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-> Introduzione -> Vita KIERKEGAARS • Introspezione Disperazione • Fede • Profonda analisi interiore Soren Aabye Kierkegaard nacque in Danimarca, Copenhagen, il 5 maggio 1813. Si scrisse alla facoltà di teologia di Copenhagen e nel 1840 si laureò con una dissertazione sul concetto dell'ironia con particolare riguardo a Socrate, che pubblicò l'anno seguente. Nel 1841-1842 fu a Berlino ascolto alle lezioni di Shelling fondata sulla distinzione radicale tra realtà e ragione. Morì l'11 novembre 1855. Gli incidenti esteriori della vita di Kierkegaard sono poco numerosi e apparentemente insignificanti: il fidanzamento, che egli stesso mando a monte, con regina Olsen; l'attacco di un giornale satirico, "il corsaro"; la polemica contro l'ambiente teologico di Copenhagen. Tali episodi ebbero nell'interiorità di Kierkegaard e nelle sue opere una risonanza profonda e apparentemente sproporzionata rispetto alla loro reale entità. Nel Diario il filosofo parla di un "grande terremoto" prodotto sia un certo punto della sua esistenza, che la costretto a mutare il proprio atteggiamento di fronte al mondo. Sempre nel Diario, Kierkegaard parla di una "scheggia nelle carni", e anche in questo caso il carattere grave e ossessionati di riferimento sta soprattutto nella mancanza di dati precisi. Probabilmente è proprio questa scheggia a impedire al filosofo di condurre in porto il fidanzamento con regina Olsen. Anche qui nessun motivo preciso, bensì solo il senso di una minaccia oscura...

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Didascalia alternativa:

e inafferrabile, ma paralizzante, che impedisce a Kierkegaard anche di intraprendere la carriera di pastore e che lo induce a porsi in un rapporto poetico. -> L'esistenza come possibilità e fede L'opera di Kierkegaard non può certo essere ridotta al momento della polemica contro l'idealismo romantico. Molti suoi temi si pongono in precise antitesi rispetto a quelli idealistici: dalla difesa della singolarità dell'uomo contro l'universalità dello Spirito, alla rivalutazione dell'esistenza concreta contro la ragione astratta e delle alternative inconciliabili contro la sintesi conciliatrice della dialettica, della libertà come possibilità contro la libertà come necessità e, infine, della stessa categoria di possibilità. Si tratta di punti fondamentali della filosofia di Kierkegaardiana, che costituiscono una via radicalmente diversa rispetto a quella sulla quale l'idealismo romantico aveva indirizzato la filosofia europea. L'opera e la personalità di Kierkegaard sono segnato in primo luogo dal tentativo di ricondurre la comprensione dell'intera esistenza umana alla categoria della possibilità. Kierkegaard scopre e mette in luce, il carattere negativo di ogni possibile che entri a costruire l'esistenza umana. Qualunque possibilità, oltre che "possibilità-che-sì" è sempre anche "possibilità-che-non", ossia che ciò che è possibile non sia: implica la minaccia del nulla. Kierkegaard incarna dunque la figura così potentemente descritta nelle pagine finali del "Concetto dell'angoscia: quella del discepolo dell'angoscia, che sente gravare su di sé le possibilità annientatrici e terribili che ogni alternativa esistenziale prospetta. Il "punto zero" è l'indecisione permanente, l'equilibrio instabile tra le opposte alternative che si aprono di fronte a qualsiasi possibilità. L'impossibilità di ridurre la propria vita a un compito preciso, di scegliere in maniera definitiva tra le diverse alternative, di riconoscere e attuarsi in una possibilità unica. Questa impossibilità si traduce per lui nel riconoscere che l'unità della propria personalità consiste appunto in questa condizione di indecisione e instabilità permanente permanente. Una seconda caratteristica del pensiero di Kierkegaard è lo sforzo costante di chiarire le possibilità fondamentali che si offrono all'uomo. La sua attività è dunque quella di un contemplativo: non è un caso che egli si sia creduto e detto poeta, e che abbia moltiplicato la propria personalità con l'uso di vari pseudonimi. Il terzo elemento portante del pensiero di Kierkegaard è il tema della fede e del cristianesimo, unica religione in cui il filosofo intravede un'ancora di salvezza. -> Il rifiuto dell'hegelismo e la verità del singolo La filosofia hegeliana appare dunque a Kierkegaard antitetica e illusoria rispetto al proprio punto di vista dell'esistenza, visione anti-hegelismo. Di fronte alla Ragione hegeliana, il filosofo danese presenta l'istanza del singolo, cioè dell'esistente come tale. È in tale prospettiva che Kierkegaard contesta a Hegel il fatto di avere trasformato il genere dell'uomo in un genere animale, giacché negli animali il genere è superiore al singolo, mentre il genere umano presenta in realtà la caratteristica opposta, per cui il singolo è superiore al genere. Oltre essere l'insegnamento fondamentale del cristianesimo, questo è il punto su cui bisogna combattere la battaglia contro la filosofia hegeliana. "La verità è una verità solo quando è una verità per me": essa non è dunque l'oggetto del pensiero, ma il processo con cui l'uomo se ne appropria; l'appropriazione della verità è la verità. Alla riflessione oggettiva propria della filosofia di Hegel, Kierkegaard contrappone una riflessione soggettiva, connessa con l'esistenza: una riflessione in cui il singolo uomo è direttamente coinvolto e che proprio per questo non è oggettiva e disinteressata, ma appassionata e paradossale. Kierkegaard avrebbe scelto di far scrivere sulla propria tomba non il proprio nome, ma solo "quel singolo", e per questo stesso motivo ha combattuto tutta la vita contro il panteismo idealistico, cioè contro la pretesa di identificare l'uomo e Dio, e ha invece affermato "l'infinità differenza qualitativa" tra il finito e l'infinito. M. P. KIERKEGAARDS CRAVSTRACAARD SOREN MICHAELI MAREN KIRSTINE KIERKEGAARD FD DEN 7 SEPTEMBER 1792 SØREN AABYE KIERKEGAARD FOOT MAI DODDI NOVEMBER 1855 DET ER EN LISEN TID SAA ER DEN CANSKE STR MED LET FORSVINDE SAA KAN JE HIE OC UAFLANTIC TALE -> Gli stadi dell'esistenza La vita estetica e la vita etica Il libro di Kierkegaard intitolato Aut-Aut è una raccolta di scritti che presentano l'alternativa tra quelli che il filosofo considera come i primi due stadi dell'esistenza: la vita estetica e la vita etica. Ogni stadio forma una vita a se, con le sue opposizioni interne e si presenta l'uomo come un'alternativa che esclude l'altra. • Lo stadio estetico è la forma di vita di chi esiste nell'attimo, fuggevolissima e irripetibile. L'esteta è colui che vive poeticamente, cioè nutrendosi di immaginazione e riflessioni insieme. Dotato di un senso finissimo per scoprire quanto l'esistenza offre di più interessante, costruendo per se stesso un mondo luminoso, da cui bandisce tutto ciò che è banale, insignificante e meschino, nel quale vive in uno stato di permanente ebbrezza intellettuale. La vita estetica non tollera la ripetizione che contraddistingue la quotidianità di una vita regolare. Per rappresentare nella sua pienezza lo stadio estetico dell'esistenza, Kierkegaard tratteggia la figura di Don Giovanni, il protagonista del diario di un seduttore, il quale sa trarre godimento non dalla ricerca sfrenata e indiscriminata del piacere, ma dalla scelta dei piaceri più intensi e appaganti. La vita estetica rivela tuttavia la propria inadeguatezza, conducendo necessariamente alla noia, alla dispersione dovuta alla rincorsa di sempre nuove esperienze e alla disperazione. • Proprio lasciandosi andare completamente alla disperazione si può tuttavia rompere l'involucro della pura estetica, e riagganciarsi con un vero e proprio "salto", cioè con una scelta, all'altra alternativa possibile: quella costituita dallo stadio etico. Con la scelta della disperazione nasce dunque la vita etica, la quale implica una stabilità e una continuità che la vita estetica, in quanto incessante ricerca della verità, esclude. La vita etica è il dominio della riaffermazione di sé, del dovere e della fedeltà a se stessi, ovvero il dominio della libertà. Nella vita etica l'uomo si sottomette alle regole della famiglia e della società assumendosi il peso della responsabilità Così come la vita estetica è incarnata del seduttore, la vita etica è rappresentata dalla figura del marito. Il matrimonio per Kierkegaard è l'espressione tipica dell'etica, in quanto compito che può essere proprio di tutti: mentre nella concezione estetica dell'amore per due persone possono essere felice in forza dell'eccezionalità del loro legame e della loro personalità. La persona etica vive del proprio lavoro. Esso costituisce la sua vocazione poiché il lavoro lo mette in relazione con altre persone e perché adempiendo al proprio compito e gli adempie a tutto ciò che può desiderare al mondo. La caratteristica della vita etica è costituita dalla scelta che l'uomo fa di se stesso: tratta di una scelta assoluta, la scelta della libertà cioè della scelta stessa. L'individuo scopre in sé una ricchezza infinita, ovvero scopre di possedere una storia in cui riconoscere la propria identità con se stesso. In virtù della scelta, l'individuo non può rinunciare ad alcunché della propria storia, neanche agli aspetti di essa più dolorosi e crudeli. Il pentimento costituisce l'ultima parola della vita etica, la parola per cui lo stadio etico rivela la propria insufficienza e la necessità di passare al dominio della religione. La scelta assoluta e dunque pentimento, riconoscimento della propria colpevolezza, della colpevolezza perfino di ciò che si ereditato. Questo è lo scacco finale della vita etica, lo stacco per cui essa tende a trapassare nella vita religiosa. La vita religiosa Così come non c'è continuità tra la vita estetica e la vita etica, allo stesso modo non c'è continuità tra lo stadio etico e lo stadio religioso. Tra queste due forme di esistenza c'è un abisso ancora più profondo; Kierkegaard chiarisce tale opposizione in Timore e Tremore, dove raffigura la vita religiosa rifacendosi al personaggio biblico di Abramo e alla sua vicenda. Vissuto fino a settant'anni e nel rispetto della legge morale, Abramo riceve da Dio l'ordine di uccidere il figlio Isacco, infrangendo così la legge per la quale è vissuto. Il significato di tutto ciò sta nel fatto che il sacrificio di Isacco non è suggerito ad Abramo da una qualunque e senza morale, ma da un comando divino che contrasta con la legge morale e con gli effetti naturali. In altri termini, l'affermazione del principio religioso sospende internamente l'azione del principio morale. Ma se l'opposizione tra la vita etica e quella religiosa e così radicale, allora la scelta tra i due principi a essi sottesi non può essere facilitata da alcuna considerazione generale. L'uomo di fede sceglie di seguire i comandi divini anche a costo di infrangere le norme morali e giungere così è una rottura totale con tutti gli altri uomini. La fede non è un principio generale, ma un rapporto privato tra l'uomo e Dio, un rapporto assoluto con l'Assoluto. Essa è il dominio della solitudine, un "luogo" in cui non si entra "in compagnia". Da tutto ciò deriva il carattere incerto e rischioso della vita religiosa. L'angoscia dell'incertezza è la sola assicurazione possibile. La fede è appunto certezza angosciosa, angoscia che si rende certa di sé e di una nascosto rapporto con Dio. La fede è paradosso e scandalo, il cui segno è lo stesso Cristo: colui che soffre e muore come uomo, mentre parla agisce come Dio. L'uomo è posto di fronte a un bivio: credere o non credere; se, da un lato, e il singolo uomo a dover scegliere, dall'altro ogni iniziativa umana esclusa, perché Dio è tutto e da Lui deriva anche la fede. La vita religiosa è imprigionata nelle maglie di questa contraddizione inesplicabile che costituisce l'essenza stessa dell'esistenza umana. La polemica contro il pacifico e accomodante cristianesimo della Chiesa danese dimostra come nel cristianesimo egli diffondesse in realtà il significato dell'esistenza che aveva riconosciuto e fatto proprio. Significato che, sebbene secondo il filosofo trovi la propria "incarnazione" storica nella religione cristiana, non è limitato al dominio religioso, ma è connessa ogni forma dell'esistenza. La religione ne è consapevole, ma non lo monopolizza: anche la vita estetica e la vita etica lo includono. Stadio estetico (Immediatezza) Stadio etico (Scelta della scelta) Stadio religioso (Rapporto assoluto con l'Assoluto) Novità, avventura, non-scelta, dispersione, noia, disperazione Scelta, normalità, fedeltà, continuità, libertà, ripresa, pentimento Fede, paradosso, solitudine, scandalo Don Giovanni Il marito Abramo -> L'angoscia Kierkegaard approfondisce la propria ricerca e giunge così al punto centrale da cui quelle stesse alternative e quegli stessi contratti si originano: l'esistenza come possibilità. Nelle sue due opere fondamentali, Il concetto dell'angoscia e la Malattia mortale, il filosofo analizza la situazione di radicale incertezza, instabilità e dubbio in cui l'uomo si trova "costituzionalmente", ovvero a causa della natura problematica del modo di essere che gli è proprio. L'angoscia è la condizione generata nell'uomo dal possibile che lo costituisce. Essa è strettamente connessa con il peccato. Adamo è "innocente" finché resta "ignorante"; ma tale ignoranza contiene già in sé l'elemento che determinerà la caduta, e tale elemento non è ne calma ne riposo, ne turbamento ne lotta, perché nn c'è alcunché da cui riposarsi o contro cui lottare. A differenza del timore e degli altri stati analoghi, l'angoscia non si riferisce a nulla di preciso. Essa è il puro sentimento della possibilità. L'angoscia è libertà finita, cioè limitata e impastoiata, che si identifica con il sentimento della possibilità. Il passato genera angoscia solo nel caso in cui si presenti come possibile futuro, cioè come possibilità di ripetizione: una colpa passata genera angoscia solo se non è veramente passata, ovvero solo se è possibile ricadervi, giacché diversamente genererebbe pentimento, e non angoscia, la quale è legata ciò che non è ma può essere, alla possibilità del nulla o alla possibilità nullificante. L'angoscia è strettamente legata alla condizione umana: se l'uomo fosse angelo o bestia non la conoscerebbe; essa infatti manca in quei momenti o in quelle forme di vita in cui l'uomo si rende simile agli animali. Se è vero che la povertà spirituale sottrae l'uomo all'angoscia, non bisogna dimenticare che l'uomo sottratto all'angoscia è schiavo delle circostanze, che lo spingono di qua e di là senza meta. L'angoscia è dunque necessaria tra gli uomini. • L'abbandono esprime la sofferenza per ciò che accade • La fretta la esprime l'autentica angoscia per ciò che può accadere, e solo in questo secondo caso si rivela l'umanità del Figlio di Dio, perché umanità significa angoscia Kierkegaard collega l'angoscia il principio dell'infinità, o onnipotenza, che esprime spesso così: "nel possibile, tutto è possibile", anche e soprattutto in negativo. Per questo ogni possibilità favorevole e spesso annientata dall'infinito numero delle possibilità sfavorevoli. E quindi l'infinità, o indeterminatezza, delle possibilità a rendere l'angoscia insuperabile e a farne la condizione fondamentale dell'uomo nel mondo. -> Disperazione e fede Se l'angoscia è la condizione in cui il possibile pone l'uomo rispetto al mondo, la disperazione è la condizione in cui il possibile pone l'uomo rispetto alla sua interiorità, al suo io. Se l'angoscia sorge dalla possibilità di fatti, circostanze, legami che rapportano l'uomo al mondo, la disperazione è inerente alla personalità stessa dell'uomo, al rapporto in cui l'io si pone con se stesso e alla possibilità di questo rapporto. La disperazione è strettamente legata alla natura dell'io. Infatti l'io può anche non volere essere se stesso; se vuole essere se stesso, non giungerà mai all'equilibrio e al riposo, poiché è finito, insufficiente a se stesso. La disperazione è la caratteristica di entrambe queste alternative; essa è perciò quella che Kierkegaard chiama "malattia mortale", non perché conduca alla morte dell'io, ma perché consiste nel vivere la morte dell'io: essa è il tentativo impossibile di negare la possibilità dell'io. Poiché l'io è "sintesi di necessità di libertà", in esso la disperazione nasce • mancanza di necessità -> l'io fugge verso possibilità che si moltiplicano indefinitivamente e non si solidificano mai, facendo dell'individuo un "miraggio". La disperazione è quella che oggi chiamiamo "evasione", cioè il rifugio in possibilità fantastiche, limitate, "nella possibilità tutto è possibile, perciò nella possibilità ci si può smarrire in tutti i modi possibili, ma essenzialmente in due; l'una di queste forme è quella del desiderio, dell'aspirazione; l'altra è quella malinconico-fantastica mancanza di libertà -> La possibilità è l'unica cosa che salva. La possibilità è l'unico rimedio; date di una possibilità e il disperato riprende iena, si rianima, perché se l'uomo rimane senza possibilità è come se gli mancasse l'aria. Sono il credente possiede l'antidoto sicuro contro la disperazione. L'opposto della fede, la disperazione è il peccato: perciò l'opposto del peccato è per l'appunto la fede, non la virtù. La fede è l'eliminazione della disperazione; essa è la condizione in cui l'uomo non si illude di essere autosufficiente, ma riconosce la propria dipendenza da Dio. Solo in questo caso la volontà di essere se stessi non urta contro l'impossibilità dell'autosufficienza, poiché solo in questo caso si tratta di una volontà che si affida alla potenza da cui l'uomo stesse posto, cioè a Dio. La fede sostituisce la speranza e la fiducia in Dio. È lo scandalo del cristianesimo, il fatto che la realtà dell'uomo sia quella di un individuo isolato di fronte a Dio, sia esso un potente della terra uno schiavo, esista dinanzi a Dio. Tutte le categorie del pensiero religioso sono impensabili: • impensabile è la trascendenza di Dio, che implica una distanza infinita tra l'uomo e la divinità impensabile è il peccato nella sua natura concreta, come esistenza dell'individuo che pecca • impensabile è l'idea di un Dio che si fa carne e muore per l'uomo Ma la fede crede nonostante tutto e assume tutti i rischi. Essa è il capovolgimento paradossale dell'esistenza -> L'attimo e la storia: l'eterno nel tempo Il rapporto tra l'uomo e Dio non si verifica nella storia ma piuttosto nell'attimo, inteso come subitanea inserzione della virtù divina nella vita dell'uomo. Anche in questo senso il cristianesimo è paradosso e scandalo ciò vuol dire che l'uomo per suo conto vive nella non-verità. Secondo il punto di vista cristiano, poiché l'uomo è la non-verità, si tratta invece di "ricreare" l'uomo, di farlo rinascere per renderlo adatto a una verità che gli proviene da fuori. Il maestro è perciò un salvatore, un redentore, che determina la nascita di un uomo nuovo, capace di accogliere nell'attimo la verità di Dio. Una differenza assoluta non può essere "pensata", e ciò significa soltanto che l'uomo non è Dio, che l'uomo e la non-verità, che l'uomo è il peccato: la ricerca di Dio non ha fatto alcun passo avanti. L'attimo è dunque l'inserzione incomprensibile dell'eternità nel tempo: in esso si realizza il paradosso del cristianesimo, cioè la venuta di Dio nel mondo. In questo senso soltanto il cristianesimo è un fatto storico, questo implica una fede elevata potenza di una divinità che si fa uomo. Si tratta di un fatto storico molto particolare, che non ha testimoni privilegiati, giacché la sua storicità si ripresenta ogni volta che un singolo uomo riceve il dono della fede.

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-> Introduzione -> Vita KIERKEGAARS • Introspezione Disperazione • Fede • Profonda analisi interiore Soren Aabye Kierkegaard nacque in Danimarca, Copenhagen, il 5 maggio 1813. Si scrisse alla facoltà di teologia di Copenhagen e nel 1840 si laureò con una dissertazione sul concetto dell'ironia con particolare riguardo a Socrate, che pubblicò l'anno seguente. Nel 1841-1842 fu a Berlino ascolto alle lezioni di Shelling fondata sulla distinzione radicale tra realtà e ragione. Morì l'11 novembre 1855. Gli incidenti esteriori della vita di Kierkegaard sono poco numerosi e apparentemente insignificanti: il fidanzamento, che egli stesso mando a monte, con regina Olsen; l'attacco di un giornale satirico, "il corsaro"; la polemica contro l'ambiente teologico di Copenhagen. Tali episodi ebbero nell'interiorità di Kierkegaard e nelle sue opere una risonanza profonda e apparentemente sproporzionata rispetto alla loro reale entità. Nel Diario il filosofo parla di un "grande terremoto" prodotto sia un certo punto della sua esistenza, che la costretto a mutare il proprio atteggiamento di fronte al mondo. Sempre nel Diario, Kierkegaard parla di una "scheggia nelle carni", e anche in questo caso il carattere grave e ossessionati di riferimento sta soprattutto nella mancanza di dati precisi. Probabilmente è proprio questa scheggia a impedire al filosofo di condurre in porto il fidanzamento con regina Olsen. Anche qui nessun motivo preciso, bensì solo il senso di una minaccia oscura...

-> Introduzione -> Vita KIERKEGAARS • Introspezione Disperazione • Fede • Profonda analisi interiore Soren Aabye Kierkegaard nacque in Danimarca, Copenhagen, il 5 maggio 1813. Si scrisse alla facoltà di teologia di Copenhagen e nel 1840 si laureò con una dissertazione sul concetto dell'ironia con particolare riguardo a Socrate, che pubblicò l'anno seguente. Nel 1841-1842 fu a Berlino ascolto alle lezioni di Shelling fondata sulla distinzione radicale tra realtà e ragione. Morì l'11 novembre 1855. Gli incidenti esteriori della vita di Kierkegaard sono poco numerosi e apparentemente insignificanti: il fidanzamento, che egli stesso mando a monte, con regina Olsen; l'attacco di un giornale satirico, "il corsaro"; la polemica contro l'ambiente teologico di Copenhagen. Tali episodi ebbero nell'interiorità di Kierkegaard e nelle sue opere una risonanza profonda e apparentemente sproporzionata rispetto alla loro reale entità. Nel Diario il filosofo parla di un "grande terremoto" prodotto sia un certo punto della sua esistenza, che la costretto a mutare il proprio atteggiamento di fronte al mondo. Sempre nel Diario, Kierkegaard parla di una "scheggia nelle carni", e anche in questo caso il carattere grave e ossessionati di riferimento sta soprattutto nella mancanza di dati precisi. Probabilmente è proprio questa scheggia a impedire al filosofo di condurre in porto il fidanzamento con regina Olsen. Anche qui nessun motivo preciso, bensì solo il senso di una minaccia oscura...

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e inafferrabile, ma paralizzante, che impedisce a Kierkegaard anche di intraprendere la carriera di pastore e che lo induce a porsi in un rapporto poetico. -> L'esistenza come possibilità e fede L'opera di Kierkegaard non può certo essere ridotta al momento della polemica contro l'idealismo romantico. Molti suoi temi si pongono in precise antitesi rispetto a quelli idealistici: dalla difesa della singolarità dell'uomo contro l'universalità dello Spirito, alla rivalutazione dell'esistenza concreta contro la ragione astratta e delle alternative inconciliabili contro la sintesi conciliatrice della dialettica, della libertà come possibilità contro la libertà come necessità e, infine, della stessa categoria di possibilità. Si tratta di punti fondamentali della filosofia di Kierkegaardiana, che costituiscono una via radicalmente diversa rispetto a quella sulla quale l'idealismo romantico aveva indirizzato la filosofia europea. 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L'impossibilità di ridurre la propria vita a un compito preciso, di scegliere in maniera definitiva tra le diverse alternative, di riconoscere e attuarsi in una possibilità unica. Questa impossibilità si traduce per lui nel riconoscere che l'unità della propria personalità consiste appunto in questa condizione di indecisione e instabilità permanente permanente. Una seconda caratteristica del pensiero di Kierkegaard è lo sforzo costante di chiarire le possibilità fondamentali che si offrono all'uomo. La sua attività è dunque quella di un contemplativo: non è un caso che egli si sia creduto e detto poeta, e che abbia moltiplicato la propria personalità con l'uso di vari pseudonimi. Il terzo elemento portante del pensiero di Kierkegaard è il tema della fede e del cristianesimo, unica religione in cui il filosofo intravede un'ancora di salvezza. -> Il rifiuto dell'hegelismo e la verità del singolo La filosofia hegeliana appare dunque a Kierkegaard antitetica e illusoria rispetto al proprio punto di vista dell'esistenza, visione anti-hegelismo. Di fronte alla Ragione hegeliana, il filosofo danese presenta l'istanza del singolo, cioè dell'esistente come tale. È in tale prospettiva che Kierkegaard contesta a Hegel il fatto di avere trasformato il genere dell'uomo in un genere animale, giacché negli animali il genere è superiore al singolo, mentre il genere umano presenta in realtà la caratteristica opposta, per cui il singolo è superiore al genere. Oltre essere l'insegnamento fondamentale del cristianesimo, questo è il punto su cui bisogna combattere la battaglia contro la filosofia hegeliana. "La verità è una verità solo quando è una verità per me": essa non è dunque l'oggetto del pensiero, ma il processo con cui l'uomo se ne appropria; l'appropriazione della verità è la verità. Alla riflessione oggettiva propria della filosofia di Hegel, Kierkegaard contrappone una riflessione soggettiva, connessa con l'esistenza: una riflessione in cui il singolo uomo è direttamente coinvolto e che proprio per questo non è oggettiva e disinteressata, ma appassionata e paradossale. Kierkegaard avrebbe scelto di far scrivere sulla propria tomba non il proprio nome, ma solo "quel singolo", e per questo stesso motivo ha combattuto tutta la vita contro il panteismo idealistico, cioè contro la pretesa di identificare l'uomo e Dio, e ha invece affermato "l'infinità differenza qualitativa" tra il finito e l'infinito. M. P. KIERKEGAARDS CRAVSTRACAARD SOREN MICHAELI MAREN KIRSTINE KIERKEGAARD FD DEN 7 SEPTEMBER 1792 SØREN AABYE KIERKEGAARD FOOT MAI DODDI NOVEMBER 1855 DET ER EN LISEN TID SAA ER DEN CANSKE STR MED LET FORSVINDE SAA KAN JE HIE OC UAFLANTIC TALE -> Gli stadi dell'esistenza La vita estetica e la vita etica Il libro di Kierkegaard intitolato Aut-Aut è una raccolta di scritti che presentano l'alternativa tra quelli che il filosofo considera come i primi due stadi dell'esistenza: la vita estetica e la vita etica. Ogni stadio forma una vita a se, con le sue opposizioni interne e si presenta l'uomo come un'alternativa che esclude l'altra. • Lo stadio estetico è la forma di vita di chi esiste nell'attimo, fuggevolissima e irripetibile. L'esteta è colui che vive poeticamente, cioè nutrendosi di immaginazione e riflessioni insieme. Dotato di un senso finissimo per scoprire quanto l'esistenza offre di più interessante, costruendo per se stesso un mondo luminoso, da cui bandisce tutto ciò che è banale, insignificante e meschino, nel quale vive in uno stato di permanente ebbrezza intellettuale. La vita estetica non tollera la ripetizione che contraddistingue la quotidianità di una vita regolare. Per rappresentare nella sua pienezza lo stadio estetico dell'esistenza, Kierkegaard tratteggia la figura di Don Giovanni, il protagonista del diario di un seduttore, il quale sa trarre godimento non dalla ricerca sfrenata e indiscriminata del piacere, ma dalla scelta dei piaceri più intensi e appaganti. La vita estetica rivela tuttavia la propria inadeguatezza, conducendo necessariamente alla noia, alla dispersione dovuta alla rincorsa di sempre nuove esperienze e alla disperazione. • Proprio lasciandosi andare completamente alla disperazione si può tuttavia rompere l'involucro della pura estetica, e riagganciarsi con un vero e proprio "salto", cioè con una scelta, all'altra alternativa possibile: quella costituita dallo stadio etico. Con la scelta della disperazione nasce dunque la vita etica, la quale implica una stabilità e una continuità che la vita estetica, in quanto incessante ricerca della verità, esclude. La vita etica è il dominio della riaffermazione di sé, del dovere e della fedeltà a se stessi, ovvero il dominio della libertà. Nella vita etica l'uomo si sottomette alle regole della famiglia e della società assumendosi il peso della responsabilità Così come la vita estetica è incarnata del seduttore, la vita etica è rappresentata dalla figura del marito. Il matrimonio per Kierkegaard è l'espressione tipica dell'etica, in quanto compito che può essere proprio di tutti: mentre nella concezione estetica dell'amore per due persone possono essere felice in forza dell'eccezionalità del loro legame e della loro personalità. La persona etica vive del proprio lavoro. Esso costituisce la sua vocazione poiché il lavoro lo mette in relazione con altre persone e perché adempiendo al proprio compito e gli adempie a tutto ciò che può desiderare al mondo. La caratteristica della vita etica è costituita dalla scelta che l'uomo fa di se stesso: tratta di una scelta assoluta, la scelta della libertà cioè della scelta stessa. L'individuo scopre in sé una ricchezza infinita, ovvero scopre di possedere una storia in cui riconoscere la propria identità con se stesso. In virtù della scelta, l'individuo non può rinunciare ad alcunché della propria storia, neanche agli aspetti di essa più dolorosi e crudeli. Il pentimento costituisce l'ultima parola della vita etica, la parola per cui lo stadio etico rivela la propria insufficienza e la necessità di passare al dominio della religione. La scelta assoluta e dunque pentimento, riconoscimento della propria colpevolezza, della colpevolezza perfino di ciò che si ereditato. Questo è lo scacco finale della vita etica, lo stacco per cui essa tende a trapassare nella vita religiosa. La vita religiosa Così come non c'è continuità tra la vita estetica e la vita etica, allo stesso modo non c'è continuità tra lo stadio etico e lo stadio religioso. Tra queste due forme di esistenza c'è un abisso ancora più profondo; Kierkegaard chiarisce tale opposizione in Timore e Tremore, dove raffigura la vita religiosa rifacendosi al personaggio biblico di Abramo e alla sua vicenda. Vissuto fino a settant'anni e nel rispetto della legge morale, Abramo riceve da Dio l'ordine di uccidere il figlio Isacco, infrangendo così la legge per la quale è vissuto. Il significato di tutto ciò sta nel fatto che il sacrificio di Isacco non è suggerito ad Abramo da una qualunque e senza morale, ma da un comando divino che contrasta con la legge morale e con gli effetti naturali. In altri termini, l'affermazione del principio religioso sospende internamente l'azione del principio morale. Ma se l'opposizione tra la vita etica e quella religiosa e così radicale, allora la scelta tra i due principi a essi sottesi non può essere facilitata da alcuna considerazione generale. L'uomo di fede sceglie di seguire i comandi divini anche a costo di infrangere le norme morali e giungere così è una rottura totale con tutti gli altri uomini. La fede non è un principio generale, ma un rapporto privato tra l'uomo e Dio, un rapporto assoluto con l'Assoluto. Essa è il dominio della solitudine, un "luogo" in cui non si entra "in compagnia". Da tutto ciò deriva il carattere incerto e rischioso della vita religiosa. L'angoscia dell'incertezza è la sola assicurazione possibile. La fede è appunto certezza angosciosa, angoscia che si rende certa di sé e di una nascosto rapporto con Dio. La fede è paradosso e scandalo, il cui segno è lo stesso Cristo: colui che soffre e muore come uomo, mentre parla agisce come Dio. L'uomo è posto di fronte a un bivio: credere o non credere; se, da un lato, e il singolo uomo a dover scegliere, dall'altro ogni iniziativa umana esclusa, perché Dio è tutto e da Lui deriva anche la fede. La vita religiosa è imprigionata nelle maglie di questa contraddizione inesplicabile che costituisce l'essenza stessa dell'esistenza umana. La polemica contro il pacifico e accomodante cristianesimo della Chiesa danese dimostra come nel cristianesimo egli diffondesse in realtà il significato dell'esistenza che aveva riconosciuto e fatto proprio. Significato che, sebbene secondo il filosofo trovi la propria "incarnazione" storica nella religione cristiana, non è limitato al dominio religioso, ma è connessa ogni forma dell'esistenza. La religione ne è consapevole, ma non lo monopolizza: anche la vita estetica e la vita etica lo includono. Stadio estetico (Immediatezza) Stadio etico (Scelta della scelta) Stadio religioso (Rapporto assoluto con l'Assoluto) Novità, avventura, non-scelta, dispersione, noia, disperazione Scelta, normalità, fedeltà, continuità, libertà, ripresa, pentimento Fede, paradosso, solitudine, scandalo Don Giovanni Il marito Abramo -> L'angoscia Kierkegaard approfondisce la propria ricerca e giunge così al punto centrale da cui quelle stesse alternative e quegli stessi contratti si originano: l'esistenza come possibilità. Nelle sue due opere fondamentali, Il concetto dell'angoscia e la Malattia mortale, il filosofo analizza la situazione di radicale incertezza, instabilità e dubbio in cui l'uomo si trova "costituzionalmente", ovvero a causa della natura problematica del modo di essere che gli è proprio. L'angoscia è la condizione generata nell'uomo dal possibile che lo costituisce. Essa è strettamente connessa con il peccato. Adamo è "innocente" finché resta "ignorante"; ma tale ignoranza contiene già in sé l'elemento che determinerà la caduta, e tale elemento non è ne calma ne riposo, ne turbamento ne lotta, perché nn c'è alcunché da cui riposarsi o contro cui lottare. A differenza del timore e degli altri stati analoghi, l'angoscia non si riferisce a nulla di preciso. Essa è il puro sentimento della possibilità. L'angoscia è libertà finita, cioè limitata e impastoiata, che si identifica con il sentimento della possibilità. Il passato genera angoscia solo nel caso in cui si presenti come possibile futuro, cioè come possibilità di ripetizione: una colpa passata genera angoscia solo se non è veramente passata, ovvero solo se è possibile ricadervi, giacché diversamente genererebbe pentimento, e non angoscia, la quale è legata ciò che non è ma può essere, alla possibilità del nulla o alla possibilità nullificante. L'angoscia è strettamente legata alla condizione umana: se l'uomo fosse angelo o bestia non la conoscerebbe; essa infatti manca in quei momenti o in quelle forme di vita in cui l'uomo si rende simile agli animali. Se è vero che la povertà spirituale sottrae l'uomo all'angoscia, non bisogna dimenticare che l'uomo sottratto all'angoscia è schiavo delle circostanze, che lo spingono di qua e di là senza meta. L'angoscia è dunque necessaria tra gli uomini. • L'abbandono esprime la sofferenza per ciò che accade • La fretta la esprime l'autentica angoscia per ciò che può accadere, e solo in questo secondo caso si rivela l'umanità del Figlio di Dio, perché umanità significa angoscia Kierkegaard collega l'angoscia il principio dell'infinità, o onnipotenza, che esprime spesso così: "nel possibile, tutto è possibile", anche e soprattutto in negativo. Per questo ogni possibilità favorevole e spesso annientata dall'infinito numero delle possibilità sfavorevoli. E quindi l'infinità, o indeterminatezza, delle possibilità a rendere l'angoscia insuperabile e a farne la condizione fondamentale dell'uomo nel mondo. -> Disperazione e fede Se l'angoscia è la condizione in cui il possibile pone l'uomo rispetto al mondo, la disperazione è la condizione in cui il possibile pone l'uomo rispetto alla sua interiorità, al suo io. Se l'angoscia sorge dalla possibilità di fatti, circostanze, legami che rapportano l'uomo al mondo, la disperazione è inerente alla personalità stessa dell'uomo, al rapporto in cui l'io si pone con se stesso e alla possibilità di questo rapporto. La disperazione è strettamente legata alla natura dell'io. Infatti l'io può anche non volere essere se stesso; se vuole essere se stesso, non giungerà mai all'equilibrio e al riposo, poiché è finito, insufficiente a se stesso. La disperazione è la caratteristica di entrambe queste alternative; essa è perciò quella che Kierkegaard chiama "malattia mortale", non perché conduca alla morte dell'io, ma perché consiste nel vivere la morte dell'io: essa è il tentativo impossibile di negare la possibilità dell'io. Poiché l'io è "sintesi di necessità di libertà", in esso la disperazione nasce • mancanza di necessità -> l'io fugge verso possibilità che si moltiplicano indefinitivamente e non si solidificano mai, facendo dell'individuo un "miraggio". La disperazione è quella che oggi chiamiamo "evasione", cioè il rifugio in possibilità fantastiche, limitate, "nella possibilità tutto è possibile, perciò nella possibilità ci si può smarrire in tutti i modi possibili, ma essenzialmente in due; l'una di queste forme è quella del desiderio, dell'aspirazione; l'altra è quella malinconico-fantastica mancanza di libertà -> La possibilità è l'unica cosa che salva. La possibilità è l'unico rimedio; date di una possibilità e il disperato riprende iena, si rianima, perché se l'uomo rimane senza possibilità è come se gli mancasse l'aria. Sono il credente possiede l'antidoto sicuro contro la disperazione. L'opposto della fede, la disperazione è il peccato: perciò l'opposto del peccato è per l'appunto la fede, non la virtù. La fede è l'eliminazione della disperazione; essa è la condizione in cui l'uomo non si illude di essere autosufficiente, ma riconosce la propria dipendenza da Dio. Solo in questo caso la volontà di essere se stessi non urta contro l'impossibilità dell'autosufficienza, poiché solo in questo caso si tratta di una volontà che si affida alla potenza da cui l'uomo stesse posto, cioè a Dio. La fede sostituisce la speranza e la fiducia in Dio. È lo scandalo del cristianesimo, il fatto che la realtà dell'uomo sia quella di un individuo isolato di fronte a Dio, sia esso un potente della terra uno schiavo, esista dinanzi a Dio. Tutte le categorie del pensiero religioso sono impensabili: • impensabile è la trascendenza di Dio, che implica una distanza infinita tra l'uomo e la divinità impensabile è il peccato nella sua natura concreta, come esistenza dell'individuo che pecca • impensabile è l'idea di un Dio che si fa carne e muore per l'uomo Ma la fede crede nonostante tutto e assume tutti i rischi. Essa è il capovolgimento paradossale dell'esistenza -> L'attimo e la storia: l'eterno nel tempo Il rapporto tra l'uomo e Dio non si verifica nella storia ma piuttosto nell'attimo, inteso come subitanea inserzione della virtù divina nella vita dell'uomo. Anche in questo senso il cristianesimo è paradosso e scandalo ciò vuol dire che l'uomo per suo conto vive nella non-verità. Secondo il punto di vista cristiano, poiché l'uomo è la non-verità, si tratta invece di "ricreare" l'uomo, di farlo rinascere per renderlo adatto a una verità che gli proviene da fuori. Il maestro è perciò un salvatore, un redentore, che determina la nascita di un uomo nuovo, capace di accogliere nell'attimo la verità di Dio. Una differenza assoluta non può essere "pensata", e ciò significa soltanto che l'uomo non è Dio, che l'uomo e la non-verità, che l'uomo è il peccato: la ricerca di Dio non ha fatto alcun passo avanti. L'attimo è dunque l'inserzione incomprensibile dell'eternità nel tempo: in esso si realizza il paradosso del cristianesimo, cioè la venuta di Dio nel mondo. In questo senso soltanto il cristianesimo è un fatto storico, questo implica una fede elevata potenza di una divinità che si fa uomo. Si tratta di un fatto storico molto particolare, che non ha testimoni privilegiati, giacché la sua storicità si ripresenta ogni volta che un singolo uomo riceve il dono della fede.