e disinteressata. Il sentimento poetico del saggio induce alla bontà, all'amore e alla fratellanza. Il messaggio implicito che Pascoli vuole trasmettere è un messaggio sociale, un'utopia umanitaria che invita all'affratellamento di tutti gli uomini, al di là della lotta tra classi. Il rifiuto della «<lotta fra le classi>> si trasferisce allo stile: rifiuta il principio aristocratico del classicismo. La poesia è anche nelle piccole cose. Pascoli si propone cantore delle realtà umili e dimesse, soprattutto il mondo contadino, e celebratore delle glorie nazionali. APPROFONDIMENTO: FANCIULLINO E SUPERUOMO Il <<fanciullino»> pascoliano e il superuomo dannunziano sono due miti che, pur nascendo negli stessi anni, appaiono antitetici. Il fanciullino propone soluzione: un Eden innocente in cui non esistano violenze e conflitti, ma solo fraternità e amore. È un mito consolatorio, d'evasione, che esprime un rifiuto della società e della storia, il bisogno disperato di regredire in una condizione fuori del tempo, ignorando gli sviluppi più angosciosi della realtà moderna. Intimamente collegato con il mito dell'infanzia è quello del <<nido»> familiare, che, chiudendo nel suo ambito geloso, tiepido e avvolgente, può preservare intatta la condizione edenica dell'infanzia, impedire all'uomo di venire a contatto traumatico con il mondo esterno, proteggerlo dall'urgere di forze aggressive e paurose respingendole al di là dei propri confini, creare un clima d'illusoria pace e serenità al proprio interno. Lo sfondo idillico del saggio è la campagna che, in contrapposizione alla vita cittadina nelle metropoli moderne, consente ancora un rapporto innocente e fraterno con la natura, con alberi, fiori, uccelli, garantisce una vita tranquilla, sgombra di angosce e paure, appagata del poco e quindi felice. Il mito del superuomo, al contrario, celebra ciò che fa paura, l'espansione industriale, la macchina, la guerra, il conflitto sociale violento, il dominio dei più forti che schiacciano i più deboli. Si ha il rovesciamento immaginario dell'impotenza in onnipotenza, attraverso atteggiamenti attivistici e aggressivi, attraverso l'esaltazione della lotta e del dominio imperiale, l'affermazione oltre ogni limite dell'io e di una sensibilità eccezionale. 4. L'IDEOLOGIA POLITICA In Pascoli affiora un socialismo umanitario e utopico, che affida alla poesia la missione di diffondere l'amore e la fratellanza. L'insofferenza nei confronti delle convenzioni e le proteste risalivano ad un clima romantico, ma avevano concrete motivazioni sociali, quali le inquietudini di un gruppo minacciato dall'avanzata della civiltà industriale moderna; a ciò si univa il risentimento per i processi di declassazione a cui il ceto medio era sottoposto. Aderì quindi all'Internazionale socialista. La sua militanza attiva si scontrò presto con la repressione poliziesca. Fu arrestato per una manifestazione antigovernativa e abbandonò ogni forma di partecipazione attiva. Il 1879 fu l'anno di svolta del socialismo romagnolo, che si accostò al pensiero di Marx. Il socialismo marxista si fonda sul concetto di lotta di classe e sullo scontro violento, rivoluzionario, sino al trionfo di una delle due forze, il proletariato, che avrebbe cancellato l'altra e il sistema economico- sociale su cui si reggeva. Pascoli non poteva accettare conflitti, perciò trasformò gli ideali socialisti in fede umanitaria. Ciò derivava dalla convinzione che la vita umana è dolore e sofferenza e, quindi, gli uomini devono cessare di farsi del male fra loro. Tali princìpi dovevano valere soprattutto nei rapporti fra le classi: ciascuna doveva conservare la sua collocazione nella scala sociale, ma collaborare con tutte le altre. Per questo era necessario evitare la bramosia di ascesa sociale, il segreto dell'armonia sociale consiste nel fatto che ciascuno si accontenti di ciò che ha. Il suo ideale di vita si incarna nell'immagine del proprietario rurale, ritiene la proprietà un valore sacro e la base della dignità. Il fondamento dell'ideologia di Pascoli è la celebrazione del nucleo familiare. Questo senso geloso della proprietà e del <<nido»>, si allarga ad inglobare l'intera nazione, sfociando nel nazionalismo pascoliano: sente con partecipazione il dramma dell'emigrazione e dell'italiano costretto a lasciare la patria. La tragedia dell'emigrazione lo induce a far proprio un concetto del nazionalismo italiano primo- novecentesco: esistono nazioni "capitalistiche", ricche, e nazioni "proletarie", povere, come l'Italia, che hanno il diritto di cercare la soddisfazione dei loro bisogni, anche con la forza. Pascoli, dunque, ammette la legittimità delle guerre condotte dalle nazioni proletarie per le conquiste coloniali. In tal caso si tratta di guerre di difesa, non di offesa, quindi sacrosante. Sulla base di questi princìpi, nel 1911 Pascoli celebra la guerra in Libia come momento di riscatto della nazione italiana, fondendo insieme socialismo umanitario e nazionalismo colonialistico. 5. I TEMI DELLA POESIA PASCOLIANA Pascoli è il contrario del poeta "maledetto", che rifiuta la normalità borghese e ostenta atteggiamenti provocatori. Incarna l’immagine dell'uomo comune e si presenta come il cantore della realtà comune e dei suoi valori. Una parte cospicua della sua poesia è destinata proprio alla funzione di proporre quella determinata visione della vita, in nome di intenti pedagogici, morali e sociali. È la celebrazione del piccolo proprietario rurale, in cui rientra l'invito ad accontentarsi del poco, l'ideale utopistico di una società in cui ogni ceto viva entro i propri confini, cooperando. A questo filone della poesia pascoliana appartiene il sogno di un'umanità affratellata, che nella solidarietà trovi una consolazione al male di vivere. Qui ci si può ricollegare a Giacomo Leopardi, il quale considerava la solidarietà tra gli uomini il più alto insegnamento della poesia. Questa predicazione si avvale anche di miti, impiegati per il loro valore suggestivo: il "fanciullino" in fondo ognuno di noi, che rappresenta la nostra parte naturalmente ingenua e buona e può gar la fraternità degli uomini; il "nido" familiare caldo e protettivo, in cui i componenti si possono trovare conforto. Col "nido" si collega il motivo ricorrente del ritorno dei morti. Anche qui l'ossessione privata è assorbita entro l'intento pedagogico: la tragedia familiare è trasformata in una vicenda esemplare, da cui si può ricavare l'idea del male che serpeggia tra gli uomini, la necessità del perdono. Pascoli può allargare la sua poesia a temi più vasti assumendo le funzioni del poeta ufficiale, "vate", che canta le glorie della patria e interpreta la visione della vita e i sentimenti di larghi strati della popolazione italiana: ribadisce la fede in alcuni valori elementari ma fondamentali. La prova di questa sintonia tra poeta e pubblico è la sua fortuna scolastica: per tanti anni Pascoli fu il poeta prediletto dalla scuola elementare. Questa immagine fu accolta anche della critica, fornendone, però, un'immagine riduttiva. Questa versione di Pascoli oggi gode di minor credito. Le trasformazioni del clima culturale hanno portato alla luce un Pascoli diverso, scoprendone la straordinaria novità, inquieto e tormentato. È in perenne ascolto del mistero, che sa rendere la presenza di questa inquietante dimensione del reale, caricando le piccole cose di sensi allusivi e simbolici, che proietta nella poesia le sue ossessioni profonde, portando alla luce i "mostri", le zone oscure e torbide della psiche, che sa esprimere il senso di inadeguatezza della realtà rispetto al sogno, che sente la presenza della morte e trasfigura il reale in un clima visionario, che trasforma l'oggettivo in parvenze illusorie. Si delinea un poeta irrazionale, capace di raggiungere profondità inaudite. In questo è ben più radicale di D'Annunzio, divenendo a buon diritto il nostro scrittore più autenticamente decadente. I due Pascoli che abbiamo individuato hanno una radice comune: la celebrazione del "nido", delle piccole cose, proposta per erigere un baluardo rassicurante dinanzi a forze minacciose. In un discorso del 1900, Una sagra, dimostra di avere ben chiari i processi contemporanei della concentrazione monopolistica, i conflitti imperialistici tra le potenze che minacciano una prossima apocalisse bellica, il pericolo dell'instaurarsi di regimi totalitari e ne prova orrore. Sono queste paure che lacerano la coscienza della modernità e fanno affiorare i "mostri" nascosti nel profondo. Chiudersi entro i confini del "nido" assume il valore di un esorcismo, al fine di neutralizzare ciò che il poeta avverte oscuramente muoversi al fondo della sua anima. 6. LE SOLUZIONI FORMALI La sintassi nella poesia pascoliana è diversa da quella della tradizione poetica italiana, modellata sui classici: nei suoi testi poetici, la coordinazione prevale sulla subordinazione, creando brevi frasi allineate senza rapporti gerarchici, spesso collegate per asindeto. Inoltre, possono mancare del soggetto, o del verbo, o assumono la forma dello stile nominale. La frantumazione pascoliana rivela il rifiuto di una sistemazione logica dell'esperienza. È una sintassi che traduce la visione del mondo pascoliana, "fanciullesca", alogica, che mira a rendere il mistero e scompone i rapporti gerarchici abituali, grande e piccolo. Gli oggetti più quotidiani, visti in quest'ottica, appaiono immersi in un'atmosfera visionaria, o di sogno. Non essendovi più gerarchie si introduce un relativismo che non ha punti di riferimento. Questo smarrimento dei moduli d'ordine, questo relativismo e questa apertura delle prospettive sono alcune delle caratteristiche più tipiche della letteratura del Novecento. Nel lessico di Pascoli troviamo codici linguistici diversi, termini preziosi e aulici, termini gergali e dialettali, riferenti alla realtà campestre, una precisa terminologia botanica ed ornitologica, termini dimessi e quotidiani del parlato colloquiale, parole provenienti da lingue straniere. Questa pluralità di codici costituisce un'infrazione alla norma dominante nella poesia italiana. Grande rilievo hanno gli aspetti fonici, in particolare le forme <<pregrammaticali»>. Sono in prevalenza riproduzioni onomatopeiche, che rientrano in quella visione alogica del reale. I suoni usati da Pascoli possiedono un valore fonosimbolico e si crea una trama sotterranea di echi e rimandi, che costituisce la vera architettura interna del testo. Allo stesso fine concorrono assonanze ed allitterazioni. In quanto alla metrica, Pascoli impiega i versi più consueti della poesia italiana, ma sono piegati dal poeta in direzioni personali. Con gioco di accenti, sperimenta cadenze ritmiche inedite. Anche il verso è frantumato al suo interno e quest'effetto continua con l'uso degli enjambements. Al livello delle figure retoriche, Pascoli fa uso del linguaggio analogico. Il meccanismo è quello della metafora: accosta due realtà tra loro remote, eliminando passaggi logici intermedi e costringendo ad un volo vertiginoso dell'immaginazione. Si crea un discorso ellittico ed allusivo. Un procedimento affine è la sinestesia che possiede un'intensa carica allusiva e suggestiva. 7. LE RACCOLTE POETICHE Nel corso degli anni '90 Pascoli lavora contemporaneamente a vari generi poetici, che confluiranno poi in diverse raccolte: Myricae, Poemetti, Canti di Castelvecchio, Poemi conviviali, Odi e inni e Carmina. La distribuzione nelle varie raccolte obbedisce a ragioni formali, di natura stilistica e metrica: sarebbe difficile ricostruire uno sviluppo nel tempo. La poesia di Pascoli è sincronica: sono riconoscibili approfondimenti di temi, ma svolte radicali che possano individuare fasi diverse non esistono (ad eccezione della produzione celebrativa ufficiale degli ultimi anni). MYRICAE La prima raccolta vera e propria fu Myricae, uscita nel 1891 e contenente 22 poesie dedicate alle nozze di amici. Con il tempo ampliò la raccolta. Il titolo è una citazione virgiliana, tratta dall'inizio della IV Bucolica, in cui il poeta latino proclama l'intenzione di innalzare un poco il tono del suo canto. Pascoli assume invece le umili piante proprio come simbolo delle piccole cose che vuole porre al centro della poesia. Si tratta di componimenti molto brevi, che all'apparenza si presentano come quadretti di vita campestre, ritratti con un gusto impressionistico; in realtà si caricano di sensi misteriosi e suggestivi, sembrano alludere ad una realtà ignota e inafferrabile. Spesso le atmosfere che avvalgono queste realtà evocano l'idea della morte. Compaiono poi: l'insistenza sulle onomatopee, il valore simbolico dei suoni, l'uso di un ardito linguaggio analogico, la sintassi frantumata. I CANTI DI CASTELVECCHIO - pag. 605 I Canti di Castelvecchio sono stati pubblicati negli anni in cui Pascoli insegnava all'Università di Messina, nel 1903. Il poeta stesso afferma che lo scopo di tale raccolta è quello di continuare la linea della prima. Anche qui si presentano, come in Myricae, immagini della vita di campagna, canti d'uccelli, alberi, fiori, suoni di campane, e ricompare una misura più breve, lirica anziché narrativa. L'immutabile ciclo naturale si presenta come un rifugio rassicurante e consolante dal dolore e dall'angoscia dell'esistenza storica e sociale. Ricorre con frequenza ossessiva il motivo della tragedia familiare e dei cari morti. Vi è anche il rimando continuo del nuovo paesaggio di Castelvecchio a quello antico dell'infanzia in Romagna. Non mancano i temi più inquieti e morbosi, che danno corpo alle ossessioni del poeta: l'eros, che appare come misterioso e lontano dal poeta, e la morte, che a volte appare un rifugio dolce in cui sprofondare, come una regressione nel grembo materno. IL GELSOMINO NOTTURNO - pag. 605 E s'aprono i fiori notturni, nell'ora che penso ai miei cari. Sono apparse in mezzo ai viburni le farfalle crepuscolari. Da un pezzo si tacquero i gridi: là sola una casa bisbiglia. Sotto l'ali dormono i nidi, come gli occhi sotto le ciglia. Dai calici aperti si esala l'odore di fragole rosse. Splende un lume là nella sala. Nasce l'erba sopra le fosse. Un'ape tardiva sussurra trovando già prese le celle. La Chioccetta per l'aia azzurra va col suo pigolio di stelle. Per tutta la notte s'esala l'odore che passa col vento. Passa il lume su per la scala; brilla al primo piano: s'è spento... È l'alba: si chiudono i petali un poco gualciti; si cova, dentro l'urna molle e segreta, non so che felicità nuova. PARAFRASI E si aprono, i gelsomini notturni, nell'ora in cui penso ai miei cari defunti. Le farfalle del crepuscolo sono apparse in mezzo ai viburni. Da un po' di tempo già è calato il silenzio: solamente là, in una casa, si sentono bisbigliare voci umane. Sotto le loro ali dormono gli uccellini, così come gli occhi umani riposano sotto le ciglia. Dai calici aperti dei gelsomini arriva un profumo che sembra di fragole rosse. Nel salotto si vede la luce ancora accesa. L'erba cresce sopra le tombe dei morti. Un'ape, che è arrivata tardi, si aggira ronzando poiché tutte le cellette sono già state occupate. In cielo la costellazione delle Pleiadi risplende nel cielo azzurro, in un tremolio di stelle (come una Chioccia circondata dal pigolio dei suoi pulcini). Durante tutta la notte si sente il profumo (di gelsomino) che riempie l'aria portato dal vento. La luce nella casa si accende su per le scale, poi passa al primo piano, nella camera nuziale, e infine si spegne... Arriva l'alba: i petali dei fiori si chiudono un poco appassiti, ma dentro l'ovario molle e profondamente nascosto, cresce una sensazione di felicità che non conosco. Il gelsomino notturno è una poesia di Giovanni Pascoli, compresa nella raccolta dei Canti di Castelvecchio a partire dal 1903. Essa ricorda molto un epitalamio (un canto nuziale), tant'è che fu composta per le nozze dell'amico Gabriele Briganti. Presenta sei strofe, ognuna delle quali è una quartina composta di versi novenari con schema metrico ABAB (rima alternata); il verso 21 è un verso ipermetro. Quasi tutti i versi terminano con segni di interpunzione, quindi prevale la paratassi, mentre gli enjambements non sono numerosi (vv.9-10, v.13 e vv.17-18). In questa poesia emerge l'ossessivo ritorno delle immagini di morte nella mente del poeta, tant'è che si alternano con le immagini di vita e d’amore. La tematica sessuale, infatti, viene trattata attraverso una serie di immagini simboliche, che fanno trasparire quanto il poeta consideri l'amore lontano da sé e si senta escluso da questo sentimento. Questa concezione dell'amore di Pascoli viene evidenziata dall'immagine dell'ape tardiva che resta fuori dalla sua celletta. La poesia comincia in medias-res, infatti la prima parola è una congiunzione che allude ad un antefatto che, però, non viene menzionato. La lirica inizia e conclude con l'immagine del gelsomino notturno, motivo per cui riscontriamo una sorta di circolarità tematica. Inoltre, vi sono varie aree semantiche in opposizione: luce ed oscurità, rumore e silenzio, riparo ed esclusione, tutte riconducibili all'antitesi vita-morte. Dal punto di vista stilistico, Pascoli ricorre ad immagini visive, olfattive ed uditive. La prima strofa (vv.1-4) è ricca di sensazioni visive. La seconda strofa (vv.5-8) è ricca di sensazioni uditive. Giovanni Pascoli usa parecchie figure retoriche e figure di suono, tra cui personificazioni (v.6, v. 13, v.15), similitudini (v.8), onomatopee (v.6, v.13, v.16), metonimie (v.7), sineddoche (v.8), sinestesie (v.10, v.16), allitterazioni (v.11), metafore (v.15, v.23). COMMENTO Il gelsomino notturno di Giovanni Pascoli, che rientra nella raccolta dei Canti di Castelvecchio, è una delle poesie in cui emerge, più di tutti, il simbolismo. Infatti, comprendendo esclusivamente il significato letterale della lirica, potrebbe sembrarci apparentemente non avere un senso, come se fossero varie immagini sconnesse legate tra loro. In realtà, la poesia vuole raccontare la prima notte di nozze di Gabriele Briganti, amico di Pascoli, e la sua sposa. Il poeta decide di utilizzare queste immagini colme di significato simbolico proprio per evidenziare quanto lui senta lontano il tema dell'amore e quanto lui lo consideri misterioso. Pascoli, di fronte all'amore, si sente come l'ape tardiva che rimane fuori poiché non vi sono più cellette libere, come se questo sentimento non facesse per lui. Inoltre, le immagini di vita e di morte si alternano, facendo emergere i drammi familiare che lo hanno segnato nel corso della sua vita. Le varie figure retoriche aiutano il poeta a rendere ancora più chiaro il messaggio della poesia stessa. Personalmente, mi piace molto il modo che utilizza Pascoli per raccontare determinate "storie" in versi. In particolare perché, tramite esse, riesce a far emergere in modo chiaro la sua fragilità psicologica, dovuta ai vari lutti e all'attaccamento morboso al "nido” familiare, e fa in modo di raccontare sé stesso nel migliore dei modi. Le immagini simboliche e le figure retoriche rendono la poesia più piacevole, le allitterazioni e la paratassi la rendono scorrevole e le varie onomatopee aiutano il lettore a penetrare, ancor di più, con la fantasia, all'interno della situazione trattata dalla lirica. ITALY Italy è un testo della raccolta Primi Poemetti di Giovanni Pascoli, composto nel 1904. Il poemetto è strutturato in due canti, per un totale di 450 versi, e le strofe sono formate da terzine dantesche. Sul piano tematico la riflessione dell'autore si concentra su argomenti che variano moltissimo da quelli di Myricae o dai Canti di Castelevecchio. Pascoli decide infatti di dedicarsi a una produzione più elevata e complessa, che si esprime in testi più lunghi e di carattere narrativo, e nella scelta di tematiche socio-contemporanee, iniziando così ad assumere la funzione di poeta vate. Protagonista di Italy è il fenomeno migratorio degli italiani in America. Pascoli racconta una vicenda di cui è stato realmente testimone: il ritorno in patria di parenti emigrati laggiù di un contadino della Garfagnana suo amico. C'è qualcosa di nuovo oggi nel sole, anzi d'antico: io vivo altrove, e sento che sono intorno nate le viole. Son nate nella selva del convento dei cappuccini, tra le morte foglie che al ceppo delle quercie agita il vento. Si respira una dolce aria che scioglie le dure zolle, e visita le chiese di campagna, ch'erbose hanno le soglie: un'aria d'altro luogo e d'altro mese e d'altra vita: un'aria celestina che regga molte bianche ali sospese... sì, gli aquiloni! È questa una mattina che non c'è scuola. Siamo usciti a schiera tra le siepi di rovo e d'albaspina. Le siepi erano brulle, irte; ma c'era d'autunno ancora qualche mazzo rosso di bacche, e qualche fior di primavera bianco; e sui rami nudi il pettirosso saltava, e la lucertola il capino mostrava tra le foglie aspre del fosso. Or siamo fermi: abbiamo in faccia Urbino ventoso: ognuno manda da una balza la sua cometa per il ciel turchino. Ed ecco ondeggia, pencola, urta, sbalza, risale, prende il vento; ecco pian piano tra un lungo dei fanciulli urlo s'inalza. L'AQUILONE S'inalza; e ruba il filo dalla mano, come un fiore che fugga su lo stelo esile, e vada a rifiorir lontano. S'inalza; e i piedi trepidi e l'anelo petto del bimbo e l'avida pupilla e il viso e il cuore, porta tutto in cielo. Più su, più su: già come un punto brilla lassù, lassù... Ma ecco una ventata di sbieco, ecco uno strillo alto... - Chi strilla? Sono le voci della camerata mia: le conosco tutte all'improvviso, una dolce, una acuta, una velata... A uno a uno tutti vi ravviso, o miei compagni! E te, sì, che abbandoni su l'omero il pallor muto del viso. Sì: dissi sopra te l'orazioni, e piansi: eppur, felice te che al vento non vedesti cader che gli aquiloni! Tu eri tutto bianco, io mi rammento: solo avevi del rosso nei ginocchi, per quel nostro pregar sul pavimento. Oh! te felice che chiudesti gli occhi persuaso, stringendoti sul cuore il più caro dei tuoi cari balocchi! Oh! dolcemente, so ben io, si muore la sua stringendo fanciullezza al petto, come i candidi suoi pètali un fiore ancora in boccia! O morto giovinetto, anch'io presto verrò sotto le zolle là dove dormi placido e soletto... Meglio venirci ansante, roseo, molle di sudor, come dopo una gioconda corsa di gara per salire un colle! Meglio venirci con la testa bionda, che poi che fredda giacque sul guanciale, ti pettinò co' bei capelli a onda tua madre... adagio, per non farti male. La poesia "L'Aquilone" fa parte della raccolta Primi Poemetti ed è stata scritta da Giovanni Pascoli durante gli anni in cui soggiornava a Messina. Il tema centrale di questa poesia è l'immagine dell'aquilone, simbolo di innocenza e fanciullezza. L'intero componimento si divide in due momenti: all'inizio nostalgico e che rievoca la gioia delle corse e del volo dell'aquilone, successivamente si contrappone la drammatica scena della morte di un compagno. In apertura è presente una percezione sensoriale abbinata ad un intenso profumo di viole. Il poeta è, quindi, immerso nel suo stesso ricordo e lo rivive al presente. Si vede con i suoi compagni di collegio, una mattina senza lezioni; tutti corrono felici per far volare gli aquiloni. Tuttavia, uno di questi aquiloni cade a terra e l'atmosfera diventa subito triste perché tale caduta simboleggia la morte prematura di un suo amico. Nel tragico evento è possibile però intravedere una gioiosa consolazione: il bambino è stato così risparmiato dalle sofferenze della vita adulta. L'immagine si chiude così con un doppio rimpianto del poeta: ipotizzando una morte imminente, rimpiange di non averla raggiunta nel momento più gioioso della sua vita e di aver invece conosciuto lutti e tragedie. Tra questi, in particolare, la morte del padre (a cui il poeta dedica X Agosto) e della madre, che non potrà accarezzarlo con tanto affetto. La poesia è composta da ventuno terzine dantesche (endecasillabi a rima incatenata, con schema metrico ABA, BCB, CDC...). La poesia è formata da tanti enjambement e da varie anafore, anadiplosi (es. "sono intorno nate" e "sono nate" vv. 3-4; "un lungo dei fanciulli urlo s'inalza" e "S'inalza" vv. 27-28) e ripetizioni. San Lorenzo, Io lo so perché tanto di stelle per l'aria tranquilla arde e cade, perché sì gran pianto nel concavo cielo sfavilla. Ritornava una rondine al tetto: l'uccisero: cadde tra spini: ella aveva nel becco un insetto: la cena dei suoi rondinini. Ora è là come in croce, che tende quel verme a quel cielo lontano; e il suo nido è nell'ombra, che attende, che pigola sempre più piano. Anche un uomo tornava al suo nido: l'uccisero: disse: Perdono; e restò negli aperti occhi un grido portava due bambole in dono... Ora là, nella casa romita, lo aspettano, aspettano in vano: egli immobile, attonito, addita le bambole al cielo lontano. E tu, Cielo, dall'alto dei mondi sereni, infinito, immortale, oh! d'un pianto di stelle lo inondi quest'atomo opaco del Male! X AGOSTO San Lorenzo, io so il motivo per cui così tante stele brillano e cadono nell'aria tranquilla, il motivo per cui nel cielo concavo risplende un pianto così grande. Una rondine stava ritornando al tetto, quando la uccisero e cadde tra le spine dei rovi. Nel becco aveva un insetto, che era la cena dei suoi rondinini. Ora è lì come in croce, che porge quel verme al cielo lontano e i suoi piccoli sono nell'ombra, che la aspettano e pigolano sempre più piano. Anche un uomo stava tornando al suo nido, quando lo uccisero. Prima di morire disse: <<Perdono»>. Negli occhi aperti restò un grido. Portava in dono due bambole. Ora là, nella casa solitaria, la sua famiglia lo aspetta inutilmente. Egli immobile e stupito mostra le bambole a Dio. E tu, Cielo infinito e immortale, dall'alto dei mondi sereni, inondi di un pianto di stelle questo atomo opaco del Male! Il X Agosto è una delle molte poesie in cui Pascoli rievoca la propria tragedia personale, l'uccisione del padre, avvenuta il 10 agosto del 1867, il giorno di san Lorenzo. È raccolta nella quarta edizione di Myricae (1897). Presenta sei strofe composte da quartine di decasillabi e novenari alternati, lo schema metrico è ABAB. La poesia presenta carattere autobiografico, poiché viene raccontata proprio l'uccisione del padre del poeta, primo dei tanti gravi lutti che affronterà. Il tragico evento è accaduto quando Giovanni Pascoli aveva solo 12 anni e ciò lo segnò profondamente, tanto da dover convivere per tutta la vita con questo dolore. Questo possiamo riscontrarlo soprattutto in ciò che scrive, dove emerge l'attaccamento morboso al nido familiare e si ritrova frequentemente il tema della morte. Altro tema importante di questa poesia è quello del male, ricorrente in tutte le sue opere. Inoltre, nel titolo della poesia il dieci viene scritto con il numero romano. Facendo così, il poeta non vuole solo indicare il giorno in cui il padre fu ucciso, ma vuole simboleggiare anche la croce, nonostante egli non fosse credente, ma umanitario. Tra la prima e l'ultima strofa vi è un parallelismo tra le stelle cadenti ed il pianto, che dà un senso diverso alla notte di San Lorenzo; tali strofe presentano carattere riflessivo. La seconda, la terza, la quarta e la quinta strofa sono dedicate all'analogia tra la rondine e l'uomo (il padre di Pascoli), presentano carattere narrativo e vengono raccontati due eventi tragici. Tra le strofe possiamo notare un'alternanza di verbi al presente e di verbi al passato: con ciò possiamo capire che il poeta cerca di tornare al passato per trovare conforto al doloroso e lacerante presente. Inoltre, è presente un forte utilizzo della punteggiatura per creare frasi spezzate che diano l'idea di un ritmo franto e singhiozzante. Discorso simile si fa per le triadi, che troviamo al v.19 e al v.22. Esse, tuttavia, ci rimandano anche allo stile stilistico di Petrarca. Il male ed il dolore che leggiamo sono personali ed universali allo stesso tempo, visione che nasce dagli eventi tragici della sua vita privata. Emerge la contrapposizione tra il cielo e la terra. Quest'ultima è il luogo del male, "l'atomo opaco del Male", sul quale il cielo versa le sue lacrime. Anche per questo motivo vengono descritte le morti della rondine e del padre, due morti innocenti che ci lasciano un senso di tenerezza e solidarietà. Le figure retoriche utilizzate sono parecchie: personificazione (v.1, v.12, v.21), apostrofe (v.1, v.21), similitudine (v.9), metonimia (vv.11-12, v.13), sineddoche (v.5), anafora ("l'uccisero" v.6 e v.14), perifrasi (v.4), metafora (v.4, v.20, v.24), iperbato (v.15), sinestesia (v.15), anadiplosi (v.18). Vi sono anche alcune figure di suono, tra cui l'onomatopea (v.12), l'allitterazione della p (v.12) e l'allitterazione della l per tutta la poesia. Sono presenti due aree semantiche principali: • immagini di Cristo ("spini" v.6, "come in croce" v.9, "perdono" v.14, "dono" v.16); ● luce ("stelle" v.2, "arde e cade" v.3, "sfavilla" v.4).