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Platone

21/3/2023

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PLATONE
la vita
Platone nacque ad Atene nel 428 / 427 a.C.
Fu scolaro di Cratilio e a 20 iniziò a frequentare Socrate diventandone
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PLATONE la vita Platone nacque ad Atene nel 428 / 427 a.C. Fu scolaro di Cratilio e a 20 iniziò a frequentare Socrate diventandone discepolo. Per via dei suoi legami familiari con Crizia si ritrovò a collaborare con il regime oligarchico dei 30 tiranni, ma rimase ben presto deluso. La sua amarezza persistette dopo il ritorno del governo democratico e raggiunse il culmine quando Socrate venne giustiziato. La morte di Socrate lo colpì come un'ingiustizia imperdonabile spingendolo a una condanna generale della politica ateniese. Egli si rese conto che le condizioni di vita dovevano essere cambiate e questo doveva essere il nuovo compito della filosofia, che gli apparve come la sola via per condurre l'uomo singolo e la comunità alla giustizia. Dopo la morte di Socrate, Platone intraprese molti viaggi ma quello più importante fu quello in Italia meridionale, dove ebbe modo di soggiornare a Siracusa e stringere amicizia con Dione, cognato del tiranno della città Dionigi il vecchio. Qui Platone si illuse di poter mettere in pratica i propri principi filosofici, ma Dionigi si oppose e lo fece, a quanto pare, vendere come schiavo. Platone venne riscattato e ricondotto ad Atene, e siccome la restituzione del denaro versato venne rifiutata, egli utilizzò i soldi per la fondazione di una scuola filosofica organizzata sul modello delle comunità pitagoriche, chiamata Accademia. Nel 367 a.C. Platone...

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Didascalia alternativa:

venne richiamato da Dione a Siracusa alla corte il nuovo tiranno Dionigi il giovane, che aveva richiesto i suoi consigli per riformare lo Stato. Ogni tentativo di Platone fu vano, così tornò ad Atene, dove rimase per il resto della vita, dedito all'insegnamento. Morì a ottant'anni, nel 347 a.C. Gli scritti Platone è il primo filosofo dell'antichità di cui ci siano rimaste tutte le opere: 35 dialoghi e 13 lettere. Queste vennero organizzate in nove tetralogie, ma vennero lasciati fuori alcuni dialoghi e la raccolta di definizioni, in quanto considerate opere spurie. In realtà anche all'interno delle tetralogie ci sono numerose opere spurie. Per determinare l'autenticità delle opere platoniche e la loro successione cronologica si è considerato in primo luogo la forma linguistica, ma si è attribuita importanza anche al contenuto dottrinale, alle tradizioni, alle testimonianze antiche e ai rinvii contenuti nei dialoghi stessi. L'attività di Platone può essere divisa in tre periodi: I periodo Scritti giovanili e socratici II periodo Scritti della maturità III periodo Scritti della vecchiaia Fonti antiche ci riferiscono che Platone tenne alcuni corsi intitolati "intorno al bene", che non volle mettere per iscritto. In queste "dottrine non scritte"egli sviluppò una sorta di metafisica a sfondo pitagorico. Una risposta alla crisi della società Con la sua filosofia Platone rispecchia il contesto storico e culturale in cui si trova vivere: la decadenza politica e sociale che segna il tramonto dell'età d'oro di Atene. Essendo anche un filosofo, Platone fu indotto a concepire e vivere la situazione problematica anche come crisi dell'uomo nella sua totalità. Per questo motivo egli cominciò a idealizzare la figura di Socrate, che divenne un simbolo della crisi allo stesso tempo della speranza di superarla. Per cercare di colmare il vuoto di certezze intellettuali morali che caratterizzava la società del suo tempo, egli propone una filosofia che ha come obiettivi ultimi la riedificazione esistenziale e politica dell'uomo e la rifondazione della politica alla luce del sapere. Quella di Platone fu la mente poliedrica e universale. Che presenta molteplici aspetti I caratteri generali della filosofia platonica Si può affermare con certezza che la ricerca platonica tende a configurarsi come uno sforzo di interpretazione della personalità filosofica di Socrate. Platone utilizza il dialogo come forma scritta privilegiata e come mezzo ideale per trasmettere il significato della filosofia, quale ricerca inesauribile. Filosofia e mito Una delle caratteristiche salienti all'opera platonica è l'uso dei miti. Il mito in Platone riveste due significati fondamentali: ● È uno strumento di cui il filosofo si serve per comunicare in maniera più accessibile e intuitiva le proprie dottrine. Il mito sarebbe dunque un espediente didattico-espositivo. È un mezzo di cui il filosofo si serve per parlare di realtà che vanno aldilà dei limiti entro i quali l'indagine rigorosamente razionale dovrebbe contenersi. Il mito è quindi qualcosa che si inserisce nelle lacune della ricerca filosofica. LA TEORIA DELLE IDEE Nell'ambito della battaglia anti-sofistica, Platone giunge a elaborare il concetto di "idea" e la cosiddetta "teoria delle idee", che segna l'avvio della seconda fase della sua speculazione, ovvero di quella fase in cui il filosofo va esplicitamente aldilà delle dottrine che Socrate aveva insegnato. Nei dialoghi platonici, la teoria delle idee rappresenta il cuore stesso del platonismo maturo, tant'è vero che a Platone parve di risolvere i massimi problemi della filosofia. La genesi della teoria Platone sostiene che il pensiero riflette l'essere, ossia che la mente sia uno specchio di qualcosa che esiste. In base a questa concezione, detta realismo gnoseologico, Platone si propone di trovare un oggetto esistente stabile che corrispondesse alla definizione cercata dal suo maestro (che cosa?). Questo oggetto per Platone sono le idee. Mentre per noi l'idea denota un pensiero per Platone indica un'entità immutabile e perfetta che esiste per conto proprio e che insieme alle altre idee costituisce una zona dell'essere diversa da quella in cui viviamo, chiamata iperuranio. Per il filosofo, le cose sono copie, o imitazioni imperfette, delle idee. L'idea platonica e dunque il modello unico e perfetto delle cose molteplici e imperfette di questo mondo. La prospettiva dualistica Per Platone esistono due gradi fondamentali di conoscenza, cioè l'opinione e la scienza, ai quali fanno riscontro due tipi di essere distinti, ovvero le cose e le idee. L'OPINIONE mutevole perché rispecchia LE COSE che sono mutevoli imperfetta imperfette LA SCIENZA immutabile perché rispecchia LE IDEE che sono immutabili perfetta perfette Rapporto tra idee e cose rapporto tra idee e cose si configura in una duplice direzione, dal momento che le idee sono: ● ● CRITERI DI GIUDIZIO DELLE COSE in quanto per formulare dei giudizi dobbiamo riferirci alle idee => le idee sono la condizione della pensabilità degli oggetti. Esistono diversi tipi di idee: idee-valori => principi etici, estetici e politici; idee-matematiche => entità e principi dell'aritmetica e della geometria; idee di cose naturali; idee di cose artificiali. ● CAUSA DELLE COSE poiché gli individui sono in quanto imitano le cose => le idee sono la condizione dell'esistenza degli oggetti. Sul rapporto idee-cose, Platone, pur parlando di mimèsi (le cose imitano le idee), metèssi (le cose partecipano all'esistenza delle idee) e parusia (le idee sono presenti nelle cose), rimane piuttosto incerto e oscillante. Quali sono le idee L'idea principale è l'idea del bene, supremo valore perfezione massima di cui le altre idee sono imitazione. Nell'iperuranio le idee sono organizzate secondo un ordine gerarchico piramidale. Dove e come esistono le idee Le idee sono trascendenti, in quanto esistono "oltre" la mente e le cose. La tradizione considera il mondo platonico delle idee come qualcosa di analogo all'empireo dantesco o al paradiso cristiano. Gli studiosi del novecento considerano invece le idee platoniche come modelli di classificazione delle cose, ovvero criteri mentali, ma questo tipo di lettura tende ad essere rifiutata. Per quanto riguarda la prima interpretazione, molti studiosi la ritengono troppo legata al mito e affermano che il mondo platonico delle idee non deve essere interpretato come un universo di super cose, ma come un ordine eterno di forme o valori ideali. Stabilire con certezza quale interpretazione sia quella giusta è impossibile, ma la cosa certa è che le idee costituiscono una zona dell'essere diversa da quella delle cose. Come si conoscono le idee! Secondo Platone le idee non possono derivare dei sensi poiché questi ci danno testimonianza solo delle cose materiali e quindi imperfette. Esse derivano dunque da una visione intellettuale in grado di cogliere l’idea come forme esemplari comune a una pluralità di oggetti. Per spiegare la conoscenza delle idee, pur vivendo in un mondo caratterizzato dal divenire e dall'imperfezione, Platone ricorre alla dottrina della anamnesi (o reminiscenza): egli afferma che l'anima, prima di calarsi nel nostro corpo, ha vissuto nel mondo delle idee; una volta discesa nel nostro mondo, l'anima conserva il ricordo sopito di ciò che ha visto. Secondo Platone quindi "conoscere è ricordare" in quanto le idee, anche se sfocate, le portiamo dentro di noi e basta poco per tirarle fuori. In virtù della teoria dell'anamnesi, la gnoseologia (discorso della conoscenza) di Platone rappresenta una sorta di innatismo. Il fondamento della teoria della reminiscenza è una tesi secondo la quale ognuno di noi porta dentro di sé una verità prenatale, frutto della contemplazione delle idee nelle vite precedenti. Secondo Platone, quindi, l'uomo non possiede già tutta la verità, ma non nasce nemmeno totalmente ignorante, bensì possiede una sorta di pre-conoscenza, un "ricordo" dell'idee precedenti. L'immortalità dell'anima La teoria della reminiscenza postula di per sé l’immortalità dell'anima, che diviene oggetto di uno dei dialoghi platonici più ricchi di pathos umano e religioso: il Fedone. In quest'opera Platone presenta altre prove dell'immortalità dell'anima: 1. La prima è quella dei “contrari" e afferma che, come in natura ogni cosa si genera dal suo contrario, così la morte si genera dalla vita e la vita si genera dalla morte. 2. La seconda è quella della "somiglianza" e sostiene che l'anima essendo simile alle idee, che sono eterne, sarà anch'essa tale. 3. La terza è quella della “vitalità" che argomenta che l'anima, in quanto soffio vitale, è vita e partecipa all'idea di vita, e pertanto non può cogliere in sé l'opposta idea della morte. Nel Fedone troviamo anche la nota dottrina platonica della filosofia come "preparazione alla morte". Se la conoscenza autentica è conoscenza delle idee allora filosofare significa "andare oltre" i sensi e il corpo. Il mito di Er La teoria dell'immortalità dell'anima a Platone serve per chiarire il problema del destino. Il filosofo ritiene che la sorte di ogni individuo dipende da una scelta precedentemente compiuta dalla sua anima nel mondo delle idee. Egli illustra questa sua tesi con il cosiddetto "mito di Er". Il mito parla di Er, un guerriero che, morto in battaglia e resuscitato dopo 12 giorni, racconta gli uomini ciò che li attende dopo la morte: alle anime malvagie spettano grandi sofferenze, mentre le anime virtuose sono destinate a 1000 anni di felicità, dopo i quali si presentano di fronte a Lachesi, una delle tre Moire, per scegliere la loro vita futura. Una volta scelto il proprio destino, Cloto e Atropo (le altre due Moire) lo confermano e lo rendono definitivo. Il racconto riguarda la scelta del destino da parte delle anime; Platone sottolinea inoltre che si tratta di una scelta libera: ogni anima sceglie il modello di vita che incarnerà. Per Platone l'uomo sceglie il proprio destino benché sia condizionato da quel che nella vita precedente ha voluto essere ed è stato. La teoria delle idee come antidoto al relativismo sofistico Mentre la teoria delle idee costituisce il cuore della filosofia platonica, l'opposizione al relativismo sofistico costituisce il cuore della dottrina delle idee. Il relativismo sofistico costituisce, in generale qualcosa di complesso e articolato, con notevoli differenze da sofista a sofista, nella schematizzazione platonica il relativismo sofistico tende a divenire un tutto indistinto, e a identificarsi come una filosofia negatrice di ogni stabile punto di vista sulle cose. Per Platone non esistono altre vie di scampo se non la restaurazione di una qualche forma di assolutismo e per questo motivo la dottrina delle idee diviene lo strumento più prezioso e decisivo della filosofia. Grazie ad essa, il filosofo può affermare la presenza di strutture o perfezioni ideali che hanno validità oggettiva e universale. L'umanismo sofistico e socratico risulta messo da parte e sostituito da una concezione in cui è la verità a misura dell'uomo. Posta l'idea come superiore punto di accordo tra le menti, il relativismo conoscitivo e morale dei sofisti crolla. Esempi sono: ● la matematica, che in virtù delle idee matematiche parla un linguaggio che vale per tutti; la morale, che torna ad avere una validità assoluta, in quanto le idee valori permettono al filosofo di delineare un discorso etico-politico universale; Il linguaggio, che risulta capace di rivelarci l'essere e la verità. La finalità politica della teoria delle idee Platone ritiene che il relativismo non possa che produrre disordine e violenza. Di conseguenza, con la dottrina delle idee, Platone vuole offrire agli uomini uno strumento per uscire dal caos delle opinioni e dei costumi e per sottrarsi alle lotte alle violenze in cui la molteplicità dei punti di vista li ha fatti inevitabilmente cadere. conoscenza delle idee = fondazione di una scienza politica universale = pace e giustizia tra gli uomini. LA DOTTRINA DELL'AMORE E DELLA BELLEZZA Il sapere stabilisce tra l'uomo e le idee, e tra gli uomini associati nella comune ricerca, un rapporto che non è puramente intellettuale perché impegna l'uomo anche dal punto di vista della volontà. Questo rapporto è definito da Platone come amore (Eros). Alla teoria dell'amore sono dedicati due dialoghi platonici: il Simposio e il Fedro. Il Simposio considera prevalentemente l'oggetto dell'amore, ovvero la bellezza. Il Fedro considera invece prevalentemente l'amore dal punto di vista del soggetto, come elevazione progressiva dell'anima il mondo delle idee. Il Simposio I discorsi che gli interlocutori del Simposio pronunciano in lode di Eros mettono in luce una serie di caratteri dell'amore subordinanti e accessori, che verranno poi giustificati e sintetizzati nel discorso di Socrate. Pausania distingue tra eros volgare, che si rivolge ai corpi, ed eros celeste, che si rivolge alle anime. Erissimaco vede invece nell'amore la forza cosmica che determina le proporzioni e l'armonia di tutti i fenomeni. Aristofane espone il mito degli “androgini”, esseri primitivi composti da due metà maschili, o due metà femminili, o una metà maschile una metà femminile; divise da Zeus per punizione, le due parti risultanti vanno l'una in cerca dell'altra per unirsi e ricostituire l'essere originario. Questo racconto sottolinea come uno dei caratteri fondamentali dell'uomo rivelati dall'amore sia l'insufficienza, o incompletezza. Da questo carattere prende le mosse Socrate per il proprio discorso: Eros, amore, desidera qualcosa che non ha ma di cui hai bisogno, ed è quindi mancanza. Secondo il mito, esso è figlio di Penía (povertà) e Póros (Abbondanza) e come tale non è un Dio, bensì un "demone", ovvero un essere dalla natura intermedia tra quella umana e quella divina: non ha sapienza, ma aspira a possederla, e in questo senso è filosofo. Ma l'amore non ha la bellezza, e la desidera in quanto essa è il bene che rende felici. L'uomo, mortale, tende a generare la bellezza, A perpetuarsi attraverso la generazione, lasciando dopo di sé un essere che gli somiglia. La bellezza è quindi fine e l'oggetto dell'amore. La bellezza ha gradi diversi. In un primo momento si è attratti dalla bellezza di un singolo corpo che si giudica bello; poi ci si accorge che la bellezza è presente in più corpi e così si passa desiderare ad amare la bellezza corporea nella sua totalità. Ma al di sopra di questa c'è la bellezza dell'anima, e al di sopra ancora la bellezza delle istituzioni e delle leggi, e poi la bellezza delle scienze. Infine, al di sopra di tutto, si trova la bellezza in sé, eterna, superiore al divenire e alla morte, perfetta, sempre uguale a se stessa, fonte di ogni altra bellezza e oggetto della filosofia. Alla luce di ciò appare erronea l'accezione che intende l'amore platonico come una relazione sentimentale asessuata. Platone ritiene che l'eros sia radicato nei sensi e non spregia la corporeità, che vede come specchio della bellezza interiore. L'amore di cui parla Platone non si riduce dunque il sentimento tra un uomo e una donna, ma si configura come uno strumento per una conoscenza superiore. Il Fedro La natura dell'anima. Mentre nel Fedone ne aveva sottolineato l'unità e la semplicità, nel Fedro Platone distingue nell'anima tre parti: ● la parte razionale, che ha sede nel cervello e grazie alla quale l'essere umano ragione e domina gli impulsi corporei; la parte concupiscibile, o desiderante, chi ha sede nel ventre del principio di tutti gli impulsi; la parte irascibile, o coraggiosa, che ha sede nel petto e da sostegno alla parte razionale, lottando per ciò che la ragione ritiene buono e giusto. Questa tripartizione viene chiarita da Platone mediante il mito del carro alato, nel quale l'anima è paragonata a una biga alata, guidata da un auriga e trainata da una coppia di cavalli (bianco-obbediente, nero-recalcitrante). Biga alata = anima Auriga = parte razionale dell'anima, che deve guidare la vita dell'individuo Cavallo bianco = parte coraggiosa dell'anima, che obbedisce al logos (ragione) Cavallo nero = pulsioni irrazionali e impulsi corporei Dato il disaccordo tra due cavalli, l'opera dell'auriga è difficile e penosa. Egli cerca di condurre il carro nel cielo verso quella regione sopra celeste che è la sede dell'essere autentico. In questa regione sta la "vera sostanza", ovvero la totalità delle idee, che può essere contemplata solo da quella guida dell'anima che è la ragione. Ma l'anima può contemplarla solo per poco poiché il cavallo nero la tira verso il basso. Ogni anima contempla la sostanza dell'essere di più o di meno. Tuttavia, quando, per oblio o per colpa, si appesantisce, essa perde le ali e si incarna, andando a vivificare il corpo di un uomo. Allora l'anima che ha visto di più vivificherà corpo di un uomo che si consacrerà al culto della sapienza o dell'amore, mentre le anime che hanno visto di meno si incarneranno in uomini che saranno via via più alieni alla ricerca della verità e della bellezza. Amore e dialettica. L'anima, reincarnatasi, non è capace di vedere nessun'altra idea, se non la bellezza, la quale risveglia i ricordi delle altre idee. Per questo motivo l'uomo è attratto dalla bellezza, e l'amore è espressione di questa attrazione. La bellezza fa dunque da mediatrice tra l'anima caduta e il mondo degli idee,e al suo appello l'uomo risponde con l'amore, che allora si fa guida dell'anima verso il modello dell'essere vero. L'eros diventa allora procedimento razionale, “dialettica”, la quale è nello stesso tempo ricerca dell'essere sé e unione amorosa delle anime nell'apprendere e nell'insegnare. Alla dialettica così intesa Platone riconduce la vera retorica,o "retorica del vero", un'arte che non cerca il favore delle masse, ma quello degli dei. Si tratta di una retorica che rende “capaci di parlare e di pensare" e che è attenta ai contenuti. Platone, tuttavia, continua a pensare che solo la filosofia possa accedere alla verità, mentre la retorica si limita a trattare di ciò che è solo plausibile. Essa non ha una propria autonomia, ma è soltanto lo strumento della dialettica. Tutti i temi speculativi e i risultati fondamentali dei dialoghi sono riassunti nella massima opera di Platone, la Repubblica, che li ordina e li connette intorno alla descrizione di uno Stato ideale, di una comunità perfetta. LO STATO E IL COMPITO DEL FILOSOFO Il progetto di una tale comunità è fondato sul principio secondo il quale “i filosofi devono governare le città, o quantomeno i re e i governanti devono interessarsi seriamente alla filosofia, altrimenti è impossibile che cessino i mali delle città e anche quelli del genere umano”. La costituzione di una comunità politica governata dai filosofi presenta a Platone due basilari: lo scopo e il fondamento della società e l'identità dei filosofi. La giustizia Alla prima domanda (quale sia il fine di una società governata da filosofi) Platone risponde: la giustizia. Nessuna comunità umana può esistere senza giustizia, che è la condizione fondamentale della nascita e della vita dello Stato. Lo Stato deve essere costituito da tre classi: governanti, a cui è attribuita la virtù della saggezza; guerrieri, ai quali è attribuita la virtù del coraggio; lavoratori, o produttori. ● ● La temperanza, intesa come governo della ragione sui sensi, è una virtù comune a tutte le classi. La giustizia comprende tutte e tre queste virtù e si realizza quando ciascun cittadino attende il proprio compito e ha ciò che gli spetta. La giustizia garantisce pertanto l'unità, e quindi la forza, dello Stato. Anche nell'uomo singolo, così come nello Stato, la giustizia comprenderà dunque le tre virtù della saggezza, del coraggio, e della temperanza, e si avrà quando ogni parte dell'anima svolgerà soltanto la propria funzione. Le classi sociali Appurato che la giustizia è l'adempimento del proprio compito da parte di ogni individuo e di ogni classe sociale, nascono due quesiti: 1. Da dove deriva la distinzione dei uomini in classi sociali? 2. Che cosa fa sì che un individuo appartenga a una certa classe anziché un'altra? Al primo quesito, il filosofo risponde che lo Stato deve per forza essere diviso in classi, poiché in uno Stato vi sono compiti diversi e devono essere esercitati da individui diversi. Per quanto riguarda il secondo quesito, Platone, rifacendosi alla tripartizione psicologica dell'anima, afferma che la diversità degli individui e la loro differente destinazione dipende dalla prevalenza di una parte dell'anima sulle altre. ● gli individui prevalentemente razionali sono i governatori gli individui prevalentemente impulsivi sono i guerrieri gli individui prevalentemente soggetti al corpo e i suoi desideri sono i lavoratori > Per Platone la divisione degli individui in classi dipende da un'inclinazione naturale. Tutto ciò trova una spiegazione nel celebre "mito delle stirpi", secondo cui alcuni nascono con una natura "aurea", altri con una natura “argentea", altri con una natura "ferrea" o "bronzea". Nella società platonica è inclusa la cosiddetta mobilità sociale, in quanto si dice esplicitamente che, per esempio, un bambino "ferreo“ nato tra gli uomini aurei dovrà essere retrocesso di classe e, viceversa, che un bambino “aureo“ nato da uomini "ferrei" dovrà essere innalzato tra gli uomini aurei e accolto tra i custodi. Tuttavia è bene far presente che solitamente i figli assomigliano ai padri e quindi restano nella classe di provenienza. Il comunismo platonico Affinché lo Stato funzioni bene e la giustizia sia realizzata, Platone suggerisce l'eliminazione della proprietà privata e la comunanza dei beni per le classi superiori, così che esse attendano più efficacemente alla gestione della cosa pubblica. I governanti-filosofi dovranno avere case piccole e nutrirsi di cibo semplice, vivere come un accampamento e mangiare insieme; non riceveranno compensi, se non i mezzi necessari per vivere. L'oro e l'argento saranno proibiti, in quanto lo scopo della città è il bene di tutti e non la felicità di una classe. Quello prospettato da Platone si presenta dunque come una sorta di comunismo, che tuttavia non riguarda l'intera società. La classe al potere, inoltre, non avrà famiglia. Estendendo il comunismo alla sfera degli affetti, Platone ritiene che i governanti debbano avere in comune anche le donne, che dovranno godere di una completa uguaglianza rispetto agli uomini e parteciperanno alla vita dello Stato su un piano di parità. Le unioni matrimoniali saranno temporanee e verranno stabilite dallo Stato in base a criteri volti alla procreazione di figli sani; tutti i bambini saranno tolti fin dalla nascita ai loro genitori, e si avrà cura che questi non sappiano quali sono i loro figli e che i bambini ignorano quali siano i loro parenti. A questo punto ci si chiede se governanti siano felici: il filosofo risponde sostanzialmente che la felicità risiede nella giustizia, in vista dell'armonia della felicità complessiva dello Stato. Non bisogna inoltre dimenticare che i filosofi sono felici di per sé e non hanno bisogno di cercare la propria realizzazione in cui beni materiali: Le degenerazioni dello stato Platone è ben consapevole del fatto che lo Stato da lui descritto sia solo un modello ideale. La società ideale platonica può essere definita come un'aristocrazia di filosofi, di cui Platone elenca quattro possibili degenerazioni: ● La timocrazia, un governo fondato sull'onore, che nasce quando i governanti si appropriano di terre e di case e cominciano a perseguire l'affermazione personale. L'oligarchia, un governo fondato sul censo, nel quale il comando è riservato a pochi. La democrazia, il cui avvento è causato dalla ribellione del ceto povero al ceto ricco che detiene il potere. La tirannide, che nasce come reazione all'eccessiva libertà concessa dalla democrazia. L'aristocrazia platonica Il progetto platonico di una riforma della comunità umana nasce in antitesi alla degenerazione della democrazia ateniese del suo tempo. Tant'è che Platone critica non soltanto i sofisti ma anche gli uomini politici che avevano riformato la città in senso democratico. La divisione in classi nasce dalla necessità di una rigida diversificazione di attività, che garantisca un modello statico e gerarchico di coesistenza sociale basato su ruoli fissi e nettamente differenziati. Uno Stato è sano quando ognuno attende all'attività che gli è propria; uno Stato è malato quando i membri delle diverse classi non sanno più stare al loro posto. Sotto questo aspetto la teoria platonica è una forma di organicismo politico, poiché considera lo Stato come un organismo che, per funzionare bene, necessita dell'accordo tra le funzioni di tutte le sue parti. Egli ritiene che la politica non sia un'arte destinata a tutti, ma soltanto alla parte aurea della città, mentre la classe produttiva non può esercitare neppure una qualche forma di controllo nei confronti dei governanti, i quali non hanno alcun bisogno di adattarsi al punto di vista dei governati. Il rigetto della democrazia si accompagna in Platone a uno statalismo esasperato, ossia una concezione che prevede la regolamentazione della vita della società fin nei minimi particolari. Non deve essere però confuso con l'aristocrazia comunemente intesa: lo Stato platonico è sì aristocratico, in quanto vi governano i migliori, ma questi ultimi sono tali non per casato, forza o ricchezza, bensì per il possesso del sapere La ragione al potere e i filosofi al governo: lo stato di Platone è una forma di sofocrazia(governo dei sapienti), o di nòocrazia (governo di intelligenza). Chi custodirà i custodi? Ma come si può essere sicuri che i governanti realizzeranno davvero il bene comune della città? Platone presuppone che i governanti, prima di saper custodire gli altri, siano in grado di costruire se stessi; da ciò è possibile comprendere l'importanza rivestita dal sistema educativo dello Stato ideale. Nella Repubblica, ordinamento educativo e ordinamento politico risultano strettamente congiunti, al punto che lo Stato tende a configurarsi come una sorta di grande accademia, avente come scopo la formazione permanente di custodi perfetti. Platone è convinto che individui addestrati fin dalla nascita a pensare al bene collettivo saranno all'altezza di agire per il bene supremo dello Stato; egli è convinto che il sapere sia una prerogativa delle classi superiori. Poiché l'educazione al sapere e alla virtù coincide con l'educazione alla filosofia, nella parte centrale della Repubblica Platone delinea il compito del filosofo. Filosofo è colui che ama la conoscenza nella totalità. Ma che cos'è la conoscenza? Platone afferma che: ● I GRADI DELLA CONOSCENZA E IL COMPITO DEI FILOSOFI essere (idee) => scienza, conoscenza vera non essere > ignoranza divenire => opinione Platone paragona la conoscenza una linea che viene divisa in due segmenti, i quali vengono a loro volta divisi in altri due segmenti. Abbiamo così 4 gradi della conoscenza. La conoscenza sensibile (doxa, opinione) comprende: la congettura, o immaginazione (eikasia - impressioni superficiali e slegate degli oggetti); la credenza (pistis - la percezione chiara e degna di fede degli oggetti). La conoscenza razionale (episteme) comprende: la ragione matematica (dianoia o conoscenza dianoetica); l'intelligenza filosofica (noesis o conoscenza noetica) I CONOSCENZA SENSIBILE CONOSCENZA RAZIONALE Congettura Credenza Ragione matematica Intelligenza filosofica MONDO SENSIBILE MONDO INTELLIGIBILE Ombre delle cose Cose sensibili Idee matematiche Idee-valori I gradi dell'educazione Il passaggio dalla conoscenza sensibile alla conoscenza razionale effettuato attraverso l'uso dei metodi di misura. Se l'uomo non vuole rimanere ingannato dalla apparenze sensibili non può far altro che ricorrere alla misura, che introduce ordine e oggettività. Le percezioni possono essere diverse per i vari uomini e anche per un uomo stesso in momenti diversi, ma se misuriamo il volume, la distanza, il peso ecc. degli oggetti, raggiungiamo conoscenze che non sono più mutevoli e soggettive, ma oggettive e stabili. Platone elenca nella Repubblica le discipline matematiche fondamentali: l'aritmetici, la geometria, l'astronomia e la musica. Queste discipline sono propedeutiche alla filosofia. Platone descrive attentamente l'educazione dei giovani: dapprima i futuri filosofi-reggitori studieranno musica e ginnastica, poi le discipline propedeutiche alla filosofia; tra i 30 e i 35 anni i migliori si cimenteranno con la filosofia; fra i 35 e 50 anni coloro che saranno stati in grado di seguire bene il corso di filosofia dovranno affrontare un tirocinio pratico nelle cariche militari e civili. Solo a cinquant'anni gli ottimi potranno elevarsi al governo dello Stato. Il mito della caverna La teoria dell'educazione e della conoscenza trova un'esemplificazione allegorica nel mito della caverna. Il mito ci chiede di immaginare degli schiavi incatenati in una caverna sotterranea, costretti da delle catene al collo e alle gambe a osservare solamente la parete della caverna di fronte a loro, sulla quale si stagliano le ombre di alcune statuette che sporgono al di sopra del muricciolo al quale sono incatenati. Dietro al muro si muovono i portatori delle statuette e più in là brilla un fuoco che rende possibile il proiettarsi delle ombre. Se uno degli schiavi riuscisse a liberarsi dalle catene, voltandosi capirebbe che le statuette sono realtà, e non le ombre; se riuscisse ad ire dalla caverna, scoprirebbe che neanche le statuette sono la realtà. Una volta uscito, lo schiavo liberato, abbagliato dalla luce del sole, non riuscirebbe a distinguere gli oggetti e li guarderebbe dai riflessi nelle acque. Soo in un secondo tempo riuscirebbe a vederli direttamente; se si soffermasse a guardare la volta celeste, guarderebbe dapprima gli astri la luna e solo dopo un po' riuscirebbe a guardare il sole e quindi ammirare lo spettacolo scintillante delle cose reali. Lo schiavo sarebbe tentato di rimanere fuori dalla caverna, ma se, per far partecipi suoi compagni di tale bellezza, tornasse la caverna, i suoi occhi sarebbero offuscati dall'oscurità e non saprebbe più riconoscere le ombre, perciò verrebbe deriso dai suoi compagni, accusato di avere gli occhi guasti. E alla fine infastiditi dal suo tentativo di scioglierli e portarli a luce del sole, lo ucciderebbero. Simboli: ● ● ● ● caverne = mondo delle cose mondo fuori dalla caverna = mondo delle idee schiavi uomini ignoranti ombre immagini delle cose superficiali = fuoco principio fisico dei primi filosofi schiavo liberato = obiettivo della filosofia = cose riflesse nell'acqua = idee matematiche che preparano alla filosofia catene = ignoranza sole = il Bene contemplazione = filosofia permanenza chiusura nello stare bene ritorno nella caverna = dovere morale uccisione = morte di Socrate Nel mito della caverna si trova quindi il dualismo gnoseologico e ontologico della teoria dell'idee, ma anche l'ispirazione religiosa che spinge Platone a guardare al nostro mondo come a un regno delle tenebre, contrapposto al regno della luce rappresentato dalle idee. È inoltre presente il concetto della finalità politica della filosofia, utilizzata per la fondazione di una comunità giusta e felice. Secondo Platone, il ritorno alla caverna fa parte del dovere del filosofo: ritornare nella caverna significa mettere ciò che si è appreso a disposizione della comunità. LA CONCEZIONE PLATONICA DELL'ARTE La Repubblica presenta una celebre digressione sull'arte. Platone ritiene che l'arte sia l'imitazione di un'imitazione, in quanto si limita a riprodurre l'immagine di cose e di eventi naturali che sono riproduzioni delle idee. Inoltre l'arte, possiede il valore conoscitivo più basso, risultando aliena dalla misura matematica; questa critica non vale per alcune forme di musica, la quale viene inserita da Platone nel programma educativo dei governanti per i suoi aspetti matematici e per i suoi aspetti di rigore morale. Platone ritiene che essa possa corrompere gli animi: se tutti gli uomini devono tenere a bada le emozioni, ciò vale specialmente per i governanti, ma l'arte incatena l'animo alle passioni. Dietro la battaglia platonica contro l'arte, c'è il desiderio di sbarazzarsi di una forma di cultura che prima della nascita della filosofia aveva improntato l'educazione giovanile: la poesia. Per Platone il primato dei poeti doveva essere sostituito dal primato dei filosofi. La critica platonica contro l'arte non tocca però i miti, visti come nobili tentativi di rappresentare alla mente contenuti che vanno aldilà di ciò che è empirico. La condanna platonica riguarda dunque gli usi impropri e distorti dell'arte e le concezioni erronee della stessa, ma non tutta l'arte di per se.. Platone accoglie l'ideale greco della kalokagathia, secondo il quale la bellezza è la forma esteriore della bontà, e ciò che è bello e buono non può essere che vero. Se il bene coincide con il bello, ciò che è davvero bello non può che essere buono e vero. Dove c'è perfetta e autentica bellezza non può esserci né male né inganno: la bellezza sensibile aiuta quindi a riconoscere la bellezza superiore del mondo delle idee. Platone propone una concezione oggettiva del bello, secondo cui le cose sono belle in virtù del loro rapporto con l'idea del bello. La dialettica di Platone stabilisce la mappa delle relazioni che intercorrono tra le varie idee, precisando i vari modi che possono unire un'idea ad un'altra. Se tutte le idee comunicassero tra di loro ogni discorso sarebbe vero (quindi la dialettica non esisterebbe); se nessuna idea comunicasse con le altre non sarebbe possibile alcun discorso. Scartate le tesi universali "tutte le idee sono combinabili con altre idee" e "tutte le idee non sono combinabili tra loro", ci rimane da analizzare la via di mezzo, ovvero "alcune idee sono combinabili tra loro e altre no". Questa è la tesi su cui si forma la dialettica platonica. La tecnica dialettica consisterà nel definire mediante successive identificazioni e diversificazioni un'idea attraverso un processo di tipo dicotomico (diviso in due) che avanza dividendo per due un'idea fino a giungere ad un'idea indivisibile. caccia = arte acquisita esseri inanimati LA DIALETTICA esseri viventi netenti pedestre selvetico domestico can violenza con persuasione in privato per regalo per lucro in pubblico adulazione. Sold. SOFISTI LA VISIONE COSMOLOGICA Nel Timeo viene approfondito il problema dell'origine e della formazione dell'universo. Per Platone il mondo naturale non ha la saldezza e la stabilità delle idee, tuttavia su di esso si può formulare un discorso verosimile e probabile, con l'aiuto di un mito. Tra le idee e le cose, Platone introduce un terzo termine a fare da mediatore: il demiurgo, una sorta di divino artefice, dotato di intelligenza e di volontà. Secondo Platone, all'inizio il mondo era solo un caos informe, una materia spaziale priva di vita detta chora o ananke o anche "madre del mondo". Il demiurgo organizzò questa materia formando le cose del mondo a "immagine e somiglianza" delle idee; il demiurgo non è il creatore della realtà dal nulla, ma il semplice "plasmatore". In questo modo il divino artefice fornì alle cose un'anima del mondo, perché vivificasse e ordinasse la materia. Il demiurgo generò anche il tempo, che Platone chiama “immagine mobile dell'eternità", misurato dal moto degli astri. L'opera del demiurgo è limitata dalla resistenza della materia. Nel Timeo tutto ciò che esiste di positivo e di armonico è dovuto al demiurgo, all'intelligenza e alle idee; tutto ciò che esiste di negativo e di disarmonico è dovuto alla materia e alla necessità. La visione matematica delle cose Platone nel Timeo interpreta i numeri come schemi strutturali delle cose e fa della matematica la sintassi del mondo, cioè il codice di interpretazione di tutto ciò che esiste. Pur non negando le cause meccaniche, inoltre, Platone le subordina totalmente alle cause finali elaborando un proprio modello di spiegazione della natura basato sulle nozioni di scopo e di bene. La parziale rivalutazione dell'arte Platone approda nel Timeo anche una parziale rivalutazione dell'arte, avviata già nel Sofista. In quest'opera, il filosofo si era riferito all'arte retorica dei sofisti come un gioco illusionistico, ma poi aveva distinto tra arte acquisitiva (si acquisisce qualcosa di già prodotto) e arte produttiva (produce qualcosa). In quanto imitazione, ovvero creazione di copie, l'arte in senso stretto è una tecnica produttiva. Nel Sofista si parla anche del teatro: il talento degli attori viene presentato come un'esemplificazione concreta della mímesis, poiché la rappresentazione teatrale è l'imitazione di eventi reali, o meglio la loro ricostruzione e trasfigurazione fantastica. Il ripensamento platonico dell'arte culmina nel Timeo dove il cosmo viene descritto come una grande e meravigliosa opera d'arte. La formazione del cosmo da parte del demiurgo diventa l'allegoria della produzione artistica. IL PROBLEMA DELLE LEGGI Nel Politico il filosofo si domanda quale debba essere l'arte propria dei reggitori dei popoli, affermando che si tratta dell'arte della misura. La cosa migliore sarebbe che i reggitori dello Stato non ponessero leggi, perché è impossibile trovare una legge che accontenti ogni singolo cittadino. Tuttavia, proprio perché è impossibile fornire leggi precise per ogni singolo individuo, le leggi sono necessarie, benché si limitino ad indicare ciò che genericamente è il meglio per tutti. Nell'opera Le leggi, Platone, ormai consapevole della debolezza della natura umana, ritiene indispensabile che anche in uno Stato bene ordinato vi siano leggi e sanzioni penali capaci di forgiare i buoni cittadini; queste leggi non devono servire soltanto comandare, ma anche promuovere nei cittadini la virtù che si identifica con la felicità. L'educazione ha fondamento nella religione, considerata un incentivo al rispetto della virtù e delle leggi. La religione di Stato descritta nelle leggi, però, è ben diversa dalla religione tradizionale, poiché costituisce una sorta di religione a sfondo cosmico, ovvero una teologia astrale che vede nell'ordine e negli astri del cielo la concretizzazione della divinità e dei suoi scopi. Platone diventa quindi consapevole che la realizzazione dello Stato ideale descritto in precedenza è probabilmente possibile "solo a dei o discendenti di dei". L'istituzione più caratteristica delle leggi è forse il "consiglio notturno”, che sostituisce i filosofi re assumendo il compito di supervisore generale della vita collettiva e di severo garante dell'osservazione di leggi, delle religioni e dei costumi.