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Giovanni Pascoli e “X Agosto”

13/12/2022

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Giovanni Pascoli
La Vita
31 dicembre 1855 = Nasce a S. Mauro di Romagna, è il quarto di
8 fratelli.
1862 = Entra nel collegio dei padri Scol

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Giovanni Pascoli La Vita 31 dicembre 1855 = Nasce a S. Mauro di Romagna, è il quarto di 8 fratelli. 1862 = Entra nel collegio dei padri Scolopi a Urbino. 1867 = Accade l'episodio che segna indelebilmente la sua sensibilità del: il padre viene assassinato da ignoti, mentre ritorna a casa. Questo tragico episodio ispirerà la poesia "La cavallina storna". L'anno seguente muore una sorella, poi, di seguito, la madre e 2 fratelli. Questa precoce esperienza di dolore sconvolge profondamente l'anima del poeta e segna il crollo di un mondo d'innocenza e di infanzia serena a cui sempre il poeta aspirerà con immutata nostalgia. 1873 = Vince una borsa di studio all'università di Bologna, dove si iscrive alla facoltà di lettere. Il periodo bolognese lo mette in contatto con il movimento anarchico (che rinnega l'autorità governativa) e si avvicina così agli ideali socialisti a sostegno degli operai e delle classi meno agiate. Questo lo porterà a partecipare a manifestazioni contro il governo ed anche a subire alcuni mesi di carcere preventivo. Quando vi esce riprende gli studi e da questo momento in poi non si occuperà più di politica. 1882 = Si laurea e ottiene una cattedra presso il liceo di Matera, Massa e Livorno. Nel frattempo partecipa a concorsi di poesia latina ad Amsterdam, vincendoli. Insegna poi presso varie università: a Bologna (latino...

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e greco), a Messina ed infine, nel 1906, succede al Carducci nella cattedra di letteratura italiana all'università di Bologna. 6 aprile 1912 = Muore a Bologna all'età di 56 anni. La poetica IL carattere dominante della poesia del Pascoli è costituito dall'evasione della realtà per rifugiarsi nel mondo dell'infanzia, un mondo rassicurante, dove l'individuo si sente isolato ma tranquillo rispetto ad una realtà che non capisce e quindi teme. Il Pascoli esprime questa sua poetica in uno scritto che intitola "Il fanciullino". Egli afferma che in tutti noi c'è un fanciullo che durante l'infanzia fa sentire la sua voce, che si confonde con la nostra, mentre in età adulta la lotta per la vita impedisce di sentire la voce del fanciullo, per cui il momento veramente poetico è in definitiva quello dell'infanzia. Il fanciullo vede tutto per la prima volta, quindi con meraviglia; scopre la poesia che c'è nelle cose, queste stesse gli rivelano il loro sorriso, le loro lacrime, per cui il poeta non ha bisogno di creare nulla di nuovo, ma scopre quello che già c'è in natura, parla alle bestie, agli alberi, alle nuvole e scopre le relazioni più ingegnose che vi sono tra le cose, ride e piange per ciò che sfugge ai nostri sensi, al nostro intelletto. Il poeta è l'individuo abbastanza eccezionale che, pur essendo cresciuto, riesce ancora a dare voce al quel fanciullo che c'è in ogni uomo. La situazione tipica della poesia pascoliana è quella del poeta solitario, immerso nella campagna vasta e silenziosa ed inteso a descrivere e rivelazioni delle cose. Il linguaggio Fu completamente nuovo, soprattutto per la letteratura italiana, in cui persiste ancora la tradizione classica. Qui la frase si spezza; il soggetto è spesso da solo, senza bisogno di un verbo che lo specifichi. Il tutto è affidato a parole che riproducono suoni (frequentissime sono le onomatopee) oppure a immagini che evocano sentimenti. Possiamo quindi definirlo un linguaggio completamente innovativo nella letteratura italiana, che nel Pascoli forse è più intuitivo che non una semplice imitazione del Decadentismo; è qualcosa di istintivo, che risponde perfettamente al suo modo di esprimersi e alla sua visione della vita. Possiamo definirlo inoltre un linguaggio pittorico: si affida molto al colore, come anche alla musicalità e unendo queste due componenti realizza spesso delle sinestesie (mescolando sensazioni che provengono da sensi diversi). X AGOSTO Parafrasi San Lorenzo, io lo so perché un così gran numero di stelle nell'aria serena s'incendia e cade, perché un così gran pianto risplende nel cielo. Una rondine ritornava al suo nido: l'uccisero: cadde tra rovi spinosi: ella aveva un insetto nel becco: la cena per i suoi rondinini. Ora è là, morta, come se fosse in croce, che tende quel verme a quel cielo lontano; e i suoi rondinini sono nell'ombra, che attendono, e pigolano sempre più piano. Anche un uomo tornava alla sua casa: lo uccisero: disse: Perdono; e nei suoi occhi sbarrati restò un grido: portava con sé due bambole per le figlie... Ora là, nella solitaria casa, lo aspettano, aspettano invano: egli, immobile, stupefatto mostra le bambole al cielo lontano. E tu cielo, dall'alto dei mondi sereni, che sei infinito, immortale inondi con un pianto di stelle quest'atomo opaco del male! commento La poesia X Agosto è stata scritta da Giovanni Pascoli in onore della morte del padre avvenuta la notte di S. Lorenzo del 1860. Le stelle che cadono durante quella notte non sono altro che per il poeta le lacrime del cielo sulla malvagità degli uomini. Poi immagina una rondine che, mentre tornava al suo nido, fu uccisa e cadde tra i rovi. Ella aveva un insetto nel becco, cibo per i suoi piccoli. Qui Pascoli con una metafora intende dire che la rondine era l'unica fonte di sostentamento per i suoi piccoli così come suo padre lo era per lui. Descrive la rondine trafitta sui rovi spinosi con le ali aperte quasi come se fosse in croce, accostando tale immagine a quella dei suoi rondinotti che rimangono in una vana attesa del cibo. Dopo passa a descriverci un uomo, suo padre che mentre tornava a casa fu ucciso pronunciando parole di perdono verso i suoi assassini. Negli occhi rimane la volontà di emettere un grido. Invece Pascoli, con il particolare delle due bambole che l'uomo portava in dono alle sue figlie, voleva alludere alla tenerezza che avrebbe caratterizzato l'arrivo del padre a casa e delinea un mondo di consuetudini affettuose che la morte interruppe. Adesso nella casa "solitaria" i suoi familiari lo attendono inutilmente come in precedenza avevano fatto i rondinotti. Il povero uomo, con gli occhi impietriti dalla morte, indica le bambole al cielo, descritto dal poeta come molto distaccato e indifferente al dolore umano. E infine, dice che il cielo, visto come una divinità, lascia cadere fitte lacrime su questa piccola parte dell'universo, che è il regno del male. In questa poesia la morte del padre assurge al simbolo dell'ingiustizia e del male: il dolore del poeta diventa il dolore di tutti. La lirica quindi trasmette senza dubbio sentimenti tristi, malinconici per la distruzione di un nido familiare, unico rifugio in un mondo in cui domina la violenza e la malvagità umana che uccide creature innocenti.