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promessi sposi

25/10/2022

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È una tragedia manzoniana di argomento storico ambientata nel medioevo, narra la fine
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I T AL I N A 0 erreeceeee ADELCHI È una tragedia manzoniana di argomento storico ambientata nel medioevo, narra la fine del dominio longobardo in Italia, spazzato dall'arrivo dei Franchi di Carlo Magno. Manzoni trae l'idea del CORO dal teatro greco antico, dove aveva funzione di personaggio collettivo che esprimeva le proprie opinioni e commentava l'azione principale. Il coro manzoniano non interferisce con l'azione ma rappresenta un momento di sospensione dell'azione in cui l'autore interviene e giudica dall'esterno. Nel coro dell'atto 3 dell'Adelchi, Manzoni ammonisce i Latini di non aspettarsi la liberazione dal dominio longobardo da parte dei Franchi. Fu un avvertimento agli italiani illusi che Napoleone liberasse l'Italia dal dominio austriaco. Manzoni inserisce dei drammi individuali, quello di: • Ermengalda, figlia del re, sposa rifiutata da Carlo condotta alla morte in convento Adelchi muore per difendere il proprio popolo nella battaglia di Pavia . • Desiderio, re dei Longobardi, che perde sia il potere che entrambi i figli In questa tragedia ci sono inoltre due opposti schieramenti: oppressi, Adelchi ed Ermengalda che sono vittime di una realtà di violenza • oppressori, Desiderio e Carlo I temi affrontati sono: quello della PATRIA (l'Italia subisce senza reazione i domini dei Longobardi e Franchi), dell'AMBIZIONE e della sete di POTERE (Carlo Magno), quello della RELIGIONE, dove la fede è vista come speranza. Si nota anche il PESSIMISMO Manzoniano,...

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Didascalia alternativa:

legato alla ‘provvida sventura', dove i personaggi giusti subiscono ingiustizie nella vita terrena, che però li porteranno ad essere trionfanti dopo la morte. I PROMESSI SPOSI COM'È STRUTTURATA È uno dei romanzi più celebri della letteratura italiana, considerato il primo romanzo scritto in lingua italiana. È frutto di diverse stesure: si intitolava Fermo e Lucia, ed era cosi diversa che viene considerata un'opera a parte più che una prima versione dei Promessi sposi. Erano presenti diversi registri linguistici, un composto di lombardo, toscano, francese e latino. Promessi Sposi nel 1827, chiamata la ventisettana. La modifica maggiore riguardava in particolare il linguaggio, si adotta una lingua essenzialmente sul toscano, in particolare sul dialetto fiorentino, con scelte lessicali più realistiche e concrete. Anche i nomi dei personaggi cambiarono: Fermo Renzo nobile Valeriano Don Ferrante Conte del Sagrato →→ l'Innominato La versione definitiva approda tra il 1840 e il 1842, da qui il soprannome quarantana, con l'aggiunta dell'appendice Storia della colonna infame e un linguaggio rivisto a favore della concretezza della vita reale. È un processo avvenuto durante la peste di Milano del 1630 a carico di persone accusate di essere untori; torturate e riconosciute colpevoli, vengono messe a morte. Manzoni riflette sul processo e sui giudici, sull'assurdità della tortura e della pena capitale evidenziando invece le colpe dei giudici. DI COSA PARIANO L'opera si presenta come il primo esempio di romanzo storico della letteratura italiana, Manzoni finge di aver ritrovato un anonimo manoscritto del Seicento, e lo ha riscritto a favore del lettore moderno. Ambientato tra 1628 e il 1630 in Lombardia durante il dominio spagnolo, narra delle vicende dei giovani Renzo Tramaglino (pescarenico) e Lucia Mondella, i "promessi sposi", il cui matrimonio non viene permesso dal signorotto locale, don Rodrigo, per via di una scommessa fatta col cugino Attilio. Don Rodrigo tenta di rapire Lucia, e così i due fidanzati sono costretti a separarsi e a fuggire, andando incontro a una serie di disavventure. Il tutto si svolge sullo sfondo di importanti avvenimenti storici quali i moti popolari di Milano del 1628 il giorno di San Martino, così come la peste del 1630. Nonostante gli ostacoli e le disavventure, i due giovani riusciranno a sposarsi grazie anche alla morte Don Rodrigo proprio a causa della peste. TEMI CHE AFFRONTA I promessi sposi è anche un romanzo di natura realista, in quanto Manzoni cerca di trattare le condizioni di vita delle popolazioni contadine e umili dell'epoca, e di criticare l'inefficienza e l'inadeguatezza del governo e delle istituzioni politiche nel fronteggiare gravi avvenimenti quali la peste e la carestia. Altro tema dominante del romanzo è la Provvidenza, la fede il solo strumento capace di alleviare le sofferenze dei poveri e miserabili, perché Dio spesso sottopone le persone innocenti a prove terribili e solo la fede può aiutarli a superare tali prove. I promessi sposi fu un grande successo letterario dove, per la prima volta, i protagonisti erano gli umili e non i ricchi e i potenti della storia, e fu oggetto di varie rielaborazioni artistiche. INCONTRO CON I BRAVI Dopo la descrizione dei luoghi in cui si svolge la vicenda, il romanzo si apre con l'incontro tra don Abbondio e i bravi, uomini al servizio di don Rodrigo. La sera don Abbondio, sulle rive del lago di Como, faceva la solita passeggiata serale recitando il breviario (libro liturgico). Mentre mirava la cappella costruita in onore delle anime del Purgatorio, vide due «bravi». Don Abbondio si guarda attorno per vedere se ci fosse qualcuno che possa aiutarlo, ma la strada è deserta. Quando arriva vicino ai due, uno di questi gli disse QUESTO MATRIMONIO NON S'HA DA FARE di due dei suoi parrocchiani, Renzo Tramaglino e Lucia Mondella, previsto per il giorno dopo. Il sacerdote, balbettando per la paura, cerca di mettere insieme un discorso in cui tenta di dimostrare che in queste «faccende»> lui non c'entra niente, che non ci guadagna nulla, ma non ottiene altro che sarcasmo. Di fronte alle minacce del secondo bravo, promette di ubbidire e si dirige verso casa, mentre i due se ne vanno cantando una canzone volgare. Giunto a casa Perpetua, la domestica che lo accudisce, si accorge subito che è accaduto qualcosa di grave e convince il padrone a raccontarle tutto. Non vuole parlare ma alla fine cede. La domestica suggerisce al padrone di informare di tutto l'arcivescovo. Don Abbondio, però, temendo le conseguenze, respinge il parere e rifiuta la cena. Affranto e impaurito prende il lume e brontolando tra sé si avvia verso la camera. Arrivato sulla soglia, si volta verso Perpetua, mette il dito sulla bocca e le raccomanda il segreto. MONACA DI MONZA Nel IX e X capitolo, c'è un nuovo personaggio: Gertrude, la Monaca di Monza. Definita la “Signora", viveva in un convento a Monza, dove si rifugiarono Lucia e Agnese. Era figlia di un nobile principe. Con un flash-back, Manzoni narra la vita precedente. La sua sorte fu segnata ancor prima che nascesse; in base alla legge del Maggiorasco, tutto il patrimonio doveva essere ereditato dal primogenito maschio, tutti gli altri figli dovevano dedicarsi alla carriera militare o a quella religiosa. Fu dato il nome di Gertrude, già per risvegliare l'idea del monastero. I suoi regali consistevano in bambole vestite da suore, santini per abituarla, fin da piccola, a quello che sarebbe stato il suo futuro. A sei anni fu mandata in un convento di suore, a Monza, per “educazione” e “istradamento”, veniva considerata una bimba diversa dalle altre, perché figlia del grande principe. Lei non voleva divenire una suora. Fu spinta dalle suore a scrivere una supplica al vicario per entrare in convento, ma subito se ne pentì; compose una lettera al padre dove negava la sua volontà di divenire una suora, ma nulla cambiò! Trascorse un mese nella casa natale, prima dell'ammissione al noviziato, si affezionò a uno e scrisse una lettera, ma una serva lo scoprì e lo riferì al padre che fece crollare il suo spirito. Vedendo l'unica liberazione nel convento, Gertrude scrisse un'ulteriore lettera al padre, chiedendogli perdono. In molte situazioni lei avrebbe potuto rifiutare la "vocazione impostale", ma venne sopraffatta da una profonda di insicurezza. Trascorso il noviziato, pronunciò i voti e «fu monaca per sempre». In quel momento le rivolse la parola Egidio, un giovane scellerato, che viveva vicino al convento; divenne complice nell'omicidio di una conversa che era a conoscenza della relazione fra i due. Era trascorso un anno quando Lucia e sua madre, giunsero al convento e la ragazza notò subito questa suora molto particolare, nascosta dietro una grata. Gli elementi fisici del ritratto sono pieni di contrapposizioni: l'autore afferma che la monaca era di una bellezza sbattuta, «sfiorita e scomposta», particolare che ci fa capire quanto fosse tormentata moralmente. Una seconda contrapposizione è di natura cromatica: un velo nero le cadeva dalle due parti della testa e sotto questo, una bianchissima benda come la fronte, le incorniciava il volto. Nel pallore del suo viso emergevano due neri sopraccigli, un paio di occhi che a volte incutevano timore e chiedevano aiuto e le labbra rosate. MORTE DI DON RODRIGO La peste la prende anche don Rodrigo: se la scopre addosso una sera tornando da un festino dove aveva celebrato ironicamente il morto conte Attilio. Chiede aiuto al Griso perché chiami un medico: il Griso chiama invece i monatti. Che lo portano al lazza retto. Dopo essere sfuggito alla folla che vuole linciarlo come untore, Renzo arriva finalmente al lazzaretto in cerca di Lucia. Vi trova invece padre Cristofo-ro, tornato da Rimini per assistere gli ammalati di peste. Renzo temendo che Lucia sia ormai morta, si lascia prendere dall'ira e minaccia di uccidere don Rodrigo per vendicarsi di tutto il male fatto. A questo punto fra Cristoforo scaccia il giovane, deluso dalla sua incapacità di perdonare il suo nemico. Poi, attraverso il proprio esempio, il frate induce in Renzo un sincero pentimento. Fermo e lucia don Rodrigo, ammalato di peste, viene mostrato nel lazzaretto con un'entrata in scena teatrale, in preda al delirio, intento a fissare Lucia (che ha appena ritrovato Fermo, dopo lo scioglimento del voto) con sguardo allucinato. In seguito il nobile sale su un cavallo e lo sprona a sangue, iniziando una folle corsa che finirà, dopo qualche momento, con una rovinosa caduta e la morte. LA VIGNA DI RENZO Renzo si dirige verso la casa di un amico. Ma doveva davanti alla sua vigna, ecco che uno spettacolo desolante appare ai suoi occhi: di quella che un giorno era una delle più belle vigne del paese, non resta che erbe selvatiche che soffocano tutto. Alberi, arbusti, piante sono state spezzate, strappate dai vicini, tutto calpestato, sciupato. A tratti si vedono emergere i nuovi virgulti dei peri, dei peschi, dei susini. L'uva con le sue larghe foglie verdi già orlate di rosso. Ma Renzo non ha nessuna voglia d'entrare. Il suo occhio si è posato per un istante su tutto con una sorta di stupefatta meraviglia. Poi, subito lo ha preso il pensiero della sua casa. E verso essa si avvia, lasciando col cuore vuoto quel mare di erbe e di spine. 5 MAGGIO Il 5 maggio viene scritto tra il 18 e il 20 luglio del 1821 quando giunge la notizia della morte di Napoleone avvenuta il 5 maggio a Sant'Elena dove era in esilio da 6 anni. Manzoni non si era mai espresso nei confronti di Napoleone, non condivideva le sue scelte politiche perché Manzoni era un liberale cristiano, ma era affascinato della personalità. Quando venne annunciata la sua morte Manzoni sente il bisogno di scrive il 5 maggio. Fa un bilancio da Napoleone più umano e religioso che politico. Quest'ode viene censurata ma si diffonde ugualmente come manoscritto. Viene tradotta da Goethe e pubblicata in Germania. Nel 23 verrà pubblicata anche in Italia, ottiene uno straordinario successo che stupisce anche Manzoni. In questo testo rivede i vari momenti della vita di Napoleone: quello di gloria, di successo, e dell'esilio. Manzoni vede Napoleone sopraffatto dai ricordi del passato che gli provocano dolore. Questo dolore è sopportabile grazie alla fede. la morte per Napoleone diventa una morte liberatrice. Il tema alla base di quest'ode è la dimostrazione che Napoleone non è altro che la testimonianza della Misericordia di Dio. La vita di Napoleone sono in realtà la prova della grandezza di Dio, che ha voluto lasciare in questo personaggio la sua impronta. Viene ridimensionata la figura di Napoleone, diventa insignificante nei confronti dell'eterno, che non viene usato il soggetto, basta il pronome. Il pronome personale di terza persona ritorna più volte nella parte in cui Napoleone è al l'apice del successo, quando poi cade in disgrazia, quando perde potere ecco che il pronome personale non viene più usato. La struttura è ripartita (prime 4 storie, 10 strofe centrali e ultima 4) Nelle prime 4 viene annunciato il tema della morte di Napoleone. Renzo: popolano leale e schietto, Renzo Tramaglino è l'immagine dell'onesto lavoratore e dell'uomo tranquillo che, solo se provocato, rischia di combinare guai a sé e agli altri. Lucia: umile dolce pura e leale don rodrigo: scatena il dramma, incarnazione del male