La pena di morte in Italia ha una lunga e complessa storia che si è conclusa con la sua definitiva abolizione. L'ultima esecuzione in Italia è avvenuta il 4 marzo 1947, quando furono giustiziati tre uomini per omicidio plurimo.
La pena di morte in Italia è stata formalmente abolita per i reati comuni nel 1889 con il Codice Zanardelli, anche se rimase in vigore per i reati militari fino al 1994. La Costituzione italiana del 1948 ha sancito definitivamente l'abolizione della pena capitale nell'articolo 27, che stabilisce che le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato. Il dibattito sui pro e contro della pena di morte continua ad essere acceso: i sostenitori argomentano che sia un deterrente efficace contro i crimini più gravi e garantisca giustizia alle vittime, mentre gli oppositori sottolineano l'irreversibilità della condanna e il rischio di errori giudiziari.
Nel contesto della pena di morte nel mondo, l'Italia si è allineata con la tendenza abolizionista europea. Oggi più di due terzi dei paesi hanno abolito la pena capitale per legge o nella pratica. Tuttavia, alcune nazioni come Stati Uniti, Cina, Iran e Arabia Saudita continuano ad applicarla. La reintroduzione della pena di morte in Italia è tecnicamente impossibile senza una modifica costituzionale e violerebbe anche gli accordi internazionali sottoscritti dal paese. L'esperienza italiana di abolizione ha influenzato positivamente altri paesi europei, come la Francia che ha abolito la pena capitale nel 1981 sotto la presidenza di François Mitterrand.